Fare di un cibo una panacea è un errore, lo sappiamo: il segreto è un’alimentazione più varia possibile. Ciononostante gli italiani, pur essendo i più magri d’Europa, stanno diventando maniaci dell’ingrediente miracoloso.
Ci va di lusso che in mezzo ai cosiddetti superfood, alimenti ultrasani che darebbero ai nostri corpi (il condizionale è d’obbligo) la spinta salutare per allontanare malattie e invecchiamento, ci sia anche il cioccolato.
Mangiato senza esagerare il cioccolato fa bene, migliora lo stato psicosomatico e consola se l’umore tende al nero.
Ma non può essere un surrogato a fare tutto questo; né una barretta imbottita di ingredienti, né tantomeno un sostituto sotto forma di merendina.
Perché il cioccolato, quello vero, ha al massimo cinque ingredienti: pasta di cacao, zucchero, burro di cacao, vaniglia, (vanillina, nei casi peggiori) e lecitina di soia. Gli ultimi tre sono a discrezione del produttore, e non fatevi spaventare dalla lecitina, non impatta su sapore e salute, semplifica soltanto la lavorazione.
Diffidate, poi, del bean to bar a tutti i costi. Ostentare il controllo di tutta la filiera della produzione dalla fava del cacao al prodotto finito non significa per forza essere artigiani: Novi e Perugina, note industrie di settore, sono bean to bar.
Altra cosa: quando le percentuali di cacao superano l’85% il cioccolato inizia a perdere equilibrio e risulta quasi sempre astringente. Quindi bullarsi per percentuali che salvo rari casi vanno bene solo per una degustazione di liquori ha poco senso.
Ma quali sono questi rari casi? E chi è che fa un cioccolato memorabile in Italia, più o meno bean to bar?
Stiamo per farvi i nomi, suddivisi in 4 diverse categorie: praline, creme spalmabili, tavolette al latte o fondenti e con cacao monorigine.
Può capitare che non tutti i cioccolati scelti si trovino facilmente, per questo abbiamo inserito in ogni categoria anche un acquisto da fare al supermercato.
Tutto questo è stato fatto sotto la supervisione preziosa di Roberto Caraceni: grande esperto, vice-presidente della Compagnia del Cioccolato che indice il premio Tavoletta d’Oro, Oscar del cioccolato italiano, nonché autore di La degustazione di cioccolato, che ogni appassionato dovrebbe aver letto.
PRALINE
Il Paese delle praline al cioccolato è la Francia, il Belgio tutt’al più. A quelle latitudini si entra in pasticceria con la stessa espressione ossequiosa messa su per i Cartier o gli Hermès; in Italia il consumo di praline raggiunge il suo apice a San Valentino, sovente in un cofanetto di cioccolatini industriali con la prosa di Fabio Volo inclusa.
Insomma, c’è differenza. Ma ogni regola ha la sua eccezione, vi segnaliamo le migliori.
— Guido Castagna
Via Torino, 54 – Giaveno (TO)
Via Maria Vittoria, 27/C – Torino
L’artigiano di Giaveno (TO) auto-definito “senza compromessi”, è uno di quelli che controllano ogni passaggio della produzione, e che, addirittura, fanno stagionare il cioccolato per sei mesi prima di lavorarlo.
Tra le sue produzioni più riuscite ci sono senz’altro i cremini (in versione ultra piemontese, con i due strati esterni al gianduja e l’interno di pasta alla nocciola), ricoperti di fondente.
Da provare la versione più ardita con topping di zenzero candito.
— Piccola Pasticceria
Via Solferino, 17 – Casale Monferrato (TO)
La giapponese italianizzata Saimura Yumiko e l’astigiana Angelina Cerullo si sono specializzate in praline che sembrano una guantiera di paste della domenica marmorizzate, tanto sono belle.
Le due, ex colleghe al ristorante Piccolo Lago di Mergozzo (VB), hanno aperto una pasticceria in cui il cioccolato fa la parte del leone. Se accettano il compromesso di qualche torta di compleanno è per perorare la causa di confetti farciti come raramente se ne vedono in Italia.
— Acherer Patisserie Blumen
Stadtgasse 8 – via Centrale 8 – Brunico (BZ)
Le raffinate praline dell’alto-atesino Andreas Acherer sembrano gioielli etnici, di quelli con la pietra grezza incastonata, che poi magari è sale rosa.
