Da quanti anni ci ripetiamo che il “panettone tutto l’anno” sarebbe diventata una moda? Ho smesso di contarli. Certo è che c’è voluta la Pasqua per sdoganare, realmente, il re dei lievitati come evergreen: vedendo la colomba sostituirsi al panettone possiamo finalmente dirlo a ragion veduta: dobbiamo fare i conti con il panettone a tavola tutto l’anno.
Sotto mentite spoglie, tra bauletti e “merendine” varie, in formati più o meno riconoscibili, in vasocottura, tostato o quant’altro: ce l’abbiamo sempre in tavola, per non dire in bocca, ‘sto benedetto panettone.
Praticamente, da novembre 2020 fino ad ora non abbiamo mai smesso di mangiare il nostro grande lievitato preferito, che per l’occasione pasquale si è soltanto evoluto in colomba. Le differenze, tra panettone e colomba, ci sono eccome: ve le abbiamo abbondantemente illustrate, ma di base il concetto resta quello. Che sia Natale, Pasqua, Ferragosto, avere un grande lievitato (che sia esso “liscio”, con soli canditi, oppure farcito alle creme più varie) è il nuovo – per niente dietetico, direi – trend di noi italiani. Da Nord a Sud, senza distinzione alcuna: lo dimostrano le ultime classifiche di Dissapore, ma anche concorsi esterni con i quali nulla abbiamo da dividere. C’è una imperante presenza di Sud, segno che il panetùn milanese è definitivamente uscito dalle mura lombarde, per diffondersi ovunque. Ed è stato proprio dal Sud a diffondersi il movimento del panettone tutto l’anno.
Ma com’è successo questo movimento del panettone tutto l’anno? Ad onor del vero, devo dire che le associazioni di categoria sono servite a ben poco. Il lavoro è stato portato avanti esclusivamente dagli artigiani del panettone che, scoglio dopo scoglio, sono arrivati al proprio obiettivo. Senza supporto alcuno da parte di quelle “associazioni” che dovrebbero comunque promuovere il prodotto, parlandone da parte a parte del territorio. Parliamo comunque di associazioni, enti, che non sono ancora riusciti a portare in Parlamento una interrogazione per stabilire effettivamente cosa sia un panettone artigianale e cosa no, trovandoci letteralmente invasi da classifiche e pseudotali dove si ritrovano – fianco a fianco – l’artigiano da 6000 pezzi l’anno e l’industria dolciaria di alta qualità che di sicuro artigianale non è. Insomma, sarebbe quantomeno necessario iniziare a fare una distinzione normativa – come dopo tanto penare, si è riusciti a fare per la birra artigianale – e i mezzi per farle ci sono.
Insomma che soli soletti, gli artigiani, hanno sdoganato e poi reso socialmente accettabile il panettone tutto l’anno, fino a farne un trend.
L’ultimo format nato in tal senso è quello di Simone De Feo di Cremeria Capolinea, a Reggio Emilia: GELATO E PANETTONE, ne avete già sentito parlare? Far nascere un nuovo formato chiamato così, proprio a ridosso della Pasqua, significa che ormai il panettone ha fatto breccia nel cuore di tutti. Simone, provetto lievitista (basta guardare i suoi lievitati provati da Dissapore lo scorso Natale), si è lanciato nell’avventura del lievitato tutto l’anno, abbinandolo però al prodotto che è il suo core business: il gelato. Abbiamo buoni motivi – viste le nostre prove d’assaggio – di doverci aspettare delle cose davvero molto fighe.
In principio fu Alfonso Pepe, alfiere del panettone al Sud. Lo chiamavano pazzo quando, dal piccolo laboratorio di Sant’Egidio del Monte Albino in provincia di Salerno, iniziò a sfornare i primi panettoni in scatola verde. E poi ancora, e ancora e ancora, fino a raggiungere cifre ragguardevoli. Come dimenticare, poi, gli altri esperimenti di lievitato: la pastiera lievitata (con la pasta simile a quella del panettone, arricchita di ricotta ed essenza di zagare), ma anche l’usanza che aveva Alfonso di proporre il panettone di Ferragosto: delle infornate fatte appositamente per le vacanze, “da portare sotto l’ombrellone”.
Da non dimenticare anche Sal De Riso, che dall’omonimo laboratorio in quel di Tramonti (Salerno) ha fatto quello che nessuno pensava potesse fare in Costa d’Amalfi: prendere il panettone meneghino, declinarlo con frutta e farciture locali, farlo diventare un oggetto di design.
Vincenzo Tiri si sposta un po’ più in là, dalla Lucania: opera sua è la Tiri Bakery and Caffè, a Potenza. Se ad Acerenza, minuscolo punto nel mondo, si era appunto “teorizzato” il panettone tutto l’anno, è a Potenza che ciò avviene. Nella Bakery – da noi recensita nel dicembre 2019 – tutto richiama il panettone: a partire dai bauletti (da colazione o merenda, ai vari gusti), continuando con i dolci a base panettone (indimenticabile il Tirimisù, con panettone al posto dei savoiardi o ancora la pesca ripiena, con pasta di panettone); terminando con le proposte gelato al panettone e al pandoro. Non più di qualche giorno fa, abbiamo presentato nell’ambito dell’Ultrapop Festival, il nuovo lievitato di casa Tiri: un bauletto con cioccolato bianco, amarene e l’iconico peperone crusco lucano di Cioccocrusco. E tutto questo – badate bene – è disponibile tutto l’anno. Per la serie, farsi la torta di compleanno con un Tiri cioccolato bianco e caffè.
Che sia sotto le mentite spoglie di una colomba, di un panettone, di un dolce da colazione o da tè, il lievitato delle feste ha conquistato il palato degli italiani. E dà discretamente fastidio sentire ancora una fascia di neoborbonici dire che il panetùn meneghino ci ha aggrediti, sovrastando i nostri prodotti tradizionali. Sarebbe come dire che la pizza ha invaso il mondo. Eppure, toh, nessuno lo dice. E quindi, viva il panettone tutto l’anno, da novembre fino a maggio inoltrato.