Se ci abbiamo visto giusto il 2024 sarà l’anno in cui, nostro malgrado, decreteremo finito il trend del pandoro artigianale; all’assaggio pandori, anche quelli molto riusciti come struttura, scarseggiavano di profumi: poca vaniglia e un burro poco profumato.
Nato immediatamente post covid, il pandoro artigianale ha portato un po’ di movimento nel mercato della panettone artigianale, aggiungendo quell’hipsterismo dato da una preparazione ancora più virtuosa per il pasticcere e quella sensazione, in chi lo consumava, di stare facendo qualcosa riservato a pochi. In realtà il sopracciglio alzato nei confronti del pandoro da parte di un mercato panettone-centrico non è mai venuto meno, il che non ha certo contribuito alla sua fortuna. Diciamo così: il lievitista al vertice non può non confrontarsi con il pandoro, però, in molti casi, il pandoro rappresenta più un investimento di immagine che uno economico. La sensazione è che quelli che ci credono davvero siano uno sparuto gruppo di pasticceri con una vocazione anarchica. Sosteniamoli o li perderemo.
Quella strana vibrazione di terrore
Delle difficoltà del pandoro ce ne ricordiamo ogni anno quando invitiamo gli artigiani; un brivido di terrore si manifesta immediatamente alla domanda: “fai anche il pandoro?”.
Il motivo principale è che si tratta di una preparazione molto complessa. Innanzi tutto il burro, che da decreto ministeriale del 22 luglio 2005 deve costituire almeno il 20% del peso totale (per il panettone ci si ferma al 16%), ma nelle versioni artigianali si arriva a percentuali maggiori, a volte anche in un rapporto di 1:1 con la farina. Il burro nell’impasto interviene sulla maglia glutinica limitandola molto, ed è per questo che il pandoro ha una consistenza spugnosa e un’alveolatura leggera, ma è facile che, se la lievitazione non è gestita con cura, si afflosci.
Inoltre il pandoro, rispetto al panettone, prevede tre impasti e non due, per una lavorazione totale che sfiora le 40 ore.
Il profumo del pandoro è un affare costoso
Anche dal punto di vista dell’assaggiatore il pandoro è una sfida complessa: tratta di un prodotto molto più difficile da valutare, perché è sostanzialmente privo di tutte quelle velleità che rendono anche il panettone meno riuscito comunque gradevole: i canditi, l’uvetta, la glassa, le mandorle. Le uniche cose valutabili sono la struttura e il profumo. La prima, in un pandoro artigianale ben fatto, deve avere una certa consistenza, dare l’impressione di un minimo di masticabilità, prima che arrivi la scioglievolezza tipica del prodotto burroso. Ma, oltre a questo dettaglio, il pandoro ha, per così dire, una vocazione essenziale, almeno nei profumi che sono quelli del burro e della vaniglia.
Il punto è probabilmente tutto qui, questi due prodotti sono da sempre molto costosi, e negli ultimi anni hanno visto una crescita esponenziale dei loro prezzi. La vaniglia che all’inizio degli anni duemila costava 20 dollari al kg sul mercato professionale è passata a 600 dollari al kg, mantenendosi stabile dal 2020 in poi su quella cifra (quella che si compra al supermercato costa molto di più tra i 1500 e i 3000 euro al kg).
Per la caratterizzazione del pandoro spesso i pasticceri usano almeno due tipi di vaniglia, in modo da giocare con note aromatiche distinguibili. La vaniglia più usata è la celebre vaniglia Bourbon, originaria del Madagascar e delle isole dell’Oceano Indiano, nota per le sue note morbide e cioccolatose. Ma spesso nei prodotti di qualità è presente anche la vaniglia Tahitiana, coltivata principalmente in Polinesia, caratterizzata da un aroma floreale molto fresco. Meno frequente è l’uso della vaniglia messicana, la più antica tra le vaniglie in produzione. Vero è che la vaniglia può essere dosata a piacere, ma comunque di solito è intorno alle 0,3% del peso della farina.
Molto peggio va con il burro, il cui prezzo è in costante crescita da anni ma che rispetto al 2023 ha riportato aumenti del 40% circa (dati Clal), senza grosse differenze di aumento tra i burri di qualità, ottenuti da panna centrifugata, e i burri classici, ottenuti dagli avanzi della lavorazione dei formaggi, spesso caratterizzati da intense note caseose. A parità di aumento, il burro classico rimane però una scelta più economica ma con conseguenze aromatiche importanti.
Il food cost del pandoro
Si tratta dunque di un prodotto con un food cost elevatissimo, non solo dato dall’aumento del costo delle materie prime fondamentali per caratterizzarlo, ma anche da una lavorazione più lunga e complessa di quella del panettone. D’altro canto il mercato del pandoro resta assai più ridotto di quello del panettone, in gran parte limitato al Nord Italia, oltre ad avere il classico problema della stagionalità, che ne condiziona la vendita a poche settimane all’anno.
Quest’anno il pandoro artigianale si situa in un range di prezzo che va dai 35 ai 52 (!) euro al kg, con una limitazione del food cost per i prodotti più costosi, grazie alla pezzatura (750 o 800 gr) la cosiddetta shrinkflation. A differenza del pandoro, il panettone si situa su una fascia di prezzo leggermente più bassa, dai 35 ai 42 euro, e la pezzatura è più spesso quella classica di 1 kg.
Vero è che tra le radici del pandoro si annovera il “pane de oro,” un dolce ricco e decorato servito alla nobiltà veneziana; ma forse si è perso di vista, tra i produttori, il fatto che un’investimento simile, per l’acquisto di un grande lievitato, può essere giustificato solo da un prodotto eccellente in cui non si è lesinato sulla materia prima. Purtroppo però non sempre questo corrisponde al vero, e, da parte nostra, chiedere perché non solo è lecito, ma un dovere.