La sua pasticceria si basa su un’idea insolita, che potrebbe facilmente generare un temporary shop natalizio: unire le decorazioni floreali ai dolciumi. Invece, è una meraviglia.
— Il cioccolato di Bruco
Azienda marchigiana orgogliosamente di nicchia, con una predisposizione per le ricette locali. I risultati sono spesso sorprendenti, come nel caso delle pralina al lonzetto di fico (impasto di fichi, mandorle, noci e mosto d’uva) o quella al Sagrantino di Montefalco.
— Al supermercato: Ferrero Rocher
Niente male per essere la pralina più venduta al mondo. La pepita dorata a sette strati che appaga la comune “voglia di qualcosa di buono” fin dai primi anni Ottanta è il risultato di uno studio sul prodotto che ha sbaragliato la concorrenza.
Come facciano quei sette strati di cioccolato e nocciole ad arrivare integri in dispensa lo sanno solo nei laboratori Ferrero, più misteriosi dell’area 51.
— Sì ma, il Gianduiotto?
Siamo i primi al mondo nella produzione del gianduia: ci sono almeno una marca artigianale e una industriale che non citare è impossibile.
— Guido Gobino
Via Giuseppe Luigi Lagrange, 1 – Torino
Il gianduiotto da 5 grammi con pareti leggermente sporgenti di Guido Gobino, inventore del Turinot (giandujotto di soli 5 grammi fatto di sole Nocciole Piemonte IGP proposto in 4 declinazioni: “Classico” con il latte; “Maximo” senza latte e con più nocciole; “Maximo +39” senza latte, con quasi il 40% di Nocciole distribuito soltanto da ottobre a marzo; “Selezione Leonardo Lelli” con il caffè della prestigiosa torrefazione artigianale.
Ma trovare un buon laboratorio di gianduiotti a Torino è fin troppo facile. Se ci chiedete della grande distribuzione organizzata, invece, abbiamo un’unica risposta:
— Caffarel
Il migliore della grande distribuzione, perché estruso. Perdonate il termine astruso, ora ci spieghiamo.
I gianduiotti che troviamo nei supermercati vengono preparati colando il cioccolato gianduia negli stampi. L’operazione di colatura presuppone cioccolato più morbido, e duqnue meno pregiato, perché fatto con una una percentuale inferiore di pasta di nocciola
Fa eccezione il gianduiotto della nota azienda di Luserna San Giovanni (TO), oggi appartenente al gruppo Lindt & Sprüngli, che se ci fate caso ha le pareti più irregolari e tondeggianti.
CREME SPALMABILI
Se nelle praline gli italiani tutt’al più si cimentano (ma consumiamo comunque più praline che tavolette) nelle creme spalmabili siamo specialisti.
Quella italiana per eccellenza (quella alla nocciola, beninteso) prevede la tangibile percezione del cacao e un’alta percentuale di nocciola che è alla base della cremosità; non c’è bisogno di aggiungere olio, né tantomeno olio di palma. Nessuna astringenza, nessun residuo grasso. Questi sono i veri parametri per decidere quali barattoli non ricomprare.
— Gianera – Slitti
Andrea e Daniele Slitti, che hanno prolungato la lista di città toscane del cioccolato con Monsummano Terme (PT), hanno all’attivo 4 (!) creme spalmabili differenti.
Usare nocciole di alta qualità –Tonda e Gentile delle Langhe, manco a dirlo– è un concetto scontato per artigiani di questo calibro, un po’ meno abituale farsi personalizzare l’attrezzatura per la produzione della Gianera, compatta, molto scura, con il 52% di nocciole e il 20% di cioccolato.
— Giacometta- Giraudi
Il nome preso in prestito dalla moglie di Gianduja, la maschera piemontese, e il 50 % di nocciola Piemonte IGP (che poi è sempre la Tonda e Gentile, nonché la Trilobata, insomma chiamatela come volete) per
Nella crema dell’azienda alessandrina a conduzione famigliare, che ha preso in prestito il nome dalla moglie di Gianduja, la maschera piemontese, è fatta al 50% con la nocciola Piemonte IGP (che poi è sempre la Tonda e Gentile, nonché la Trilobata, insomma chiamatela come volete).
