È stato pubblicato ufficialmente il 28 settembre, dopo essere stato presentato in estate, un Atlante del Cibo di Roma Capitale, che si estende ben oltre la città di Roma. Nasce dalla collaborazione con il Consorzio Universitario per la Ricerca Socioeconomica e per l’Ambiente e si compone di oltre 400 elaborazioni e circa 200 mappe cartografiche sugli andamenti di molteplici fenomeni del sistema. Anche Torino ha dal 2017 uno strumento del genere.
Nelle intenzioni iniziali il documento dovrebbe essere un supporto allo sviluppo di un Piano Strategico Metropolitano che lavori su cibo e agricoltura in accordo con la strategia europea del Farm to Fork. I punti messi a fuoco riguardano in particolare la produzione, trasformazione, distribuzione, consumo, gestione delle eccedenze e degli scarti nel sistema alimentare cittadino. Sono dati aperti che possono servire sia ai produttori, alle amministrazioni e ai singoli cittadini per comprendere in modo più approfondito come si muove il cibo all’interno di una città enorme e complessa come Roma. Le informazioni contenute sono tantissime, con dati raccolti da tutte le realtà che si sono rese disponibili per mappare la situazione di Roma Capitale (comprese le guide gastronomiche). Abbiamo estrapolato solo alcuni dei punti che ci sembrano interessanti.
L’utilizzo del suolo e i terreni agricoli
All’interno della città si analizzano e si misurano dati relativi alla copertura non solo di case, ma anche frutteti, vigneti, aree a pascolo e castagneti. Secondo quanto riportato da strumenti di comparazione nel 1960 si stimava che il 46% della superficie metropolitana risultava coperta da seminativi e prati, mentre le colture permanenti interessavano complessivamente il 12% del territorio. Le zone agricole eterogenee e le aree naturali e seminaturali coprivano rispettivamente il 7% e il 30% della superficie totale, mentre la copertura artificiale interessava circa il 3% del territorio metropolitano. Nel 2018 la percentuale di copertura artificiale cresce raggiungendo la quota del 13% insieme alle zone agricole eterogenee (21%). In termini percentuali restano stabili le colture permanenti (11%), mentre si riducono le superfici a seminativi (28%) e le aree naturali (24%). Complessivamente i suoli agricoli di proprietà pubblica si estendono per 21.950 ettari, distribuiti su un totale di 102 comuni della Città Metropolitana di Roma Capitale. Più della metà, pari a 11.460 ettari, si concentrano nei comuni di Roma, Tolfa, Carpineto Romano e Monterotondo.
Stando a quanto riportato dall’Atlante, la variazione delle percentuali corrisponde a uno specifico cambiamento di panorama, che impatta anche nel settore agricolo. Negli ultimi 60 anni, del totale delle superfici che hanno subito trasformazioni, la parte più consistente pari a 60.600 ettari ha riguardato il passaggio da aree agricole e naturali a superfici artificiali. In questo periodo si registra anche una forte tendenza all’intensivizzazione delle attività agricole soprattutto nelle zone pianeggianti e collinari più fertili e accessibili che ha determinato la sostituzione del vecchio mosaico colturale con grandi estensioni monocolturali più redditizie. Circa 14.500 ettari di seminativi sono stati convertiti in impianti di arboricoltura da frutto insieme a quasi 60.000 ettari di aree naturali e semi-naturali.
Distretti rurali e zone certificate
All’interno di questi tessuti agricoli però non funziona tutto nello stesso modo. Ci sono delle differenze che l’Atlante è in grado di raccontare. Per esempio individuando le zone che contengono i distretti rurali e agroalimentari di qualità, deliberati dall’Assessorato all’Agricoltura nel 2020. Si tratta di 8 Distretti del cibo di cui 3 rurali, 2 Distretti dell’agroalimentare di qualità e 3 Distretti biologici. Rientrano nei confini amministrativi del territorio metropolitano: il Distretto Rurale ed Agro-energetico della Valle dei Latini (Ex Valle del Sacco) che comprende 20 comuni di cui 6 nella Provincia di Roma e presenta una superficie agricola utilizzata totale di circa 85.600 ettari; il Distretto Agroalimentare di qualità dei Castelli Romani e prenestini con circa 22.000 ettari di superficie agricola utilizzata e diversi prodotti a marchio di qualità; il Distretto biologico Bio-distretto Etrusco Romano che si estende per circa 37.000 ettari e comprende oltre ai comuni di Fiumicino e Cerveteri anche la Riserva Naturale Statale del Litorale Romano.
