Oh raga, fermi tutti: è tornato il Soldino. Il che? Il SOLDINO! Ah, ok. Ma come, è la merendina del Mulino Bianco più desiderata di sempre, ne mangiavo tonnellate da piccolo, e anche tu! Mah, veramente, non so, non ricordo…
Ecco, il mio problema forse è quello: la memoria. Però, quando partono queste operazioni nostalgia, mi viene in mente che sia il vostro. Di quelli cioè ai quali qualsiasi cosa fa scattare il mood “bei tempi andati”. Lo so benissimo, è il marketing della retromania, il come una volta che ci frega tutti, e sul quale sono stati scritti decine di studi e centinaia di pezzi finto ironici. Troppi. Questo che state leggendo non è uno di quelli. Perché ho il sospetto che in certi casi ci sia in gioco qualcosa di più. Qualcosa che con un’espressione pomposa si potrebbe definire mitopoiesi ex-post. Bum.
Intendiamoci. La creazione di miti ha sempre a che fare con il passato, un passato mai esistito, appunto leggendario, in cui c’erano all’opera forze mitiche. E la retromania è la valorizzazione del passato, un passato invece recente, vissuto dai soggetti-target in prima persona, e quindi esperibile nel ricordo, passibile di nostalgia. A volte però queste due forze lavorano insieme: e si crea il falso ricordo di un’epoca passata in cui c’era un mito.
Il caso del Soldino è interessante: un coro di giubilo ha salutato il suo ritorno, centinaia di persone anche sotto i 25 anni giurano di averne consumati quintali, il tutto sembra confermare la narrazione del Mulino Bianco che lo definisce la merendina più richiesta di sempre: “Probabilmente è la merendina Mulino Bianco che più manca ai bambini cresciuti negli anni ’80 e ’90”. Tutti preda di un’allucinazione collettiva? Tutti vittime del marketing? No, non credo: ma certo si può dire sia uno di quei casi in cui una minoranza rumorosa dà l’impressione di un esercito. Tu che mi leggi: te lo ricordi il Soldino? Anzi, anzi: sinceramente, lo avresti messo nella classifica dei primi dieci prodotti – tra merendine, biscotti, gelati e snack – che rimpiangi della tua infanzia? Mmm…
Oh, per carità: io mica ce l’ho col Soldino. Me lo ricordo bene, altroché, era pure buono, anche se forse un po’ stufoso, un po’ barocco (oltre che scomodo da mangiare come tutte le cose completamente rivestite di cioccolato). Ma da qui a dire che era il mio preferito, o quello di qualsiasi altro bambino io conoscessi, ce ne corre. E poi: mica ce l’ho con la Mulino Bianco. Anche se devo dire, sono stati furbi: hanno creato una intera sezione, sul sito, dedicata ai prodotti fuori commercio, o almeno ai più famosi. Si chiama Il Mulino che vorrei, e corrisponde a una esigenza ben precisa, anche se controintuitiva: perché una regola ingenua imporrebbe di non nominare ciò che non puoi vendere. Mulino Bianco però, invece di andare a ruota dell’eventuale creazione di pagine fan, le precede e le cannibalizza sul nascere: ha un senso anche SEO, perché togliere il nome di un prodotto dal sito significa far rimbalzare altrove chi googla. Invece, intanto si attirano i nostalgici alla ricerca della madeleine, letteralmente. E poi gli si propongono due cose: la prima è la ricetta, per la serie se non posso più comprarlo provo a rifarmelo io. La seconda è stimolare la partecipazione del pubblico – pardon: creare la community – con ricordi delle merendine introvabili, con proposte innovative, con semplici richieste di ritorno. Che ogni tanto, miracolo, si avverano. È successo col Soldino, è successo anche con i Palicao, i biscotti che a contatto con il latte non si inzuppavano ma si scioglievano completamente trasformando il contenuto della tazza in una cioccolata, calda o fredda.
Una cosa però dovrebbe farci riflettere: guarda caso, tutte queste operazioni sono contraddistinte dalla modalità “edizione limitata”. Nel tempo, e nello spazio: non distribuiti in maniera capillare, anzi nel caso del Soldino addirittura non distribuiti affatto, ma venduti solo su ordinazione in una preziosa e personalizzabile confezione, alla modica cifra di 30 euro (per 8 merendine). L’edizione limitata non serve solo a creare hype, ma anche a mettersi al riparo da eventuali flop: insomma, se volete ridarci i Soldini, abbiate il coraggio di riportarli in massa sugli scaffali, no?
Stessa cosa dell’edizione limitata è stata fatta qualche mese fa con l’Happy Hippo, la merendina Kinder di cui si ricorda molto di più lo spot (The lion sleeps toniiiiight…) che il gusto. Stessa cosa è successa con i Ravioli dolci con cioccolato di Rana. Ne ha scritto, anche assaggiandoli, la nostra Stefania Pompele e siccome non saprei dire di meglio, copio e incollo: “Prendi un prodotto già lanciato con scarso successo e rilancialo nel cuore di una pandemia attraverso un’iniziativa benefica […] prodotto che l’azienda aveva già presentato nel 2009 (“si possono adagiare su composte di frutti rossi o arance oppure flambarli con Rhum, Cointreau o Cognac“, ahhh, quanto tempo sembra passato), e che oggi ritroviamo a scaffale spinto da una comunicazione pompatissima, una sezione del sito dedicata, un ampio ricettario e una campagna social che Ferragni scansate”.
Il paradigma però di questa mitopoiesi retroattiva è il Winner Taco. Prima di spararmi addosso, considerate questo semplice fatto: il gelato avvolto in uno pseudo taco messicano, lanciato negli Stati Uniti e poi arrivato da noi a fine anni ’90, rimase in vendita per pochi anni. Non che un periodo limitato di tempo non possa essere sufficiente a creare un mito: ma vi pare possibile che se fosse stato un prodotto di grande successo, come che so il Magnum, la Algida (Unilever) lo avrebbe tolto dalla circolazione dopo poco tempo?
Certo poi c’è stato il fatto da manuale, il case history con cui spiegheremo la potenza dell’Internet ai nostri nipoti: la pagina di nostalgici del Winner Taco, che un po’ alla volta ha coagulato una legione di appassionati, i quali si sono dati a tormentare le pagine social dell’Algida in maniera ossessiva. Fino a che questa a ceduto: nel 2014 il “mitico” gelato è tornato in prima squadra, e da allora campeggia stabilmente sui cartelloni, inamovibile. È diventato la leggenda che non era mai stato: poi dice che non è possibile modificare il passato.
Però, ancora una volta: cui prodest? Diciamo che Algida si è arresa alle richieste dei consumatori: ma sarà andata davvero così? Non voglio fare il complottista, immaginare che ci sia lo zampino della multinazionale Unilever dietro quella pagina Facebook equivarrebbe a dire che sono stati gli Usa ad abbattere le Torri Gemelle. Però insomma fa specie che la Chiesa dei seguaci del Winner Taco sia nata solo anni dopo che questo non c’era più.
Tra l’altro, se vogliamo dirla tutta, non è manco la prima volta che il Soldino torna: era già accaduto nel 2010, si tratta della riedizione di una riedizione. Ah, che nostalgia di quando avevo nostalgia.