I gusti cambiano di generazione in generazione e ci sono cibi che i millennials non comprano più. Abitudini diverse, mode da seguire, mancati investimenti in comunicazione o in marketing nei confronti dei più giovani portano alcune industrie dell’agroalimentare a patire la crisi per colpa dei ventenni e dei trentenni, quella generazione nata negli anni Novanta che oggi si trova a essere una fascia cruciale per il mercato dei beni di consumo.
Cb Isight, società americana di analisi dei dati su industrie e compagnie private, ha pubblicato una ricerca basata sul mercato statunitense (e ripresa anche da Wired Italia) che evidenzia quali potrebbero essere le industrie più colpite dai nuovi gusti dei millenials. Nella maggior parte dei casi, indovinate un po’, hanno a che fare con il cibo: vere e proprie categorie merceologiche che i millennials, per un motivo o per l’altro, tendono a ignorare più dei loro genitori. Ecco quali sono.
Cereali
Una volta erano il simbolo della colazione all’americana: nei film si vedevano queste gigantesche tazzone di latte in cui venivano versati i cereali, direttamente dalla scatola. Ma il mondo cambia e – rileva Cb Insight – le vendite di cereali sono diminuite del 17% nell’ultimo decennio, tanto che alcuni dirigenti dell’industria cerealicola hanno dato la colpa ai millennial. In un sondaggio altamente pubblicizzato per il 2016, Mintel ha rilevato che il 40% dei millennial preferiva non mangiare cereali a colazione, perché tra preparazione e pulizia della tavola richiedono troppo tempo.
I ristoranti di fascia media
La ricerca di Cb Insight mostra che a patire la crisi per colpa dei Millenials sono i “Casual Dining”, ovvero i ristoranti di media categoria. Si tratta delle catene come Ruby Tuesday, Olive Garden e Applebees, che in Italia non esistono ma che potrebbero essere descritte come ristorantini semplici e informali, dove spendere il giusto per un pranzo o una cena. Dopo una crescita esplosiva negli Usa negli anni ’80 e ’90, sono arrivati i millennial e hanno cambiato le regole, e se oggi questa generazione è quella che spende di più per uscire fuori a mangiare, non sceglie però questo tipo di ristorante. La ricerca mostra che i millennial si dirigono invece nei ristoranti di fascia più alta quando possono permetterselo, e verso opzioni veloci e salutari quando non possono.
Beni di lusso
Niente tartufo, caviale o champagne: anche se i millenials amano il lusso, si preoccupano più di fare esperienze che di comprare cose (il 78% dei millenials americani lo testimonia).
Formaggio industriale
Non è che i millenials abbiano qualcosa contro il formaggio industriale, è che in generale evitano cibi troppo trasformati e di bassa qualità. Le vendite statunitensi di formaggio fuso sono scese dell’1,6% per il 2018, il quarto anno consecutivo di flessioni.
Birra
Più o meno lo stesso discorso vale per la birra: se la birra artigianale è in aumento così non si può dire per le birre appartenenti al mercato di massa, le industriali insomma, che stanno perdendo popolarità tra i millenials statunitensi, anche a favore del vino.
Tonno in scatola
Ancora, a essere messi al bando dai millenials sembrano essere tutti i prodotti che vengono percepiti come di scarsa qualità, abbandonati in favore di alternative più sane e scelte più consapevoli. Il consumo pro capite di tonno in scatola è sceso del 42% negli ultimi tre decenni, con le vendite del pesce crollate del 4% in volume, dal 2013 al 2018.
Uva passa
Pare che i millenials vogliano evitare qualsiasi tipo di zucchero aggiunto, anche quando arriva da fonti più sane. Quando il National Consumer Panel si proponeva di chiedere a 120.000 diverse famiglie americane il consumo di snack e cibo, scoprì che gli affezionati all’ uvetta erano in prevalenza di vecchia generazione. I millenials sono sempre più attenti alla salute e tagliano lo zucchero fuori dalla loro dieta, l’uvetta d’altronde è ricca di zuccheri (fino al 72% in peso) e non ha un livello di vitamina C pari a quello della frutta fresca.
Insomma, una generazione di salutisti attenti a ciò che si mangia, magari con una capacità economica inferiore rispetto a quella dei propri genitori, ma con la precisa volontà di spendere bene i propri soldi. Chissà se i nostri trentenni si riconoscono nelle abitudini degli americani?