Gli e-commerce sono probabilmente l’unica arma dei produttori artigianali, che non vendono attraverso i supermercati, per superare la crisi (economica) dovuta al Coronavirus. Eppure fiumi di odio si riversano contro chi prova a vendere online colombe artigianali. Una shitstorm tutta campana che vogliamo raccontarvi.
Diciamolo, tranquillamente: alla terza settimana di quarantena tutta italiana (conto dal famoso Decreto), siamo tutti un po’ nervosi. Al Sud, si direbbe che siamo muzzecati r’a tarantola, morsi dalla tarantola velenosa e quindi un tantino agitati. Comprensibile: siamo privati delle nostre abitudini ed abbiamo non una, ma un milione di incertezze. Come circa il 40% della popolazione mondiale.
Già andando a zonzo durante il Carnevale (a debita distanza da tutto, era nell’aria sarebbe successo qualcosa di importante) avevo avuto l’opportunità di notare un deciso numero di vetrine nutrite di dolci invenduti. A Napoli, il pomeriggio di Carnevale, non trovi una castagnola, una chiacchiera, un migliaccio, se non hai prenotato. Già tutto suonava strano: bar e pasticcerie sono da sempre sentinelle cittadine del benessere, vederli vuoti lasciava presagire male.
Premessa: l’austerità tutta campana contro Delivery e..zeppole
Ed infatti, decreto prima e direttive poi, alla fine bar e pasticcerie sono stati chiusi al pubblico; in Campania la situazione è ancora più stringente, visto che è vietato anche il delivery dei piatti pronti (tradotto: niente pizza a domicilio); abbiamo mappato praticamente tutto il delivery attualmente esistente in Italia, nelle principali città. Per la Campania, non è stato possibile.
Questo sicuramente ha esacerbato animi stanchi, tastiere dalle parole affilate ed occhi che non aspettavano altro di vedere l’erba del vicino.
Una prima occasione c’è stata durante della festività di San Giuseppe: abbiamo visto un’alternarsi di ordinanze comunali anti-zeppola – in Campania – che vietava ai panifici di produrre e vendere zeppole di San Giuseppe; ordinanze coronate anche dal governatore campano che mette al pubblico ludibrio “le zeppole con la crema al Coronavirus” (sic). Gogna social assicurata per chi ha osato proporle, con tanto di “ma siamo in tempo di guerra, che senso ha fare le zeppole”.
Siamo ora giunti alla fine di marzo, con Pasqua alle porte; è già chiaro a tutti che le misure verranno prorogate per almeno altre due settimane oltre il termine canonico, diffuso dal decreto, del 3 aprile. Proroga che in Campania è già avvenuta con un’ordinanza del Governatore: battendo tutti sul tempo, ha già prorogato le chiusure fino al 14 aprile, mettendoci l’anima in pace con la Pasquetta sul balcone.
Facile immaginare lo sconcerto anche in questo caso dei pasticcieri: zero incassi con le specialità pasquali e tanto livore per chi, in qualche modo si è attrezzato, oltre lo stigma di alcuni consumatori.
E-commerce: l’ unica arma di chi non è in GDO
Marco De Vivo, della Pasticceria De Vivo di Pompei, con sede anche a Milano, ha pensato in maniera intelligente di implementare lo shop online, (così come stanno facendo tutte le piccole e medie imprese, d’altronde) mettendo a disposizione la produzione fatta prima del decreto. “Sono un imprenditore e – con il dovuto rispetto dei limiti imposti dalla legge – ho potenziato l’unico mezzo a nostra disposizione: lo shop online. C’è un numero considerevole di dolci confezionati, come le colombe, destinati ai nostri negozi e rivenditori del Nord, che ovviamente sono rimasti qui, data la situazione. Che fare? Nel pieno rispetto della legge, abbiamo messo tutto sullo shop online, anzi: abbiamo anche lanciato “La colomba della solidarietà”, per ogni colomba acquistata ben 10 euro saranno devoluti in beneficenza.”
Al popolo del web, autoproclamatosi dittatore in tempo di guerra, la cosa non è andata bene: Marco De Vivo e la sua attività sono letteralmente presi d’assalto dai commentatori, detrattori seriali che hanno accusato l’imprenditore di “speculare” e di andare “contro le leggi” in un momento gravissimo. In gergo: Marco De Vivo si è preso una vera e propria shitstorm.
Non si è scoraggiato però l’imprenditore. “Noi stiamo agendo nella massima trasparenza e nel rispetto della normativa attuale. Non vendiamo mica per fare record di vendite, anzi: però ci rendiamo conto che anche da zone molto martoriate dalla pandemia ci arrivano ordini ed io mi sono dato una spiegazione molto semplice della cosa. Il dolce, da che mondo è mondo, è una consolazione, così come anche il cioccolato. Persone chiuse in casa per 24h al giorno, hanno bisogno di una consolazione, di una speranza. Ma anche per chi lavora e non può prepararsi un dolce a casa ha bisogno di un sostegno, un piccolo premio. In questo periodo, più che all’incasso, miriamo a portare all’attenzione l’aspetto sociale del dolce, quello che forse i nostri detrattori stanno dimenticando.”
