Il 2020 è stato l’anno del miele: complice la pandemia e una crescente attenzione agli aspetti della salute (perché, sì, il miele viene ancora principalmente considerato un prodotto “che fa bene” cogliendo così solo un aspetto del suo carattere e del suo essere un vero e proprio alimento), lo scorso anno si è registrata una crescita del 13% nei consumi.
Lo sottolinea l’Ismea, che non si limita solo a registrare un incremento dopo un biennio (2018-2019), in cui si era assistito ad un ripiegamento, ma evidenzia anche – più significativamente – una trasformazione nell’identità del consumatore-tipo. Se fino a qualche anno fa la maggior spinta all’acquisto proveniva da famiglie con componenti over 50 e di reddito medio alto, nel 2020 si è assistito ad un capovolgimento: giovani e famiglie con figli adolescenti hanno trainato il mercato (con incrementi degli acquisti fino al 56%), e il miele è stato consumato anche da famiglie a reddito medio-basso, confermando un apprezzamento trasversale.
A fronte di dati così incoraggianti e complice anche una ancora diffusa confusione su molti aspetti produttivi (lo sapete, vero che il miele non lo fanno le api, ma le piante? Le api si limitano a succhiare il nettare prodotto dalle piante) che rende purtroppo più semplice ingannare il consumatore, abbiamo pensato di fornirvi un vademecum per riconoscere il miele di qualità, in modo tale da fare acquisti consapevoli, sia che scegliate la Gdo (sulla quale smentiremo molti pregiudizi), sia che vi rivolgiate ai mercatini locali (che non coincidono sempre con l’immagine bucolica del sano in assoluto, come vedremo).
Preziosissimo si è rivelato l’aiuto di Lucia Piana, esperta in analisi polliniche e melissopalinologiche, titolare di una società che da molti anni si occupa di formazione tecnica, analisi sensoriale e della qualità del miele, oltre che di consulenze e collaborazioni scientifiche sia in Italia che all’estero.
Cos’è il miele
Prima di addentrarci nei consigli, ecco la parte noiosa, da leguilei, che siete autorizzati a saltare ma che tuttavia ci tornerà utile quando parleremo di normativa italiana versus normative UE. La definizione di miele si trova nel d.lgs n 179/2004, che attua la direttiva 2001/110/CE. La stessa legge permette di distinguere quanto a origine – tra miele di fiori o miele di nettare e miele di melata – e metodo di produzione o di estrazione -tra miele in favo, scolato, centrifugato, torchiato, filtrato. Le distinzioni ben più interessanti, tuttavia sono due, quella per origine botanica e quella per origine geografica.
Grazie alla prima impariamo a distinguere tra miele uniflorale, nel caso in cui esso provenga principalmente da un’unica origine botanica e ne risulti sufficientemente caratterizzato dal punto di vista della composizione e delle caratteristiche organolettiche (in questo caso possiamo dire che la produzione di mieli uniflorali è possibile per quelle specie botaniche che sono presenti in grande abbondanza in zone sufficientemente estese) e miele millefiori. In Italia siamo molto fortunati: non solo sul nostro territorio – a causa della conformazione geografica ed ambientale – è presente metà delle specie botaniche di tutta Europa, ma vantiamo una lunga tradizione apistica (di allevamento e lavorazione). Il risultato è una grande varietà di specie mellifere che consente di produrre qualcosa come una sessantina di mieli uniflorali oltre a infinite variazioni di mieli millefiori. Dei 60 mieli uniflorali, una trentina circa non sono commerciabili: significa cioè che non sono prodotti in quantità tali da poter essere commerciati su grande scala. Possono tuttavia essere acquistati in contesti locali e su piccola scala.
L’etichetta parlante
Il primo consiglio per scegliere un miele di qualità è quello di leggere l’etichetta. La legge di riferimento è la n. 81/11 marzo 2006, secondo cui “sull’etichetta devono essere indicati il Paese o i Paesi d’origine in cui il miele è stato raccolto”. Più in generale, maggiori sono le informazioni riportate (luogo di produzione/origine geografica, luogo di confezionamento, produttore – attenzione: sede dell’azienda e origine del miele non sempre coincidono – origine botanica, composizione, data di produzione, data di scadenza) più dovremmo ritenere di trovarci di fronte ad un “buon” miele. In riferimento alla provenienza, rispetto alla normativa UE, quella italiana è più severa: i confezionatori italiani sono obbligati a riportare anche i nomi dei Paesi di origine delle miscele, non necessariamente in ordine decrescente, ma evidenziando chi ha fornito più del 20% della materia prima.