Più delicata della precedente, costa quattro volte il prezzo della Nutella, ma come si dice in questi casi: è un’altra cosa.
Anche nella versione fondente, al caffè e al pistacchio (c’è pure senza zucchero, ma vabbè), la trovate tendenzialmente nei negozi specializzati, nelle torrefazioni raffinate e da Eataly, un po’ in tutta Italia.
— Guido Gobino
Intanto sapevatelo: se non siete mai stati nella bottega di Guido Gobino in via Lagrange a Torino, avete perso la cioccolata calda migliore di Torino.
Ma non stiamo parlando di questo. La crema spalmabile in questo caso con il 45% di nocciole e bacche di vaniglia, è spalmabile e lucida quanto la Nutella, con la differenza che gli ingredienti sono impeccabili.
Certo, il prezzo: 10 euro e mezzo per 220 grammi (più del triplo rispetto alla crema Ferrero e senza bicchiere con mascotte della Disney.
— Guido Castagna
68% di nocciola e tutta un’altra pasta. Il cioccolato passa vistosamente in secondo piano, a beneficio di una nuance da caramella mou e di una consistenza densa.
— Al supermercato: Crema Novi
Quasi riesce a battersela con le migliori, quelle artigianali. Una delle pochissime creme industriali che non fa uso di grassi vegetali aggiunti, col 45% di nocciole, più densa di molte altre. Sicuramente una spanna sopra i concorrenti della GDO.
A questo proposito vi consigliamo anche la crema Viviverde Coop, a prezzi concorrenziali rispetto alla Nutella, ma più salubre negli ingredienti e comunque gustosa.
TAVOLETTE AL LATTE
Il cioccolato al latte è ancora il più venduto al mondo, con buona pace degli intenditori. Nonostante la soglia minima di cacao sia soltanto del 25%, per non parlare dell’impiego quasi automatico di latte in polvere.
Ma qualche produttore inizia a usare latte condensato, più ricco di nutrienti, mentre gli artigiani che selezionano latte buono e inseriscono percentuali di cacao elevate sono in aumento.
Dire a prescindere “ah, io amo il fondente” non farà di voi per forza di cose un intenditore. Uomo avvisato…
Ecco il cioccolato al latte da tenere d’occhio.
— Domori: Javagrey
Domori ha visto il bicchiere mezzo pieno in questa discussa faccenda del cioccolato al latte, creando una gamma di tavolette che sottolinea la varietà di sapori e l’apporto nutritivo: l’intensità del latte di pecora, le proprietà di quello di capra e, addirittura, la delicatezza di quello ottenuto dalla cammella.
Da segnalare le note speziate del cioccolato Javablod, addolcite dal latte delle mucche grigie del Tirolo.
— Slitti: Lattenero 51%
Gli esperti della Compagnia del Cioccolato hanno assegnato a Slitti la “Tavoletta d’oro” nella categoria “Latte ad alta percentuale di cacao” (roba da veri nerd). Con il loro 51% sono riusciti a sbaragliare la concorrenza, che di rado arriva al 45%.
— Bodrato
32% di cacao e latte intero nella tavoletta dell’azienda di Novi Ligure che si distingue per la varietà della gamma. Vi segnaliamo a proposito i tartufi dolci, alternativa francamente irresistibile al cioccolatino, con un’alta percentuale di nocciola.
— Maglio
Non sarà esattamente artigianale la produzione della nota azienda di Maglie (LE), ma questa tavoletta al latte fatta con cacao monorigine (Messico) al 40% è super.
— Al supermercato: Venchi – Chocolight
Venchi, anello di congiunzione tra artigianato e industria del cioccolato, ha in gamma una tavoletta al latte in versione light, zuccherata solo con maltitolo, davvero buona. In realtà non si trova nei supermercati ma nei punti vendita proprietari, sul sito web e in diversi negozi multimarca specializzati presenti su tutto il territorio.
TAVOLETTE FONDENTI
Quando si parla di cioccolato fondente in genere s’intende con alta percentuale di cacao proveniente da piantagioni diverse, mescolato ma in modo da mantenere un gusto equilibrato e riconoscibile.