Anzi, aggiunge anche una postilla riservata ai panificatori – che in occasione di San Giuseppe, si sono presi una bella mazziata social: “Penso che i panificatori – ovviamente a norma di legge e muniti di tutte le licenze necessarie – possano preparare dolci semplici e confezionarli, senza dover incorrere nelle ire dei social. Noi non siamo nessuno per decidere cosa sia necessario per una persona: è cibo e si ha il diritto di comprarlo, ovviamente, nel pieno rispetto delle leggi attualmente vigenti. Un dolce a volte può cambiare la giornata, in questo periodo.”
Sono diverse le considerazioni che sovvengono, davanti a due fatti del genere. In pieno clima dagli all’untore, si è sicuramente un po’ esacerbata anche l’invidia di alcuni – con le attività obbligatoriamente chiuse, verso chi ha saputo premunirsi in un senso e verso chi ha sempre avuto le licenze per adoperarsi in un certo settore. A queste persone, noi vogliamo dire: vi capiamo. E’ angustiante non poter portare avanti la propria attività in questo periodo, dove gli incassi sono più semplici ed anche la soddisfazione personale data dai risultati, a volte ottimi, dei vostri prodotti. Ma non sono i vostri colleghi le persone da additare; e nemmeno i panifici che – sono anni che lo sappiamo, sono anni che lo fanno legalmente quelli che hanno tutte le licenze necessarie – vendono dolci.
I produttori di cibo che non sopravviveranno al Coronavirus
Organizzarsi tramite piattaforme e-shop per vendere ciò che già era pronto, sarebbe stata una soluzione. Anche tramite piattaforme terze (quelle dedicate al solo dolce, oppure altre specialità alimentari) se proprio non ci si poteva organizzare in autonomia. Anche se, come abbiamo potuto vedere stilando liste e liste di negozi di specialità che vendono online, anche ditte di artigiani con vetusta mentalità hanno deciso di far ricorso in calcio d’angolo all’unico mezzo a disposizione.
“Svuotare” i negozi di prodotti già pronti (biscotti, conserve, in qualche caso le prime colombe pronte) sarebbe stato anche un modo per ammortizzare, visto che le vittime saranno soprattutto le realtà più piccole e fragili. Se anche un colosso della grande distribuzione come Maina e Balocco – che legano i profitti per la maggior parte a vendite stagionali di colombe e panettoni – lamentano circa il 30% in meno di vendite nei supermercati, cercate di immaginare in che condizioni può versare il nostro pasticciere di fiducia, che ha dovuto dire di no ad una “catena di montaggio” artigianale, ad un cospicuo numero di “aiutanti” stagionali nonché fornitori delle eccellenze che farciscono i lievitati.
La colomba è un bene di prima necessità
E’ una ‘mmiria (traducibile con “invidia”, ma è poco pregnante: è più un “risentimento” generale) che ha colpito trasversalmente pasticcieri e consumatori. Poco regge il discorso che zeppole e colombe non sono beni di prima necessità. Probabilmente ciò che ci sfugge è sono passati circa settant’anni dall’ultima volta dove l’Italia intera fu messa a dura prova, da una guerra; anni dove, nel susseguirsi di un boom economico prima e di un relativo benessere poi, sono decisamente cambiate le abitudini. Ciò che prima era scontato “non avere”, oggi non lo è più, almeno per le persone che possono permetterselo. Vi stiamo soltanto mettendo di fronte il modello di società in cui avete sempre vissuto, che avete fomentato e che – d’oh! – ora volete repentinamente abbandonare.
Che vi piaccia o non vi piaccia, il cioccolato ha la stessa necessità di essere consegnato del pane; i biscotti idem, per non parlare degli alcolici. Controllate la vostra dispensa. Auspico che dopo tutto questo sarete i principali fautori delle pasticcerie e panetterie di stato, senza concorrenza, con i generi razionati.
Da rifiutarsi è anche l’idea di “non avere rispetto” per ciò che sta succedendo; ci sarebbe un discorso molto lungo da fare e speriamo vivamente non vi dimentichiate di rider, fattorini e corrieri una volta finito tutto, perché su queste pagine si parla dei loro diritti da molto prima del Coronavirus.
Nessuno della filiera va lasciato indietro, nessuno della filiera va additato se agisce a norma di legge. Cari consumatori, cari pasticcieri di diverso ordine e grado: noi vi supportiamo tutte le battaglie, ma per favore: le shitstorm contro quelli che si sono attrezzati per tempo no, non le fate. Forse un dolce, acquistato a norma di legge, vi salverà la giornata, di questi tempi.