Per una serie di convergenze, Dicembre sembra essere il mese del tartufo. Un po’ perché è stagione sia di bianco che di nero, un po’ perché le condizioni climatiche ne incoraggiano il consumo, un po’ perché si avvicinano le feste e il momento in cui il tartufo si regala o si compra per occasioni speciali. Insomma io stessa per onorare questa usanza, ho passato la frazione di Dicembre che non ho trascorso in quarantena leggendo (e fotografando) le etichette dei barattoli di salse tartufate che trovavo in giro. Mi rendo conto che non è proprio la stessa cosa, ma c’è un perché.
Questo interesse per il tartufo parte da lontano. Proprio su Dissapore abbiamo raccontato cos’è il tartufo e perché è così speciale, come scegliere un tartufo avendo la sicurezza di spendere bene i propri soldi, quali sono le preparazioni migliori per il tartufo bianco, cosa distingue il tartufo bianco da quello nero, come si conserva e come si serve il tartufo. E in questi casi, non c’è mai stato nessuno con cui abbia parlato, di cui abbia letto o che abbia intervistato che raccomandasse di consumare salse al tartufo, salse con il tartufo, salse tartufate, salse a base di tartufo. O creme. Chiamatele come volete. Anzi in un libro capitale per chi è appassionato di tartufo, come “Alla Scoperta del Tartufo”, già dalla prima pagina veniva riportato un discorso in cui Carlo Petrini tuonava: “Smettiamo di rifilare a un pubblico sprovveduto quella pletora di prodotti al tartufo costruiti con sostanze chimiche. La democrazia è prima di tutto trasparenza e onestà”. Boom.
In commercio i prodotti al tartufo, tra cui le creme oggetto di questo articolo, sono moltissimi. Non è difficile capire perché: il tartufo è un ingrediente molto ambito e molto apprezzato che ha un sapore (e un profumo) ben riconoscibile. Dal Tuber ipogeo vengono fuori un’infinità di derivati: olii al tartufo, burro, maionese, formaggi e affettati, paste ripiene, risotti al tartufo, perfino cioccolato, ketchup e soia. Le creme e le salse sono universalmente quelle più diffuse. Basta aprire Google e digitare “crema al tartufo” per ottenere migliaia di referenze. Sono sia i grandi coltivatori e venditori di tartufi a produrne alcune tipologie, sia marchi specializzati nella produzione di salse, come quelle con formaggi, pesti e frutta secca. Nei supermercati questi prodotti sono immancabili e potrebbero essere tra le uniche forme di tartufo che vedrete passare tra gli scaffali della GDO. La ragione? Due probabilmente: prezzo più accessibile e lunga e facile conservazione.
Cerchiamo a questo punto di capire cosa c’è veramente in queste salse tartufate. Partendo dal presupposto che sicuramente non tutti i prodotti sono uguali e che, come in ogni categoria merceologica, esistono infiniti livelli di qualità e di prezzo. In primo luogo c’è il tartufo. Sì, ok, ma quale? Considerando i costi altissimi, il pregio e le modalità di fruizione, il tartufo bianco per eccellenza, il Tuber Magnatum Pico non compare mai in questo tipo di prodotti. Esisterà probabilmente qualcuno che lo destina al mercato delle salse, ma si tratta di casi rari e di percentuali di tartufo irrisorie, in ogni caso ben dichiarate nelle etichette. Che si aggirano intorno all’1% del prodotto complessivo, anche molto meno. Il tartufo bianco autunnale è più spesso sostituito da quello estivo, anche detto bianchetto o marzuolo (riconoscibile col nome scientifico di Tuber Albidum Pico o Tuber Borchii Vitt.).
Dicasi lo stesso per il tartufo nero. Quasi mai quello pregiato (Tuber Melanosporum), quasi sempre quello estivo (nelle etichette leggasi Tuber Aestivum Vitt.). Le quantità sono anche in questo caso irrisorie e vanno dal 3% al 5% del contenuto del barattolo. Se prendiamo l’esempio di un vasetto di crema tartufata da 200 g, stiamo parlando di 6/10 grammi di tartufo. Per questo mi stupisce molto trovare sul web ricette che contemplino la preparazione delle salse al tartufo in ambiente domestico a partire da 50 o 100 g di tartufo. Online poi ci sono alcune referenze che raggiungono anche il 13% e il 15%, ma sono davvero delle eccezioni.
