Nella nostra spasmodica ricerca di trend nei grandi lievitati, navigando nel mare magnum dell’alveolo d’autore a meno di un mese dalla Pasqua, mi sono imbattuta nella Colomba vegana di Antonino Cannavacciuolo (ufficialmente chiamato “Dolce di Pasqua vegano al cioccolato, invero), novità del 2022 che stando all’e-commerce dello chef “nasce da una scommessa fatta con la moglie Cinzia”, che da anni seguirebbe un regime alimentare “particolare” tranne quando a casa è lui a cucinare.
Insomma Cinzia è vegana quando tanto non c’è granché di buono da mangiare e la colomba in questione non è nata per intercettare il crescente target veg.
Certa che la curiosità non vi faccia dormire la notte (…) mi sono prodigata per voi in una Prova d’assaggio dedicata alla colomba vegana di Antonino Cannavacciuolo. Mi sono registrata sul sito, ho pagato (il prezzo è di 29 euro per 750 grammi di lievitato) e dopo due giorni il prodotto era già a casa mia. Esperienza di acquisto più che positiva insomma.
I criteri di valutazione
Ripetiamo insieme: in questo lievitato non ci sono grassi e proteine animali. Insomma, non possiamo tararci utilizzando gli stessi criteri di un prodotto non vegano. Non dobbiamo aspettarci soffici alveolature, strutture filanti e burrose aromaticità. Cosa augurarci quindi? Che il profilo sensoriale sia caratterizzato da quanto riportato in etichetta:
Che insomma le note tostate e di cioccolato dominino la scena, che il morso risulti umido e soffice. Che il ricordo dopo la deglutizione sia godibile. Ed è proprio con queste premesse che ho radunato un’intera classe di futuri pasticceri (12 per la precisione) e, schede di assaggio alla mano, ho chiesto loro di assaggiare il lievitato, ovviamente alla cieca.
Che dirvi, l’aspetto non è molto invintante. Il lievitato è parzialmente staccato dal pirottino e poco sviluppato. Lo zucchero della glassa è in parte giallognolo, probabilmente ha assorbito liquidi dall’impasto e azzardo- la curcuma- ha ceduto colore.
L’aspetto ricorda più un pane di segale, o qualcosa di simile. Anche i rimandi aromatici hanno poco a che fare con un grande lieviato. Il tema sensoriale è giocato su sentori che ricordano più un pane altoatesino, il cioccolato e ahimè sentori di cartone (chiunque abbia assaggiato le prime versioni di bevande alla soia apparse in GDO anni fa sa di cosa parlo). Bene ma non benissimo insomma.
Occorre indulgenza anche rispetto al capitolo alveolatura e consistenza, ingeneroso il confronto rispetto ad un prodotto tradizionale. Il lievitato risulta umido al tatto, molto compatto. Tende a sbriciolare, il morso è coerente con le aspettative, umido e non elastico. In bocca risulta tutto sommato abbastanza godibile, la dolcezza è contenuta e il morso umido aiuta la deglutizione. Saggia la scelta di utilizzare una generosa quantità di cioccolato che ha un impatto aromatico tale da dominare la scena in retrolfazione, coprendo in parte i sentori meno invitanti percepiti in olfazione diretta. Paste di agrumi non pervenute.
Che dirvi, rispetto a molti prodotti vegani il buon Antonino è riuscito ad alzare un tantino l’asticella della godibilità. Insomma, c’è di molto peggio, e sono certa che palati più “educati” del nostro rispetto a certi profili sensoriali, potrebbero trovare il lievitato godibile.
Io però non riesco a provare simpatia per i sentori cartonati, nè le shelf life lunghissime, certamente non la stessa che provo per l’Antonino nazionale.