“Solo pubblicità, tutta pubblicità”. Quante volte abbiamo ripetuto questo ritornello mentre, girovagando tra gli scaffali del supermercato, abbiamo frenato l’impulso di prendere il pacco di biscotti con il packaging più attraente, magari con vezzosi mulini dei tempi andati, per dirigerci a malincuore verso il pacco famiglia tristanzuolo e in confezione anonima?
Quante volte abbiamo risposto a denti stretti “no, grazie” alla stoica dimostratrice che ci offriva allettanti quadratini di formaggio per invitarci a comprare certi prodotti?
Ecco, ora sappiamo che è esattamente così: ci siamo trattenuti per un preciso ragionamento e un fermo atto di volontà, mentre l’istinto avrebbe condotto la nostra mano verso le confezioni più attraenti e i promettenti bocconcini di formaggio.
A confermarlo non sono semplici studi, talvolta opinabili e quindi confutabili, ma un vero strumento scientifico, oggettivo e affidabile: un caschetto per elettroencefalografia istantanea con tanto di “eye-tracker”, un tracciatore di movimenti dello sguardo, in grado di fornire all’istante dati preziosi su cosa succede nel cervello quando il nostro sguardo si posa su confezioni curate, su etichette promozionali e su richiami pubblicitari di vario tipo.
In un esperimento di “brainmarketing” condotto dalla società di consulenza agroalimentare Agroter, di Forlì, insieme a BrainSigns, spin-off della Sapienza di Roma, i consumatori sono stati sguinzagliati tra gli scaffali dei supermercati equipaggiati di caschetto e eye- tracker.
Così sono stati analizzati in maniera imparziale processi inconsci che intervengono nelle nostre decisioni di consumo, il livello di attenzione verso le confezioni più curate e i prodotti più pubblicizzati.
Le conclusioni dell’esperimento, che in alcuni casi ha previsto la presenza di un agricoltore in carne e ossa all’ingresso del punto vendita, sono state che il tasso di “interazione neuronale”, vale a dire il livello di attenzione, interesse e impegno cognitivo, aumenta di quattro volte quando il produttore è fisicamente presente nel supermercato per la presentazione del prodotto.
In pratica: ricordare al consumatore il legame fra prodotto e produttore fa bene.
L’attenzione sale di tre volte quando l’occhio si posa su confezioni colorate e ammiccanti piuttosto che su quelle più spartane con packaging anonimo.
E maggiore attenzione in molti casi significa maggiore propensione all’acquisto. Non caso il brainmarketing promette di triplicare le vendite, in particolare quando si parla di frutta e verdura.
Vuol dire che nonostante tutti i nostri buoni propositi e i nostri stoici proponimenti, nove volte su dieci usciremo dal super con la nostra bella confezione di biscotti in mano, pur continuando a ripeterci che “è solo pubblicità”, e domandandoci come mai, per l’ennesima volta, ci siamo lasciati abbindolare da disegnini di gallinelle e mulini a vento.
Ma ora, almeno, abbiamo la risposta: tutta colpa dei neuroni.