Quanto all’origine botanica, il produttore può (ma non deve) evidenziarla, a condizione che il prodotto provenga principalmente dall’origine indicata e ne possegga le caratteristiche organolettiche, fisicochimiche e microscopiche. La denominazione (botanica e geografica) è motivo di pregio ed esercita un “fascino” notevole sul consumatore: tuttavia, visto che le api si spostano in un raggio d’azione di 3 km (corrispondente a 2826 ettari) e l’apicoltore, una volta liberate le api, non è in grado di geolocalizzarle, è possibile che un miele non sia “puro”, o meglio, non è possibile sapere se il nettare raccolto proviene tutto dalla stessa varietà botanica. Questo ovviamente non significa che se compriamo miele di acacia (è un esempio, ovviamente), nel vasetto ci sia tutt’altro: significa semplicemente che si deve mettere in conto una certa contaminazione, peraltro con margini riconosciuti dalla legge e verificabile a seguito di uno studio al microscopio dei pollini contenuti nel miele stesso (analisi melissopalinologica).
UE o non UE
Proprio rispetto a quanto detto poco fa, il primo consiglio è di privilegiare il miele italiano non tanto per campanilismo ma perché la legge italiana è più restrittiva. La normativa europea infatti ha maglie più larghe. Se infatti inizialmente si precisa che “il paese o i paesi d’origine in cui il miele è stato raccolto sono indicati sull’etichetta”, è ammessa una deroga non da poco: “se il miele è originario di più Stati membri o paesi terzi, l’indicazione dei paesi d’origine può essere sostituita da una delle seguenti, a seconda dei casi:
- “miscela di mieli originari dell’UE”
- “miscela di mieli non originari dell’UE”
- “miscela di mieli originari e non originari dell’UE”
Fuori dal linguaggio giuridico significa che, nel caso di mieli miscelati, non sappiamo praticamente nulla circa la loro origine, se non se siano stati prodotti all’interno di paesi Ue o meno. Ed è in queste maglie larghissime che si inseriscono sia il miele proveniente dalla Cina (di bassa qualità e più soggetto a diversi tipi di contraffazioni) sia più in generale contraffazioni legate all’identità del prodotto (miele “tagliato” con sciroppi) e alla sua provenienza.
Il motivo per cui si ricorre a mieli miscelati, in particolare nella grande distribuzione, è la necessità di disporre sempre di grandi quantità e quindi di avere un mercato stabile: molti sono infatti i fattori che influiscono sulla produzione (condizioni climatiche, ambientali, temperature) e quindi ecco il ricorso a miscele che consentono di avere scaffali sempre forniti.
Questione ancora più insidiosa e in cui è praticamente impossibile risalire all’origine geografica è quella legata al miele industriale, destinato cioè alla produzione di prodotti dolciari: qui i controlli sono inferiori rispetto alla filiera del consumo “puro” e le frodi sono più frequenti: le aziende dolciarie non solo hanno bisogno di quantità standard ma anche di un prodotto sempre identico a sé stesso, che non alteri gusto e proprietà dei prodotti in cui viene impiegato. Quindi adulterazioni e ricerca di quantità a basso prezzo sono più frequenti.
Colore
Il primo elemento cui prestare attenzione, pur tenendo conto delle caratteristiche cromatiche delle varietà specifiche, è l’omogeneità: un colore omogeneo, privo di differenze, macchie, difformità, indica generalmente un prodotto di qualità e soprattutto un prodotto conservato in modo corretto. Temperature elevate e luce diretta sono nemiche del miele, causando degradazione degli zuccheri, impoverimento degli aromi e inscurimento del colore. Anche se in questi casi il prodotto non diventa nocivo per la salute, il consiglio è comunque quello di consumare il miele entro due anni dalla data di produzione.
Consistenza
Al momento dell’estrazione dai favi tutti i mieli hanno una consistenza molto viscosa, che nel corso del tempo tende tuttavia a trasformarsi, causando la cristallizzazione, che è segno di qualità. Esistono solo tre tipologie di miele che non cristallizzano, l’acacia (o robinia), il castagno, il miele di melata. Tutti gli altri nel giro di qualche settimana o di qualche mese si solidificano. La maggior parte dei consumatori tuttavia preferisce la consistenza liquida e l’industria si è adeguata: le tecniche per ottenerla consistono in processi di riscaldamento (pastorizzazione) e filtrazione che tendono a distruggere le componenti essenziali e le proprietà benefiche del miele. Meglio quindi comprare un prodotto “naturalmente” liquido o nei primi mesi dopo il raccolto (da maggio a settembre/ottobre). Discorso a parte merita la separazione in uno strato liquido, superficiale, e in uno solido e cristallizzato, sul fondo: in questo caso non si tratta di un difetto estetico ma il processo è indice di una conservazione non adeguata o di un riscaldamento realizzato per prolungare la consistenza liquida che non è andato a buon fine.
Prezzo
Meglio diffidare di prodotti troppo economici: un miele poco costoso dovrebbe far nascere dubbi sia sulla sua autenticità (potrebbe cioè essere stato tagliato con sciroppi) sia sulla sua origine (torniamo all’inizio, e al miele miscelato con un prodotto estero, cinese in particolare). Può tuttavia accadere che ad un prezzo elevato non corrisponda un prodotto di qualità, ma in genere le frodi o la bassa qualità sono più frequenti nel caso di mieli poco costosi.
