Vituperato come solo un prodotto che non si coltiva nei Paesi del G7, il caffè sta attraversando un momento tremendo. Costa sempre di più e non certo perché abbiamo finalmente accettato di buon grado che una tazzina va pagata più di un euro, se non si vuole sfruttare nessuno. E se negli ultimi anni parecchi fattori hanno inciso sui prezzi della materia prima grezza, nonché sul suo commercio, l’etichetta è rimasta sempre la stessa. Sinuosa quanto muta.
Forse è il momento di guardare all’ultimo anello della filiera, quello che compete il venditore e noi consumatori, e pretendere chiarezza.
Prezzi della Robusta mai così alti dal ’78
Ad Aprile 2024 i prezzi della Robusta ai massimi degli ultimi 45 anni. È quanto emerge dal report mensile redatto dall’International Coffee Organization – organizzazione intergovernativa che riunisce i governi esportatori e importatori – in cui si evidenzia come la media mensile dell’indicatore composto sia balzata alla mirabolante cifra di 216,89 centesimi per libbra, rivalutandosi del 16,4% rispetto al mese di marzo 2024.
Le statistiche dell’ICO riflettono l’impennata che ha interessato tutti i mercati e tutte le tipologie, ma gli aumenti più sensibili riguardano appunto la Robusta, “Cenerentola” più produttiva e resistente, largamente coltivata in Vietnam e Brasile, e utilizzata in miscela (spesso in quantità significative) in buona parte dei prodotti presenti sia in GDO sia nel canale Ho.Re.Ca.
Abbiamo in più occasioni parlato delle criticità che stanno colpendo il mercato del caffè, i rincari che osserviamo sullo scontrino di quei 25 millilitri di sciropposa bevanda consumati frettolosamente al bar sono la summa di problematiche che hanno origini diverse.
Brasile, Vietnam e clima
La nenia è ormai sempre la stessa, clima avverso e fenomeni estremi che si manifestano con sempre maggior frequenza impattano sulle produzioni agricole, ad alcune latitudini i segnali sono ormai visibili da anni, così come le rese e i conseguenti rialzi sui prezzi.
Dal Brasile proviene circa il 35% del raccolto globale di caffè . A fine 2021, in una stima ufficiale sull’annata 2021/22 redatta da Conab -agenzia specializzata del ministero dell’agricoltura brasiliano- si registrava una produzione inferiore del 24,4% rispetto al raccolto 2020/21, a causa della siccità ad inizio annata e di un susseguirsi di gelate.
In Vietnam, secondo paese produttore di caffè al mondo, primo per la Robusta si registrano attualmente un terzo delle precipitazioni previste per il periodo, ed il persistere di questa situazione potrebbe tradursi in una riduzione del 2% delle rese rispetto alla stagione precedente. L’amara ironia del mercato è che i prezzi migliorano solo quando molti produttori subiscono perdite spesso insostenibili. Stiamo peraltro parlando di stime, e quelle poco raccontano rispetto alla qualità della materia prima.
Se la Robusta non passa da Suez
È un’arteria vitale per il commercio internazionale, soprattutto per il settore del caffè. Circa il 10% del commercio globale transita attraverso questo canale, compresa una quota significativa del caffè consumato in UE e negli States. Il passaggio da Suez è quindi cruciale per la Robusta proveniente dal Vietnam, ma anche per i caffè provenienti da Indonesia, India, Uganda, Etiopia, e i paesi produttori a est e sud del Mar Rosso:“Un container di caffè dal Vietnam impiega fino a venti giorni in più per arrivare, e il costo è almeno quadruplicato” spiegava Antonio Baravalle, CEO del Gruppo Lavazza, in un articolo del Corriere.
Se sei un torrefattore e il tuo mercato di riferimento è la Robusta proveniente dal Vietnam sei sicuramente in una situazione infelice (eufemismo).
Stiamo bevendo caffè peggiori, a prezzi più alti
“Uno degli aspetti più problematici di questa situazione è che, per ragioni legate alla carenza delle scorte, all’indisponibilità della materia prima e all’incremento dei costi, molti torrefattori sono rimasti sprovvisti delle tipologie di caffè che utilizzano abitualmente, dovendo così probabilmente mettere mano alla composizione delle miscele e accettando compromessi sul risultato in tazza”. “Probabilmente“ l’analisi fatta più di un anno fa da Jacopo Bargoni, AD de Le Piantagioni del Caffè, era corretta.
È di questi giorni la notizia di un maxi sequestro di caffè contaminati da micotossine o scaduti, a seguito di controlli eseguiti dai NAS in Emilia Romagna. Ventidue i controlli e undici le criticità riscontrate, specialmente presso aziende in provincia di Bologna e Forlì-Cesena. Caffè che ci saremmo trovati sugli scaffali del supermercato o direttamente in tazzina, nel bar sotto casa.
La narrazione è sempre la stessa, il solito packaging con la solita miscela storica. È il caffè ad essere cambiato (in peggio), spesso a nostra insaputa.
Il boomerang della non comunicazione
In quella che ormai molti descrivono come tempesta perfetta c’è un ulteriore elemento con cui a mio avviso le grandi aziende stanno iniziando a fare i conti, ed è legato alla comunicazione sul prodotto. O meglio, alla totale assenza di comunicazione. L’etichettatura in materia di caffè non obbliga i torrefattori a dichiarare da dove provenga il caffè, come sia stato processato o quando sia stato tostato, ma sono tutti elementi imprescindibili ai fini della la qualità. Perché quindi non riportarli in etichetta?
Se sono un torrefattore e per anni ho basato la mia narrazione esclusivamente sul (presunto) risultato in tazza utilizzando claim sensoriali a suon di “miscele del nonno vellutate e intense“, senza dire nulla su provenienze, lavorazione e perché no e policy sui prezzi, mi trovo ora nella non facile posizione di dover giustificare aumenti anche significativi a fronte di caffè più scadenti.
Per fortuna ci beviamo qualunque cosa.