Quando si parla di Aceto Balsamico Tradizionale è sempre una questione di tempo. Quello che occorre per la raccolta delle uve, per la cottura del mosto, per la sua stabilizzazione e per l’invecchiamento. Ma è anche il tempo legato a una storia, quella di grandi famiglie nobili che nei solai e nei granai delle case custodivano gelosamente, come oggetto di valore da tramandare nei testamenti, non solo questo liquido, ma anche gli strumenti per ottenerlo.
C’è dunque una sorta di sacralità dietro alla sua produzione, un’aura di prestigio legata al suo passato che non lo ha mai reso indispensabile al mero sostentamento quotidiano, bensì l’ha posizionato tra gli alimenti di pregio come condimento prezioso che diventa oggetto di “culto”. Considerato in passato come un balsamo per il corpo e per lo spirito, mantiene nei secoli questa nomea d’eccezione che lo rende oggi degno protagonista di piatti di alta cucina e indiscusso oggetto di piacere per veri intenditori. Occorre però fare attenzione: non tutto l’Aceto Balsamico è uguale ed è proprio il fattore tempo a decretarne una differenza fondamentale.
Le origini dell’Aceto Balsamico Tradizionale
Il primo documento storico in cui si parla di un prodotto riconducibile al Balsamico Tradizionale è il Vitae Mathildis del monaco benedettino Doninzone composto tra il 1111 e il 1116: un dono prezioso che il marchese Bonifacio, padre di Matilde di Canossa, fece a Enrico III, imperatore di Germania su sua richiesta stessa. Fu regalato in una botticella d’argento e attesta, nell’attuale provincia di Reggio Emilia, la tradizione di un liquido agrodolce legato ai Canossa.
Ma la parola Balsamico riferita a un aceto venne associata solo centinaia di anni più tardi quando nel Ducato di Modena e Reggio Emilia, a metà Settecento, fu affiancato a un condimento agrodolce e utilizzato quasi come medicamento. Sono quelli gli anni in cui negli inventari dei palazzi ducali compare spesso la parola aceto agro o agrodolce a testimonianza dell’importanza che ebbe all’interno del casato degli Este.
Il Balsamico di ieri, Tradizionale di oggi
Esisteva, allora, una vera e propria classificazione: ordinario o comune, fino, mezzo Balsamico e Balsamico. La storia vuole che il Balsamico (che oggi potremmo chiamare Tradizionale), parta solo dal mosto cotto e debba seguire un lungo invecchiamento.
Alla fine dell’Ottocento il Balsamico è protagonista di esposizioni universali e manifestazioni organizzate all’estero, ma la vera diffusione sarà nel dopoguerra quando, intuite le sue potenzialità, venne riconosciuta la denominazione Aceto Balsamico di Modena tramite un Decreto Ministeriale del 1965. Con questo passaggio però non si tutelò la sua origine, bensì il metodo di lavorazione di quello che i ricettari ottocenteschi chiamavano mezzo Balsamico, ossia la miscela tra aceto di vino e mosto cotto, diverso da quello di tradizione nobiliare realizzato esclusivamente con il mosto cotto abbinato al fattore tempo, ossia a un lungo invecchiamento. Per questo prodotto venne anche ammesso l’uso del mosto concentrato enologico, la correzione del colore con l’utilizzo del caramello e un processo di invecchiamento privo di un tempo da rispettare.
Tra Modena e Reggio Emilia i produttori di Balsamico senza aceto iniziarono a storcere il naso e negli anni Ottanta nacquero le Doc Aceto Balsamico Tradizionale di Modena e Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia. È dunque tutto racchiuso nella parola Tradizionale il segreto di prodotti così diversi. Entrambe le Doc diventeranno poi Dop distinte nel 2000, mentre nel 2009 venne creata l’Igp Aceto Balsamico di Modena che ricalcando il decreto del 1965, a onor del vero, creò e continua a creare grande confusione sul mercato.
Aceto Balsamico o Tradizionale? Facciamo chiarezza
L’Aceto Balsamico prevede una miscelazione di ingredienti (aceto di vino, mosto cotto o concentrato, caramello per dare colore fino al 2 % e una percentuale di aceto di dieci anni) che deve avvenire nei luoghi di origine, ossia nelle provincie di Modena e Reggio Emilia, e sempre in questo territorio deve essere affinato per 60 giorni. Le materie prime possono provenire da ogni dove, e ovunque si può effettuare l’imbottigliamento con bottiglie di qualsiasi formato e aspetto purché superiori a 250 ml. Sessanta contro 4380 e una doppia fermentazione di solo mosto d’uva: ecco la differenza fondamentale tra i due prodotti.
