Lecitina di soia (o di girasole) sì, latte in polvere no. Potrebbe riassumersi così la querelle che in queste ultime settimane ha animato il dibattito gastronomico italiano. Due ingredienti che hanno a che fare con la richiesta tutta piemontese di far nascere il gianduiotto di Torino Igp, con tanto di bozza di disciplinare e ricetta stesa da un consorzio di produttori nato per valorizzare questo grande vanto della storia “dolce” italiana.
Una IGP “al quadrato”
Bozza di disciplinare per altro definita Igp al quadrato perché si tratterebbe della prima Indicazione di Origine Protetta in Europa creato da un’ altra Igp (la Nocciola Piemonte Igp Tonda Gentile Trilobata). Tutti d’accordo (o quasi) a unirsi con lo scopo di dare lustro a un prodotto nato a Torino nell’Ottocento in seguito al blocco continentale imposto nel 1806 da Napoleone Bonaparte che impediva i commerci delle navi britanniche tra l’Europa e le Americhe. Blocco che influì pesantemente sulla vendita del cacao che, all’epoca, non ancora coltivato in Africa, divenne introvabile. E lungimiranti, oltre che creativi, furono i chocolatier torinesi che iniziarono a produrre cioccolato sostituendo una parte dell’impasto con le nocciole di Langa e Monferrato che ottime e abbondanti crescevano (e tutt’ora crescono) sulle colline della regione. Questo cioccolato, un po’ per necessità e un po’ per virtù, venne sempre più apprezzato dal pubblico di consumatori tant’è che nel 1865 se ne creò un cioccolatino che divenne il primo al mondo a essere incartato e fu distribuito proprio a Carnevale da Gianduja, la maschera torinese da cui prese il nome.
Che questo cioccolatino abbia conquistato i cuori di mezzo mondo è cosa ormai nota, ma per valorizzarlo e renderlo ancora più conosciuto, in Piemonte si punta all’ottenimento dell’Igp (Identificazione geografica protetta), la certificazione che identifica un prodotto originario di un luogo, di una regione o di un paese alla cui origine geografica sono attribuibili una data qualità, la reputazione o altra caratteristica. Cardine di ogni produzione tutelata è il disciplinare di produzione al quale tutti i produttori devono attenersi rigorosamente: il disciplinare regolamenta le fasi produttive, determina i requisiti e le caratteristiche che il prodotto deve avere per ottenere la certificazione, garantendone la qualità al consumatore finale.
E qui arriva l’intoppo: da alcuni mesi il Comitato del gianduiotto di Torino Igp (composto da imprenditori e cioccolatieri, tra cui il portabandiera Guido Castagna, e sostenuto dalla Regione Piemonte) si batte per l’ottenimento di questo riconoscimento che non trova tutti d’accordo. Si oppone infatti alla ricetta stilata dal Comitato, cercando di mettere d’accordo metodologie produttive differenti (dall’industria all’artigianato), la Lindt (proprietaria di Caffarel che a sua volta vanta la paternità del gianduiotto) che vorrebbe aggiungere un’importante quantità di latte in polvere alla ricetta per ridurre, si potrebbe dedurre, il quantitativo di nocciole e di cacao nel cioccolatino. Cerchiamo di fare chiarezza.
Il disciplinare
La proposta di disciplinare per la produzione del Gianduiotto di Torino Igp parla chiaro: potrà chiamarsi così solo il prodotto ottenuto dalla lavorazione della Nocciola Piemonte Igp delle Langhe con zucchero semolato (di canna o di barbabietola), cacao (fave di cacao e/o massa di cacao) ed eventualmente burro di cacao, cacao in polvere, bacche di vaniglia e suoi derivati naturali, sale, lecitina di girasole e/o lecitina di soia ogm free. La pasta di Nocciola Piemonte Igp delle Langhe in purezza dovrà essere presente dal 30% al 45%, rispetto al peso complessivo del prodotto.
Niente latte in polvere dunque, né riduzione della percentuale di nocciole. E qui sta il focus del problema.
La funzione del latte in polvere
Il latte in polvere viene realizzato eliminando, per essiccazione, l’acqua dal latte ed è utilizzato nell’industria alimentare come additivo in prodotti alimentari e di pasticceria. Praticamente tutti i cioccolati industriali al latte o gianduja riportano in etichetta, tra gli ingredienti, la dicitura latte intero o scremato in polvere, cosa che non avviene sempre nelle produzioni artigianali di gianduia, in cui le ricette tengono conto di una differente tipologia di lavorazione. È dunque un ingrediente chiave poiché fornisce cremosità e dolcezza ed è entrato a far parte della storia del cioccolato a partire dagli Anni 30 del Novecento. Va anche detto che è la nocciola stessa a conferire cremosi all’impasto, per cui un suo utilizzo potrebbe essere consentito nel disciplinare del gianduiotto di Torino Igp solo con una percentuale di poco superiore allo 0% come già indicato per sale, vaniglia o lecitina di soia o di girasole.
Lecitina di soia: a cosa serve nel giandujotto?
La lecitina di soia è un additivo naturale, emulsionante e stabilizzante ed è tra quelli più utilizzati nell’industria alimentare: si riconosce per la sigla E322. Il suo principale impiego è nei prodotti dolciari a base di cioccolato: lubrifica le particelle di cacao, zucchero e grassi permettendo di ottenere composti fluidi, lisci, omogenei e dalla bassa viscosità. La lecitina di soia aiuta poi a donare maggiore stabilità al processo produttivo, riduce i tempi di lavorazione, rallenta l’affioramento e la ricristallizazione degli zuccheri e allunga la shelf life ossia dona una maggiore durata di conservazione ed è essenziale per legare la minima parte di umidità con l’importante quantità di grasso dell’impasto. Anche in questo caso la lecitina di soia compare nelle etichette di cioccolato prodotto industrialmente, ma si può trovare anche nelle lavorazioni artigianali.