Sono state poi evidenziate le aree con prodotti certificati grazie alla condivisione dei dati Arsial. È emerso che in 64 comuni è presente almeno un prodotto certificato. I prodotti D.O.P.: la Mozzarella e ricotta di bufala campana, l’Oliva di Gaeta, la Nocciola Romana e l’Olio Extravergine di oliva Sabina fanno riferimento a 36 comuni; i prodotti I.G.P: il Kiwi di Latina, il Carciofo Romanesco del Lazio, il Vitello bianco dell’appennino centrale e il Pane casereccio di Genzano di Roma hanno origine in 31 comuni; i prodotti I.G.T. e D.O.C.G..: il Cannellino di Frascati, il Frascati Superiore e la Costa Etrusco-Romana attengono a 9 comuni.
I consumi agroalimentari dei cittadini
Stando alla premessa che i dati ad oggi disponibili non consentono di misurare con certezza assoluta il valore del mercato al consumo per i prodotti agroalimentari della Città Metropolitana di Roma Capitale, è possibile tuttavia effettuare alcune stime utilizzando fonti diverse, come i dati ISMEA-Nielsen Consumer Panel relativi al valore dei consumi agroalimentari nel Lazio (2020). La spesa alimentare nel Lazio risulta avere un valore di 17.953.682.729 miliardi di euro. Poco più della metà del valore complessivo si concentra nel settore della GDO (52,3%), distribuendosi poi quasi uniformemente tra il settore dei prodotti sfusi-confezionati e quelli esterni alla GDO.
Sovranità alimentare
Già in questo documento, del tutto precedente agli attuali sviluppi di governo, si parlava di sovranità alimentare in merito alla possibilità dei singoli di fare scelte resilienti rispetto al cibo che mangiano e di godere di una certa autosufficienza alimentare. Stando ai risultati l’Indice di Autosufficienza Alimentare di Lazio, Città Metropolitana di Roma e Comune di Roma è decisamente basso. Infatti, quello del Lazio è del 35,58%, quello della Città Metropolitana di Roma è del 14,6% e quello del Comune di Roma è del 5,41%. La motivazione principale di questo risultato è da riscontrarsi da un lato nell’alta densità abitativa dei territori analizzati, dall’altro nell’attuale stile di vita alimentare medio della popolazione.
La distribuzione dei prodotti alimentari
Come accedono i cittadini al cibo? In una città enorme come Roma e in un contesto più ampio come quello di Roma Capitale la risposta è molto diversificata. A svolgere il ruolo del leone sono i minimarket, carne, oli, uova e salumeria, rappresentano la fetta principale di mercato, il 65%. I Minimarket in particolare rappresentano anche la categoria di esercizio commerciale della GDO maggiormente presente sul territorio, con un totale di 1340 esercizi, una diffusione che ne determina anche il successo.
La GDO, che comprende discount, ipermercati, supermercati e minimarket, rappresenta il 27% del totale degli esercizi commerciali al dettaglio. Secondo il rapporto sul sistema distributivo 2019, in Italia esistono 722234 esercizi commerciali al dettaglio di cui 111165 appartenenti alla categoria della GDO (15% sul totale). Mettendo a confronto questi dati, Roma Capitale presenta uno scenario della distribuzione più concentrato sulla GDO della media italiana. Secondo un’altra indagine, nella città di Roma Metropolitana lavorano più di 35 brand della GDO, tra i quali CONAD è leader di mercato, seguito da brand minori, CARREFOUR e COOP.
Sono stati poi mappati anche i numeri delle “botteghe di qualità”, tra cui esercizi commerciali, banchi del mercato stabili oppure postazioni al mercato contadino. Sono risultati da questa analisi in tutto 357 esercizi (si noti la sproporzione con il numero della GDO), tra cui 117 negozi di ortofrutta, 87 formaggerie, 79 macellerie e 74 pescherie.
I numeri dei mercati rionali
Una grossa lacuna di cui avevamo già parlato rappresenta il mondo dei mercati rionali. In totale le strutture sono 89, ma complessivamente c’è un forte calo dell’utilizzo dei mercati rionali, oltre che un abbandono anche da parte delle amministrazioni che lasciano in decadimento i palazzi spesso storici in cui risiedono. All’interno di questi mercati, il 40% del cibo arriva dal sud Italia, il 20% dal nord Italia, il 25% dall’agro romano e dalle campagne laziali, mentre il 15% dall’estero, tuttavia, malgrado la normativa, la provenienza dei prodotti non è spesso presente nei banchi. Infine solo il 5-10% dei contadini vende direttamente i propri prodotti all’interno dei mercati rionali, preferendo i mercati contadini.
La situazione della ristorazione
I dati forniti sulla ristorazione sono essenziali per comprendere la distribuzione degli esercizi e la loro consistenza. Secondo l’Atlante ci sono un totale di circa 3366 servizi di ristorazione tra ristoranti, bar e fast food. Tra questi, il 67% è rappresentato da ristoranti che servono cibo italiano e il 14% da pizzerie. La cucina asiatica invece occupa il 7% della share di mercato con una particolare prevalenza di ristoranti di cucina cinese (44%) o giapponese (39%). Il mondo dei fast food occupa invece l’8,6% del mercato, superando anche la cucina asiatica.