La castanicoltura italiana è allo stato brado: perché importiamo il 50% del fabbisogno

Solo il 5% dei castagneti piemontesi è coltivato: specchio di una situazione italiana allo stato brado, tra piantagioni abbandonate e importazioni immotivate.

La castanicoltura italiana è allo stato brado: perché importiamo il 50% del fabbisogno

Sono centinaia di migliaia gli ettari di castagneti presenti sul territorio italiano, estesi dal Piemonte all’Aspromonte. La gran parte di questo territorio è però abbandonato e se fino alla fine degli Anni ’90 l’Italia era un paese esportatore di castagne, oggi ne siamo importatori: il 50% del nostro fabbisogno è infatti di provenienza estera (paesi balcanici, Albania, Grecia, Turchia, Spagna, Cile, Portogallo).

La situazione è frutto di una miopia di programmazione agricola che, nonostante l’abbandono delle terre, non ha permesso di incidere su un programma di sviluppo rurale capace di stravolgere la realtà dei fatti.

Recuperare una parte di questi castagneti, anche solo il 20%, consentirebbe alla terra di essere fonte di reddito per l’economia: del resto il 30% del territorio italiano è composto da montagna e “Con una politica attiva sul territorio legato alle foreste mal gestite – spiega Marco Bozzolo, castanicoltore, vice presidente Cia Cuneo e presidente dei giovani agricoltori del Piemonte (Agia) – ci sarebbe un importante indotto anche sull’utilizzo del legname che importiamo in grande quantità dall’Est Europa. Negli ultimi settant’anni la superficie forestale è aumentata perché non è più stata gestita, non si fanno lavori di manutenzione ed ecco che frane, alluvioni e incendi devastano un territorio non più curato e le cui foreste sono, appunto, allo stato brado”.
Proviamo dunque a capire che cosa si intende per castanicoluta, dati alla mano.

Castanicoltura, l’esempio del Piemonte

Campania, Emilia Romagna, Piemonte, Toscana e Calabria sono le regioni italiane in cui si concentra la produzione nostrana di castagne. Un patrimonio importante e immenso che però non viene valorizzato come dovrebbe. Lo confermano i dati che, dal Piemonte, rispecchiano la situazione italiana. Si stima che solo in Piemonte ci siano 200 mila ettari di castagneto, il 90% dei quali dal dopoguerra sono stati abbandonati divenendo boscaglia. In Piemonte solo il 5% di questo immenso patrimonio è coltivato: stiamo parlando di 10 mila ettari lavorati in prevalenza da micro imprese spesso in situazioni di hobbismo. Esistono però anche areali di produzione che permettono alle aziende agricole di vivere di castanicoltura: l’80% riguarda la zona del monregalese, seguita da quella della Val di Susa molto rinomata nel settore.

La raccolta delle castagne inizia a fine settembre e procede fino nel mese di novembre. Questo dipende prevalentemente dal clima e dalle varietà che possono definirsi temporine (se maturano in anticipo) o tardive (cadono a partire da fine ottobre). La raccolta avviene quando le castagne sono in terra: cadendo il riccio si apre e la castagna, appunto, esce dal guscio, ma esistono pratiche di raccolta non manuali che prevedono l’utilizzo di rastrelli o aspiratori. Fondamentale, in ogni caso, è il tempismo: il terreno rilascia umidità e quindi è importante non lasciare la castagna troppo tempo a terra; per questo nel periodo del raccolto si passa anche cinque o sei volte al giorno a controllare che non ne siano cadute di nuove.

Il mondo della castanicoltura piemontese è di pezzatura piccola e, tra le varietà, ci sono Gabbiana (nota come garessina), Frattona e Marrone. Il loro utilizzo è diverso: le garessine, per esempio, sono comunemente essiccate, mentre il marrone è scelto dall’alta pasticceria perché di pezzatura maggiore.

Castagna o marrone?

La produzione di marroni è sviluppata prevalentemente nell’arco alpino, dal Piemonte fino a Emilia Romagna e Toscana. La differenza principale tra marrone e castagna è che il primo ha sempre un frutto unico, mentre la castagna può avere due semi; il marrone non ha poi intrusioni di episperma (guscio del seme), mentre la castagna ha spesso la pellicina che si stacca poco facilmente dal seme con intrusioni difficili da gestire in cucina. Il marrone ha infine striature evidenti, un guscio più lucido e una forma sub rettangolare, mentre la castagna ha forme decisamente più rotondeggianti e a goccia.