Per il resto nelle etichette si legge un po’ di tutto: dal formaggio nel caso delle salse “bianche”, olio di semi o d’oliva, latte, panna o burro, poi aglio, cipolla, pepe, sale e soprattutto funghi, porcini o non, tritati insieme al tartufo. In un caso anche “nero di seppia” che, suppongo, sia stato d’aiuto per accentuare il colore. Infine una voce generica, “aroma”, che vuol dire tutto o non vuol dire nulla. Tuttavia chi ha mangiato salse al tartufo, eufemisticamente diremo “di non particolare pregio”, sa bene a cosa ci riferiamo. Un sapore artificioso e persistente che rimane in bocca anche a distanza di molte ore. Per niente piacevole.
Nel 2018 Report dedicò un servizio al tartufo da cui emerse l’esistenza di una molecola di sintesi, il bismetiltiometano, che riproduce in modo fedele il profumo del tartufo bianco, pur non avendo neanche un briciolo di tartufo. Il servizio mostrava una fialetta che conteneva un liquido trasparente che racchiudeva in ogni singola goccia l’aroma del tartufo bianco. Ma non basta: come dichiarato da Daniele Naviglio, professore di chimica analitica dell’Università Federico II di Napoli “È possibile ricavare dal petrolio delle unità base, ovvero delle molecole piccoline, che possono servire per sintetizzare altre molecole” in questo caso proprio quelle del bismetiltiometano, responsabili del profumo del tartufo e completamente legali.
Non a caso alcuni marchi di salse tartufate che vogliono puntare maggiormente sulla qualità insistono sull’assenza di coloranti, conservanti e aromi artificiali sostituiti con “aromi naturali”. Del resto se abbiamo raccontato che il tartufo andrebbe consumato per lo più fresco, tagliato a lamelle sottili, cotto solo in rarissimi casi, come possiamo pensare che un processo che lo rende crema da barattolo sia ideale per degustare questo tipo di prodotto? Di certo c’è che la crema o la salsa permette di avere costi molto più contenuti, e quindi accessibili a un pubblico potenzialmente più ampio, e di allungare i tempi di consumo, rendendo la fruizione più immediata. Le creme si mangiano un po’ ovunque, sia crude che cotte, o semplicemente con un cucchiaino spalmate sul pane. Il tartufo fresco necessita di molte più attenzioni.
Nel libro citato sopra, si legge quanto segue sul profumo di tartufo: “Una certa cautela richiedono poi i cosiddetti prodotti tartufati: olio e burro, salse e sughi, formaggi, paté, farine e riso, tagliatelle, paste ripiene, persino dolci e quant’altro venga in mente di aromatizzare al tartufo. Sono prodotti industriali che, per compensare l’alterazione di sapore e profumo dovuta ai diversi processi di lavorazione, possono essere addizionati con l’aroma tartufo, una sostanza che nulla ha da spartire con il fungo ipogeo, tranne l’equivalenza chimica con la sua principale componente odorosa. Molti dei prodotti tartufati in commercio contengono questa sostanza, lecita e innocua, ma sicuramente diversa dalla complessità̀ aromatica del tartufo bianco d’Alba consumato fresco. Certo, chi ritiene di non potersi permettere l’acquisto di un tartufo fresco, o la “grattatina” sulle tagliatelle ordinate al ristorante, è felice di portarsi a casa come souvenir una bottiglietta di olio al tartufo. Ma, nel migliore dei mondi possibili che ci sforziamo di immaginare, il tartufo, soprattutto il bianco pregiato, si consuma fresco, nei modi codificati dalle tradizioni regionali o suggeriti dall’estro degli chef”.
Chiedendo in giro agli operatori del settore, più volte mi viene sottolineato che per le creme tartufate vengono usati tartufi di terza scelta, non necessariamente italiani (solo in qualche caso in etichetta viene espressa la provenienza) e che questi prodotti sono comodi non solo per il prezzo ma anche perché, nei periodi dell’anno in cui l’offerta di tartufo scarseggia o è del tutto assente, rappresentano dei sostitutivi. Altro punto di vantaggio: possono essere spediti per soddisfare il mercato estero. In ogni caso, trovarsi al ristorante con una pasta condita con crema di tartufo è un campanello d’allarme che non promette molto bene. Per tutto il resto, vale sempre la pena leggere molto attentamente l’etichetta.