— Domori
Forse il prodotto assoluto, roba da nerd del cioccolato. L’azienda fondata da Gianluca Franzoni osa con un 100%, in pratica pura massa di cacao, con una persistenza da stemperare con Barolo chinato e affini.
Attenzione al prezzo: 3 euro per 25 grammi, dicasi 120 euro al chilo.
— Amedei – Prendimé
Avete presente le tavolette da mezzo chilo che si comprano al super per fare la torta Sacher senza pretese?
Ecco, questa è la costosa versione gourmet (eppure si chiama Prendimé) con zucchero di canna, vaniglia, e il 66% di cacao.
Soprattutto, con tostature (caffè, cerali, frutta secca) che la rendono un fine pasto sublime. L’azienda toscana non avrà più l’allure degli esordi dopo l’arrivo dei capitali cinesi, ma in alcuni prodotti mantiene elevato il livello.
— Slitti – Gran Cacao
Un altro esempio di cioccolato puro ottenuto da fave di cacao provenienti da piantagioni varie dell’America Centrale, Slitti infatti non impiega cacao africano, che ritiene qualitativamente inferiore.
Prezzi più abbordabili rispetto a Domori: 5 euro e mezzo all’etto
— Gardini
Una lista di premi estesa quasi quanto la gamma dei prodotti, dai torroni alla frutta candita e poi, ovviamente, cioccolati di ogni sorta.
Eppure Gardini fa tutto bene, a iniziare dalle tavolette fondenti. Il cioccolato Deciso (75%) è arricchito con fave di cacao Criollo del Venezuela che regalano alle tavolette una lunghissima persistenza del sapore.
— Al supermercato: Lindt – Excellence
Avvolta in una sottile confezione bianca e oro, leggermente barocca, che sullo scaffale del super fa subito lusso. Ma la tavoletta è buona anche dentro, con una percentuale di cacao elevata e la lista degli degli ingredienti più corretta rispetto alla concorrenza.
TAVOLETTE MONOVARIETA’
— C-amaro
La barretta di Marco Colzani, secchione del cioccolato italiano al punto da definire la tavoletta che realizza nel suo antro da mad scientist a Carate Brianza una “spremuta di fava zuccherata”, impiega soltanto cacao proveniente da São Tomé e zucchero di canna.
Nient’altro.
Sul suo metodo di produzione ci ha fatto addirittura un manifesto, insieme all’amico Andrea Mecozzi, si chiama “Fermento Cacao”. Più artigianale di così.
— Vestri
Una linea dedicata al cacao monorigine, tutto proveniente dalla stessa piantagione, che si trova negli chiccosi punti vendita della famiglia Vestri, ad Arezzo, Firenze e Tokyo.
Tra questi il cacao Crudista, tostato a bassa temperatura per non disperdere i benefici polifenoli, proveniente dalla piantagione dell’hacienda Vista Alegre nella Repubblica Dominicana e il Massa di Cacao, provenienza sempre Santo Domingo, 100% di cacao.
— Silvio Bessone
Tecnologo alimentare, la vita votata al cioccolato con spostamenti continui alla ricerca delle piantagioni più consone alle sue idee. Una spiccata propensione per il cacao monovarietale con cui, caso più unico che raro, fa persino il cioccolato bianco e al latte.
Una curiosità: il suo laboratorio di Santuario di Vicoforte (CN) è anche un albergo: la Cioccolocanda.
— Domori
L’abbiamo citato spesso. Ma il punto è che l’azienda piemontese nasce con Gianluca Franzoni per impiegare cacao monovarietale nel suo cioccolato. Ed è anche impegnatissima nel settore dei monorigine.
Quindi: il cacao più rotondo, quello che non è mai stato ibridato, che rappresenta la più piccola percentuale sul raccolto mondiale, cioè il Criollo, con sei provenienze diversei (blend esclusi) e due ingredienti: granella di cacao e zucchero di canna.
— Al supermercato: Alce nero
Posto che le tavolette non artigianali non sono da intendere come veri mono-origine, bensì blend di fave di cacao raccolte all’interno della stessa nazione, evidenziamo un prodotto più aromatico, strutturato e persistente rispetto alle alternative, in questo caso un monovarietà: “Equador”.
E’ il cacao Bernotai, raccolto in Costa Rica, che si distingue anche per aromi secondari e ampiezza del bouquet.