Eurocastanea e Centro Regionale di Castanicoltura

Esiste un network europeo del castagno: si chiama Eurocastanea e riunisce organizzazioni di produttori di castagne di diversi paesi (Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Grecia, Austria, Cile, Turchia, Cina, Ungheria, Albania e Kossovo) che ogni anno si ritrovano per un evento nel quale parlare del settore e dell’annata castanicola. L’edizione 2023 si è svolta a settembre in Austria: “L’Italia quest’anno – spiega Gabriele Beccaro, professore del Dipartimento di Scienza Agrarie, Forestali e Alimentari (Disafa) dell’Università degli Studi di Torino – ha una contrazione di produzione del 50% dovuta al tracollo climatico e alle piogge che nel mese di maggio hanno colpito il castagno proprio quando fiorisce e avviene la fecondazione.

Il Piemonte ha una produzione stabile, mentre Campania, Calabria, Lazio ed Emilia Romagna hanno subito un calo produttivo. Il problema – prosegue Beccaro – è effettivo poiché i territori dei castagneti sono spesso abbandonati e l’abbandono abbinato al cambiamento climatico non può che portare a un calo di produzione”. E Beccaro, anche direttore scientifico del Centro Regionale di Castanicoltura del Piemonte, prosegue: “Il nostro centro è riconosciuto come centro nazionale per la ricerca e lo sviluppo della castanicoltura: stiamo lavorando per avvicinare i giovani a questo settore cercando di introdurre dei nuovi sistemi colturali con una raccolta meccanica dove possibile, ma anche avvicinandoci a pratiche innovative introducendo ricci e foglie nel ciclo produttivo”.

Esempi italiani: Cebano e Val Mongia

Nel comune di Viola (Cn) e nel territorio del cebano e della Val Mongia, quella della famiglia Bozzolo è una delle realtà più importanti per la produzione di castagne. La stessa famiglia si occupa infatti di castanicoltura da diversi secoli, e oggi vede alla guida dell’azienda il giovane Marco Bozzolo, la cui passione per questo lavoro gli è stata tramandata dal padre Ettore. L’azienda può contare 19 ettari di castagneto con piante che vanno da pochi mesi ad altre secolari (in prevalenza) che arrivano a più di 600 anni. “In tutti i mesi dell’anno c’è qualcosa da fare – spiega Marco Bozzolo – a cominciare dall’inverno quando ci occupiamo delle potature, mentre in primavere realizziamo innesti per mettere nuove piantine a dimora e nei mesi estivi realizziamo la pulizia del sottobosco in modo che tutto sia pronto per la raccolta autunnale”.

La lavorazione delle castagne da Bozzolo avviene nel rispetto della storica tradizione di essiccazione della Castagna Garessina, ossia con l’utilizzo degli Scau, antichi essiccatori, la cui tecnica contadina di utilizzo nasce del Medioevo ed è portata avanti oggi come 700-800 anni fa. A Viola possono contarsi circa 200 essiccatori, ma solo sei o sette famiglie lavorano ancora con questa tecnica. “In media ogni anno – aggiunge Bozzolo – raccogliamo 300 quintali di castagne di cui 100 sono vendute come caldarroste e 200 vengono essiccate. Il segreto è mantenere il fuoco attivo e costante sui 45° giorno e notte, alimentandolo con la pula, cioè la buccia delle castagne dell’anno precedente. Da questo procedimento si ottiene un fumo caldo con cui poco alla volta si essica il prodotto garantendone, grazie al tempo, il risultato migliore”.
Dalle castagne essiccate, vendute anche intere, si ottiene una preziosa farina con cui viene realizzata una farina adatta sia per dolci che per la realizzazione di pasta fresca.

Prodotti con le castagne

Tra i prodotti a base di castagne provenienti dalla zona del cebano il più originale è forse Lo Scau, liquore alla Castagne Garessine di Marco Bozzolo, che produce il laboratorio artigianale Gonella Spirit guidato dal giovane Mirko Gonella. Si tratta di una crema di latte e castagne essiccate con metodo tradizionale a cui si aggiungono acqua di sorgente, panna, zucchero e alcool biologico. L’Azienda, situata all’interno del vecchio albergo di famiglia a Viola (Cn), ha aperto nel 2018 e oggi vanta una produzione di 5 mila bottiglie tra cui si possono contare anche quelle di San Michele Rural Gin, Gentis (genzianella) , Genepì del Piemonte IG Bianco (ne esistono solo 4 produttori nella regione) o Mantis (erba Luisa). Sempre a Viola ha da poco compiuto 100 anni Il Bottegone, storica bottega di paese che lavora da quattro generazioni e che oggi realizza buoni prodotti da forno come le famose Foglie di castagne.