Dove acquistare
E’ forse il punto più controverso, quello che smentisce l’assioma secondo cui la GdO sarebbe la vetrina del prodotto di media qualità mentre i produttori/mercatini locali sarebbero i depositari delle tradizioni, della qualità, della bontà, della purezza e della tipicità. Non intendiamo ovviamente ribaltare l’assunto ma essere un po’ più precisi per evitare le opposizioni approssimative. Se è un dato di fatto che la Gdo non si distingue per varietà, è tuttavia vero che si trova generalmente un prodotto dalla filiera lunga, che in questo caso è sinonimo di maggiori controlli. Lucia Piana ci spiega infatti che nessuno in questo caso – da chi produce il miele, a chi lo conferisce, a chi lo invasetta – vuole rimetterci ed andare incontro a multe o ad una perdita di credibilità di fronte ai consumatori.
Insomma, la Gdo propone generalmente mieli di “invasettatori”; accade infatti che, come per altri settori, in apicoltura la produzione sia frammentata: per i piccoli produttori, che non riescono a produrre grandi volumi o non sempre comunque con regolarità, è difficile accedere direttamente alla distribuzione. Il prodotto viene quindi conferito ad aziende che fanno da tramite con il mercato: non trasformano il prodotto, ma lo raccolgono, lo selezionano e lo preparano per la vendita. Citando l’Osservatorio Nazionale Miele: “per assicurare le quantità e la costanza richieste dalla grande distribuzione in generale tali aziende accorpano diverse partite di miele provenienti da diversi produttori. Pressoché tutte le marche presenti nella grande distribuzione sono di questa tipologia, anche se si presentano come produttori ed effettivamente producono una parte (piccola o grande) di quello che vendono. Nei punti vendita della grande distribuzione si troveranno soprattutto mieli di aziende di invasettamento, e una scelta discreta, ma non le tipologie più rare e insolite. Ci si può rivolgere a questo tipo di prodotto con fiducia, perché è quasi certo che quello che è scritto in etichetta corrisponde al vero e i prodotti sono controllati sia dall’invasettatore che dagli organi di tutela con una certa frequenza”.
Per rarità e nicchie in genere si guarda ai produttori locali: i consigli, qui, sono diversi. Visto che i controlli in questo caso sono inferiori, è più frequente incappare non solo in “falsi produttori” – in realtà azienda invasettatrici che acquistano dal produttore e si spacciano per apicoltori – ma anche in prodotti che non sono locali. Diffidare insomma di prodotti che sono venduti in zone evidentemente lontane dalla – presunta – produzione: per capirci, se in un mercatino in Trentino Alto Adige trovate un produttore che vende miele di agrumi, meglio evitare. Comprate mieli locali e preferibilmente vicino al momento della raccolta.
Nozioni gustative
Se gli assaggiatori professionali di miele hanno una serie di competenze specifiche e strumenti tali da compiere un’articolata analisi organolettica (a proposito: le modalità di assaggio professionale del miele sono state configurate negli anni 70 da Michel Gonnet. Oggi queste modalità si ritrovano codificate dall’Albo Nazionale degli Esperti in Analisi Sensoriale del Miele) è comunque possibile fare riferimento in modo amatoriale ad alcune nozione gustative di base.
Il consiglio è quello di trasferire una quantità di circa 30 g di miele in un ballon o in un calice da vino. Il primo esame è quello della vista: stato fisico (cristallizzato o liquido, dimensione dei cristalli), aspetto (limpido, torbido, omogeneo) e colore (in una scala che va da molto chiaro a molto scuro) forniscono già delle prime indicazioni rispetto al prodotto.
Il secondo è quello dell’olfatto: il consiglio è quello di spatolare il miele sulla superficie del bicchiere. L’intensità è primo elemento a cui prestare attenzione: da impercettibile a forte, cui seguono un serie di odori per aiutarci a classificare i quali si può fare riferimento alla “ruota degli odori e degli aromi” messa a punto dagli Ambasciatori dei mieli. Ecco allora termini come floreale, fruttato, vegetale, caldo, aromatico, animale, caramellato, chimico e le loro sottofamiglie.
Per l’esame gustativo il consiglio è quello di concentrarsi prima su aroma, sapore e persistenza (esame olfatto-gustativo) e poi sulla consistenza (esame tattile). Per l’aroma ci tornerà utile la ruota, mentre per il sapore possiamo fare riferimento alle categorie fondamentali di dolce, acido, amaro, salato e umami. Persistenza (da nulla a lunga) e retrogusto anticipano la chiusura dell’esame affidata all’analisi di consistenza (da fluida a compatta passando per diverse gradazioni) e caratteristiche dei cristalli (da molto fini a molto grossi, da solubili a insolubili).