L’Aceto Balsamico Tradizionale è dunque quello che è colorato naturalmente dalla cottura del mosto e dall’invecchiamento e riposa nelle botti almeno 12 anni per la categoria Affinato e almeno 25 anni per l’Extravecchio. Il Balsamico in commercio dunqeu non è il prodotto puro e storico, bensì quello diffuso dall’industria, di veloce produzione (ha solo 60 giorni di affinamento) non necessariamente italiana al 100% e che si aggira sui 100 milioni di litri all’anno. Sul tema è interessante l’approfondimento che tratta Andrea Bezzecchi, titolare dell’Acetaia San Giacomo di Novellara (Re), sul volume Gastronazionalismo edito da People Idee.
DOP Reggio Emilia, cosa cambia rispetto a quello di Modena
“Gemello diverso” del più rinomato modenese, il Tradizionale di Reggio Emilia Dop è un piccolo grande vanto della tradizione italiana. Racconta di una terra già conosciuta a tanti grazie a un parente ben più famoso, il Parmigiano Reggiano Dop con cui si sposa in abbinamenti perfetti, ma anche al Grana Padano o al Prosciutto di Parma. È ottenuto dalla fermentazione del mosto proveniente dalle uve della zona (Trebbiano, Lambrusco) prodotte nella provincia di Reggio Emilia e, dopo la cottura, viene affinato in botti di legno (castagno, rovere, gelso, frassino, ciliegio, ginepro, robinia) e invecchiato un minimo di 12 anni in quei luoghi che il tempo rende “sacri” e che si chiamano acetaie.
Qui l’Aceto prende vita, profumi, aromi, gusto attraverso un invecchiamento dinamico (con annate diverse e perpetuo) in cui si concentra naturalmente e questo avviene per gli sbalzi di calore: ecco perché le acetaie si trovano sempre nei sotto tetti e non possono né chiudersi, né essere climatizzate. È il susseguirsi di tempo in cui avere a disposizione il caldo che fa evaporare il prodotto e il freddo che lo fa decantare il vero valore aggiunto; tempo in cui le batterie di botti che vanno da un minimo di cinque a un massimo di nove sono soggette a travasi annuali (secondo il metodo solera) per andare a sopperire al prodotto evaporato.
I tre bollini, le ampolle e il Consorzio
La classificazione dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia Dop voluta dal Consorzio di Tutela (fondato nel 1986 e con una sessantina di associati) si esprime attraverso l’assegnazione di tre bollini apposti sulle singole bottiglie: aragosta, argento e oro i cui criteri sono individuati dal disciplinare di produzione in base all’invecchiamento e alle caratteristiche gustative e olfattive. Il bollino aragosta rispecchia un Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia Dop più acetoso degli altri e invecchiato 12 anni.
Il suo utilizzo in cucina è spesso quello della preparazione dei fondi di cottura per la selvaggina, il pollame e il baccalà. Il bollino argento viene assegnato con un invecchiamento di almeno 12 anni: rispetto al precedente si caratterizza per una maggiore concentrazione con il risultato di una minore acidità e un più importante sentore agrodolce. In cucina è amato per mantecare il risotto, ma è ideale anche in abbinamento al Parmigiano Reggiano (altro vanto locale). Il bollino oro corrisponde invece a un aceto invecchiano minimo 25 anni: un tempo lunghissimo che conferisce sensazioni gustative da scoprire a crudo, con gocce da gustare sia con il dolce che con il salato: dalla frutta al gelato, dai formaggi alla crema pasticcera.
Da qualche anno, oltre alla celebre bottiglia che ricorda un tulipano rovesciato da 100, sono state messe sul mercato le ampolline da 10 ml vendute in cofanetti singoli o con le tre varietà di Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia Dop.
Il prezzo
Il trittico di ognuno dei bollini costa sui 50 euro; le ampolline da 100 ml in confezione con tappo versatore in vetro soffiato e ricettario vanno tra i 45/50 euro dell’aragosta, i 65/70 euro dell’argento e intorno ai 100-110 euro per il bollino oro: rispetto a un Aceto Balsamico Tradizionale di Modena costano il 20-30% in più perché la produzione è decisamente minore (si parla di 7/8 volte in meno). E per conoscere l’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia Dop il 15 e il 16 aprile si terranno in Reggio Emilia e provincia le Giornate Balsamiche con la possibilità di visitare le acetaie aperte, partecipare ad assaggi guidati e all’inaugurazione dell’Acetaia del Castello di Canossa.