Lo spot di Esselunga sulla pesca e i genitori separati in 24 ore ha fatto il giro completo, ha compiuto tutta la parabola social – critica, indignazione, viralità, analisi, critica della critica – e già non se ne può più. Ne parlano, ne hanno parlato, tutti. Se ne parlo anche io è perché penso di avere qualcosa di particolare da dire, evidentemente: qualcosa di molto personale, di molto intimo, penserete voi. E in effetti è così: ce l’ho, o meglio ce l’avrei. Ma per una volta, non mi va di spiattellare i casi miei. Se ne parlo è perché penso che quello spot lo stiamo criticando giustamente, ma per i motivi sbagliati.
Il motivo per cui tutti, o quasi, abbiamo criticato quella pubblicità è semplice: dietro un finto progressismo, si cela uno spot per la famiglia tradizionale. Ce li siamo immaginati i creativi dell’agenzia, che si sentivano molto fighi a rovesciare il cliché: basta mettere in scena la visione patinata e fasulla della famigliola felice riunita attorno alla tavola – non a caso famiglia del mulino bianco è diventata un’espressione sarcastica, un meme. La realtà è un’altra, nel mondo reale le famiglie si sfasciano i genitori si separano, facciamo quello.
Tutti o quasi abbiamo notato che una scelta del genere è innanzitutto social washing: come le prese di posizione “politiche” dei grandi brand internazionali, questi spot non hanno un’intenzione didattica o militante, ma cercano di stare al passo coi tempi per non perdere pubblico, per trarne il maggior profitto possibile. Le persone si separano, le persone sono nostri clienti, facciamo qualcosa in cui i nostri clienti si possono rispecchiare.
E però le persone che si separano soffrono, soffrono i figli soprattutto. Che cercano di far tornare insieme i genitori in tutti i modi, persino comprando una pesca. E quindi, per evitare il cliché della famiglia tradizionale felice, si cade nel cliché della famiglia moderna infelice. Con tutti i topos del caso: per esempio i bambini nelle famiglie felici sono sempre due o più, mentre qui è una sola, a portare la croce di tutto quel dolore. Abbiamo poi rilevato una serie di stereotipi un po’ maschilisti che girano attorno alla mamma: è lei che ha la figlia a casa e il papà se la viene a prendere, è lei che al supermercato appare sola e oppressa dalle mille incombenze e a un passo dal meltdown, è lei che guarda dalla finestra (invece di andare ad aprire al citofono!) con una faccia che sembra solo aspettare che lui ritorni – perché è lui, chiaramente, che se n’è andato.
Vabbè. Meglio prenderla a ridere, no? E pure quella via è stata battuta, consumata. Chi ha notato che la pesca, messa sul nastro della cassa, non è stata prezzata (ladre!). Chi dice che però la mamma dovrebbe guardare la strada mentre guida. Ma poi perché una pesca? La mela fu il frutto della discordia, la pesca sarà quello della concordia? O, forse, non è un caso che con l’emoji della pesca si intenda in senso figurato qualche altra cosa? E, dato il taglio politico, non sarebbe stato più giusto metterci dei Meloni? (con la maiuscola agh agh).
Ma il vero, il grande errore di Esselunga è stato un altro, è stato l’errore buonasera. Momento retromaniaco: ve la ricordate quell’altra pubblicità, e allora esco, e vado con il primo che incontro!… Buonaseeeeera. Ma certo che ve la ricordate. Era diventato un meme, pardon un tormentone, così si diceva all’epoca. E vi ricordate di che cosa era*, lo spot? Certo che no. Ma perché non ce lo ricordavamo neanche all’epoca. Tanto potente, tanto abbagliante lo storytelling, che assorbe tutta l’attenzione e si mangia il claim. A proposito, qual è il claim della pubblicità Esselunga?
“Non c’è una spesa che non sia importante”. Anche una piccola pesca può salvare una famiglia. Anche una piccola spesa può salvare il modo. La filiera etica, la responsabilità aziendale, la consapevolezza del consumatore, mangiare è un atto politico: tutti messaggi, sia detto en passant, che sono stati di rottura, e ora sono mainstream. Quindi, hanno vinto? Quindi hanno perso? Che importa, l’importante è che siano qui: in una frase alla fine di una pubblicità che va in prima serata, e che ha fatto il giro del web, come si dice. Peccato che non la legga nessuno.
* una macchina.