Negli anni sono stati tanti i marchi, piccoli o grandissimi, che si sono appropriati del concetto di fresco, appena fatto, espresso. “Dal gusto unico di tutti i panini alla freschezza delle insalate” scrive McDonalds sul suo sito, dove propone come snack “freschi” bustine di mela, uva e carotine baby da sgranocchiare. Vista da vicino però, quella del “fresco” rimane un’idea un po’ vaga che nel cibo ha declinazioni diversissime, ma sa suscitare idee romantiche, rassicuranti. Se da una parte c’è il concetto di appena cucinato, appena sfornato, appena affettato, appena munto, appena spillato, appena macinato, appena colto, dall’altra c’è anche l’idea di un prodotto che non deve andare oltre le soglie di scadenza. Lo spettro del pane gelo, insomma, il pane surgelato, congelato, abbatuto.
Quella del cibo d’altronde è una lotta contro il tempo, creata intorno a una fine e a un inizio dettati da parametri non sempre affidabili.
Il pane tra tutti gli alimenti da sempre combatte una lotta contro il tempo, perché è un ingrediente che vive alla giornata nella testa e nell’immagine di chi lo mangerà, il “pane quotidiano” di cattolica memoria. Anche se è proprio il tempo, un ciclo piuttosto lungo, che permette al pane di arrivare nelle nostre mani che lo sgranocchiamo aspettandoci la massima fragranza. Di quello che troviamo in commercio, moltissimo è stato sottoposto a un processo di abbattimento e poi di rigenerazione che ha lavorato per allungare la vita dell’alimento. Eppure ci hanno insegnato che il pane “congelato” è una porcheria, al punto da farne un tabù.
Secondo alcuni esperti infatti, il gelo va riconsiderato lavorando contro i pregiudizi. “Abbattere il pane per non abbattere i panifici” è una delle provocazioni intorno alla quale ruota questa riflessione, poiché è difficilissimo lavorare con un prodotto a ciclo continuo. Servono orari notturni, una produzione costante, la vita dei fornai di una volta che oggi ha reso questo lavoro così poco attraente e sempre più in disuso. Rivalutare il pane gelo potrebbe essere un modo sorprendente di ottimizzare il lavoro senza perdere la qualità. Sapendo anche che intercorrono differenze tra pane congelato, surgelato e abbattuto. In questo caso parliamo di abbattimento, un processo che in tempi brevi permette, con strumenti professionali, di abbassare significativamente la temperatura dell’alimento. E poi di rigenerazione, il processo seguente che lo rimette in circolo.
Spiega infatti la giornalista Atenaide Arpone che “Il fresco per noi italiani è un valore aggiunto nel cibo, nonostante il freddo sia uno dei primi modi di conservare il cibo e in alcuni contesti si usi abbattere anche per sanificare gli alimenti”. In poche parole, partendo dalla fine, quello sul pane gelo “è uno stereotipo che non ha più motivo di essere. Mentre il pane gelo potrebbe aiutare i professionisti ad avvicinare anche i clienti che non sono vicini”.
Dal punto di vista dei panificatori che ci tengono alla qualità, il discorso è serissimo, forse anche urgente. Antonio Follador, che negli ultimi anni ha portato l’azienda di famiglia a fare un salto di qualità, nonché tra le classifiche di Dissapore dedicate ai panettoni, anche in termini quantitativi (“fino a 5 anni fa era impensabile per me lavorare con un’agenzia di comunicazione”), è uno di loro. Proprio la crescita ha posto una serie di domande sulla sostenibilità economica e umana di questo lavoro. “Guardando indietro sono dispiaciuto per le lotte che abbiamo fatto, come quella per il pane fresco. Se le aziende di panificazione chiudono non è solo una questione generazionale, ma il segno che la categoria non si è evoluta e non è riuscita a marginare sul prodotto”.
E da un altro panificio di Torino, quello di Andrea Perino, la preoccupazione è molto simile. “Il gelo ci permette anche di limitare i danni della tentata vendita, anche se potremmo fare una riflessione sul fatto che il congelamento non è il massimo dal punto di vista ambientale” Ma anche umano però. “Se posso sfruttare il freddo per dormire 3 ore in più di notte, perché non dovrei farlo?”.
La sproporzione tra quello che pensiamo del pane gelo e quello che pensiamo di qualsiasi altra prodotto gelo dovrebbe lanciare un campanello d’allarme. “Alcune informazioni si possono trarre anche da altre catene del cibo” spiega Tommaso Fracassi tecnologo alimentare in un’azienda che lavora prodotti ittici “Credo che nel futuro saremo avvantaggiati dal cambio generazionale” proprio perché i nuovi fornai saranno più sensibili all’ottimizzazione, agli sprechi e alla qualità della loro vita oltre che del loro prodotto.
Ma quindi tocca a noi scongelare e congelare nel frigo di casa? Secondo Anna Pellegrino, cuoca e storica dell’alimentazione “La catena del freddo va considerata come uno strumento, che non vanifica o non peggiora, frutto di una tecnica” una tecnica che va messa in mano a chi ha gli strumenti per usarla. “Di solito quando si parla di pane gelo si pensa a un pane che si inserisce in frigorifero e poi viene scongelato in microonde. Le persone hanno l’abitudine di considerare il freddo quella cosa che va dal congelatore al microonde, che è comunque una cosa cattivissima. Ma la conseguenza non è “ho sbagliato tutto” ma semplicemente “è il pane che è cattivo”.
Ai difensori della freschezza viene spiegato che “L’utilizzo del freddo ha il vantaggio di paralizzare qualunque tipo di meccanismo biochimico che possa portare al deterioramento” secondo Carlo di Cristo, biologo ed esperto di panificazione a lievito naturale, e non priva l’alimento delle sue proprietà “Sembra che le basse temperature siano il massimo per trattenere il profilo aromatico del pane. Il problema non è il cliente, è che noi abbiamo fatto credere al consumatore che il prodotto congelato fosse una fetenzia perché era quello che fa la GDO che di base è pessimo”.
Il gelo però è un processo che per essere funzionale deve essere gestito con successo, da parte del produttore e non di chi utilizza maldestramente il freezer di casa. Il risultato deve essere impercettibile, un po’ come succede al ristorante: molti pensano che un 3 stelle Michelin debba farsi per forza il pane in casa, ma non è sempre così. Lo dimostra il caso di Matteo Metullio, chef dell’Harry’s Piccolo a Trieste che proprio da Follador riceve una linea di prodotto esclusiva. “Quando ci chiedono il menu, spesso ci dicono che non vogliono il pesce crudo. Quando sanno che è abbattuto si sentono rassicurati” dice Metullio, dimostrando che il pregiudizio decade a seconda del prodotto. “Standardizzare e ottimizzare” sembra la chiave con cui guardare al panificio, al ristorante e alla spesa di casa. Farsi le domande più scomode anche.