Se avete mangiato carne di Wagyu in un ristorante stellato dell’Alto Adige, ha scritto l’altro giorno il Corriere della Sera, ci sono buone probabilità che non arrivi dal Giappone.
Il motivo? Stefan Rottensteiner.
A 25 anni si definisce “un giovane contadino con grandi sogni”, e nel suo agriturismo di Renon, poco più di sette mila abitanti in provincia di Bolzano, si dedica al pregiato e costoso manzo nipponico da quando ne aveva 21.
Su Dissapore abbiamo già parlato di manzi Wagyu allevati in Italia, anzi siamo stati a Ca’ Negra, tra le province di Venezia e Rovigo, appena superato Cavarzere, dove la preziosa bistecca “marmorizzata” (per via delle striature di grasso saporito più o meno diffuse) è a portata di forchetta grazie all’intraprendenza dei fratelli Borletti.
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Rottensteiner dice di avere “sperimentato in autonomia i sistemi di allevamento, con gli animali che ogni giorno possono godersi l’erba di montagna e uno stile di vita che prevede sano movimento al pascolo”.
Per essere precisi i vitellini, svezzati in autonomia dalle madri fino a un anno d’età, mangiano poi “soltanto erba, fieno, avena e semi di lino”.
I biologi dell’Università di Bolzano, che collabora da anni con il giovane allevatore monitorando, grazie a un sistema a infrarossi, lo spessore dello stato di grasso raccolto intorno al muscolo e nella carne quando i manzi sono pronti per il macello, confermano che il manzo dell’allevamento altoatesino ha una marmorizzazione elevata e ben distribuita, e una percentuale contenuta di colesterolo, con la metà dei grassi saturi rispetto a quello tradizionale.
E se oggi il manzo di Wagyu cresciuto a Renon si può mangiare in alcuni ristoranti stellati del Trentino, o comprare con prezzi che vanno da 8 euro per 100 grammi di salumi fino ai 29 euro del filetto, Rottensteiner ha deciso di mettere la sua esperienza a disposizione di chi è interessato ad allevare questo tipo di bestiame con una società di consulenza.
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L’allevatore altoatesino non ha intenzione di fermarsi a questo, e insieme alla sua famiglia medita l’apertura di un ristorante specializzato nelle diverse varietà di Wagyu.
Compresa una versione a costi più accessibili, anzi dimezzati. Chiamiamola una seconda linea, molto simile nell’aspetto super marezzato ma dal sapore meno intenso, realizzata incrociando bovini da latte e Wagyu.
Per chi vuole saperne di più, con l’espressione “Wagyu” (“Wa” significa giapponese, “Gyu” significa mucca) s’intende ognuna delle 4 razze giapponesi: Japanese Black, Japanese Shorthorn, Japanese Polled e Japanese Browl (mentre il manzo di Kobe si ricava solo dalla razza Japanese Black). Qualsiasi razza di bestiame giapponese oltre a questi quattro non dovrebbe essere chiamata Wagyu.
Tutto il manzo di Kobe è Wagyu, non tutta la carne Wagyu viene da Kobe.
Tutta la carne Wagyu, invece, viene valutata da un disciplinare rigoroso definito dal Ministero dell’Agricoltura giapponese, che usando un’apposita scala ne misura sia la qualità –con indicatori che vanno da 1 a 5 e che tengono conto di colore, consistenza, venature e qualità del grasso– sia la resa, con parametri che vanno da A a C.