Per raggiungere Burano da Venezia ci vuole circa un’ora e mezzo, praticamente lo stesso tempo che in volo potreste impiegare per arrivare a Vienna, Lione o Zurigo.
Perché andarci allora?
Perché prendere ben due vaporetti con una sosta in uno dei punti più ventosi della Laguna (Fondamente Nuove) in grado di fare concorrenza a Ushuaia?
Se siete dei fedeli lettori di Dissapore dovreste sospettare qualcosa. Insomma, siete andati fino a El Celler de Can Roca o al Noma e non volete fare un giro tra le isole della Laguna?
Dunque, torniamo a noi.
A meno che non siate appassionati di merletti o non abbiate un conto in sospeso con il vostro arredatore che vi ha portato all’esasperazione consigliandovi decine di colori con cui tinteggiare la casa (ragione per cui Burano fa al caso vostro dato che potete vedere a grandezza naturale la resa dei colori) il motivo per cui si arriva fin qui è un dolce, il bussolà.
Per conoscerlo meglio bisogna partire la mattina presto. Nello zaino, oltre alla vostra reflex, mettete anche l’espressione “ridente borgo” (estratta dalla naftalina per l’occasione) che non si utilizza più o meno dalla metà degli anni ’80 e dal tempo delle guide Touring con copertina marrone.
Vi tornerà utile non appena scesi dall’imbarcadero quando, dopo pochi passi, vi troverete in una condizione quasi estatica.
Sarà l’effetto cromoterapico delle case, l’odore della laguna o la dimensione familiare che pare avvolgere tutto (l’isola è piccola e tutti si conoscono), sta di fatto che Burano è davvero un posto felice.
Per meravigliarvi avete ancora 15 minuti, ché abbiamo del lavoro da fare.
La direzione è quella della chiesa principale, San Martino: alla vostra destra si apre una stradina.
Imboccatela: al termine troverete il luogo da cui tutto ha origine: il Panificio Costantini (l’indirizzo preciso è San Martino Sx. 282).
Minuscolo, a conduzione familiare da 3 generazioni, il panificio è l’unico a produrre i bussolai secondo la ricetta originale e in modo artigianale.
Descrivere il bussolà (il nome completo, se volete essere precisi e fare le presentazioni come si deve è “bussolà buraneo”) non è semplice: chiunque vi dica che è un biscotto merita di essere bandito dall’isola e da tutta la Laguna con scomunica.
Immaginatevi una frolla: ora aggiungete burro e tuorli d’uovo, oltre a un po’ di rum e aroma di vaniglia. Infornate per circa 15 minuti e quello che otterrete è una delizia assoluta color dorato: la consistenza, che pare più soda alla vista, al taglio rivela una morbidezza inaspettata (merito del burro!).
Il profumo di rum preannuncia solo in parte il gusto, non eccessivamente dolce: in bocca troverete ad aspettarvi l’elevazione al cubo della pasta frolla, la quintessenza degli impasti.
Volete un paragone? Prendete Infinite Jest o un altro romanzo di David Foster Wallace a vostra scelta: ebbene, il bussolà sta alla frolla come un libro di DFW sta alla letteratura americana di fine novecento.
Secondo la tradizione (ma le origini sono incerte), il bussolà veniva preparato dalle mogli dei pescatori e dei marinai che avrebbero dovuto affrontare lunghi viaggi in mare. Sostanzioso e facilmente conservabile, avrebbe garantito conforto e sopravvivenza.
L’usanza varcò i confini familiari e si estese (si racconta anche che le suore del convento di San Maffio, che avevano una visione diciamo un po’ elastica della devozione cristiana, furono riprese perché ne consumavano troppi): il bussolà divenne il dolce tipico per eccellenza, consumato prevalentemente a Pasqua.
La versione originale è quella grande “a ciambella” (500 gr), alla quale se ne sono aggiunte nel tempo anche altre: trovate i bussolai in versione più piccola (5-7 cm), e gli “esse” (maschile, mi raccomando), una serpentina comodamente intingibile nel vino dolce (anche di queste esiste una doppia versione, grande e piccola).
La lavorazione avviene a mano e per la porzionatura delle forme più piccole ci si aiuta con una macchina che sembra uscita da una foto degli anni ’20.
Se pensate che i bussolai siano veduti solo ai turisti sbagliate di grosso: oltre agli isolani, qui arrivano a comprarne pacchi e pacchetti da tutta Venezia, dalla terraferma e ci sono casi di ordinazioni internazionali.
C’è persino chi ha pensato di farne la bomboniera di nozze (per fortuna esiste ancora qualcuno che ha definitivamente abbandonato il kitsch come tema ricorrente per i piccoli doni nuziali: il problema è che questo tizio è già sposato).
Insomma, nozze o festività (ah, dimenticavo: i bussolai pasquali sono guarniti con zucchero glassato), l’occasione non è rilevante: compratene a pacchi e se pensate di non tornare presto a Burano, fatevene spedire una fornitura abbondante.
A questo punto, se vedere gli altri impastare ed infornare vi ha messo appetito, ecco qualche consiglio per un pranzetto come si deve.
Da Romano, via Galuppi 221
Le opere d’arte sono il tratto distintivo della famiglia Barbaro: quelle tradizionali, con tela e cornice, sono appese alle pareti; quelle gastronomiche escono fumanti dalla cucina.
Il rischio di confondersi e addentare un quadro, però, è minimo. Locale prediletto da artisti e scrittori del ‘900 (qualche nome? Vedova, Carrà, De Chirico, Moravia, Malaparte, Pirandello), Da Romano è uno di quei locali in cui mangiare significa conoscere la storia gastronomica della Laguna.
Trovate praticamente tutto: saor e bolliti, risotti e paste, fritti, granfritti e grigliate.
Il motivo per cui ci si siede a tavola però, è essenzialmente uno: il risotto di go. Piatto impossibile da replicare a casa, in cui il ghiozzo, pesce disperatamente brutto, dopo una bollitura in acqua con cipolla e sedano, trasforma il riso in un capolavoro di bianca morbidezza.
Non fissatelo troppo a lungo, che si raffredda.
Mangiatelo e basta.
Dopo che l’avrete assaggiato, avrete lo stesso sguardo estatico di Antony Bourdain, in questa puntata di No Reservation.
Al Gatto Nero, Fondamenta Giudecca 88
E “il ristorante” degli abitanti di Burano. Quello in cui venire per le occasioni importanti, per festeggiare compleanni e matrimoni, quello in cui si è certi di mangiare bene.
Nato come osteria, viene trasformato in ristorante nel 1965 da Ruggero Bovo, l’attuale proprietario. Si trova in una Fondamenta leggermente discosta dalla via principale. Gli amanti dei piatti decorati avranno qui la loro occasione per rimirare le case di Burano ritratte sul bordo.
Gli amanti dei piatti di pesce, invece, non noteranno neppure le casette e sceglieranno qualsiasi cosa dal menù. Sbagliare è impossibile.
Un consiglio: se potete, fermatevi più di un giorno sull’isola. Sarà pure un cliché vedere la laguna al tramonto, ma da qui ne vale davvero la pena.
[Immagini: Caterina Vianello]