“Carrello Tricolore”: cinque cose che non ci tornano nell’operazione anti-inflazione del Governo

Tutto quello che non torna nel Carrello Tricolore, sbandieratissima operazione-anti inflazione lanciata da Giorgia Meloni e dal Ministro del Made in Italy Alfredo Urso.

“Carrello Tricolore”: cinque cose che non ci tornano nell’operazione anti-inflazione del Governo

È partita ieri l’operazione anti inflazione del Governo di Giorgia Meloni. Il “Carrello Tricolore” si è messo in moto di domenica, per il desiderio del ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso di onorare le festività religiose, e subito Salvini ne ha approfittato, con uno spesone di castagne che gli ha fatto dimenticare di quando, ai tempi del governo con i 5 Stelle, si batteva per il diritto dei lavoratori di stare a casa con la famiglia nel giorno più santo.

In cosa consiste l’operazione “Carrello Tricolore”, presentata in pompa magna dalla maggioranza come l’aiuto che ci voleva alle famiglie italiane, messe in difficoltà dai rincari degli ultimi mesi? Sostanzialmente, il Governo ha chiesto a un tot di associazioni di categoria (32 per la precisione, più  diciassette associazioni rappresentative dell’industria alimentare e non alimentare e del settore dell’agricoltura e dell’artigianato) di garantire scontistiche per un trimestre su prodotti di largo consumo, prodotti per l’infanzia e per la cura della persona.

Fin qui, tutto molto bello. Ma, a ben guardare, l’iniziativa sembra fare acqua in più punti, e il carrello rischia di affondare in mezzo a un mare di proclami festanti. Perché, se in un primo momento si è parlato di un 10% di sconto sui prodotti coinvolti, e di un risparmio calcolato in 150 euro a famiglia, la verità è che sul futuro dell’operazione regna l’incertezza di una grande discrezionalità degli esercizi coinvolti, e pure quella di un’adesione generale non troppo entusiasmante.

Insomma, prima di festeggiare per quei soldini risparmiati giusto in vista del Natale, date un’occhiata a questi dubbi che ci sono venuti su un’operazione di cui ci auguriamo davvero il successo, ma che al momento, a ben guardare, ci sembra molto meno convincente di quanto non dicano Urso e Meloni.

Il nome

carrello tricolore spesa esselunga4

Non che sia fondamentale, ma ci piacerebbe capire da dove il Governo abbia tirato fuori il nome “Carrello Tricolore”, tanto che il logo di tutta questa operazione è proprio un carrello con i colori della bandiera italiana. Molto patriottico in effetti, ma non si capisce il motivo. Nella sostanza, l’operazione del trimestre anti inflazione non prevede alcuna tutela, difesa o coinvolgimento privilegiato delle aziende o dei prodotti Made in Italy (quelli che peraltro il Ministro Urso rappresenta con il suo ministero). Ad aderire al progetto sono aziende di ogni genere, insegne italiane, ma anche tedesche (PennyMarket, per dirne una), multinazionali (Despar) e via dicendo. E nemmeno sui prodotti, nelle linee guida ministeriali per aderire al progetto, si indica in alcun modo una provenienza preferita o suggerita per le offerte proposte. Insomma: il Tricolore del carrello resta solo nel logo, per il resto il carrello della spesa resta grigio, o al massimo multicolor.

La durata

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Il “trimestre anti-inflazione” è stato scelto strategicamente, come ha spiegato il Ministro Urso. Iniziato il primo ottobre, il progetto di scontistiche scadrà il 31 dicembre 2023, comprendendo dunque anche gli acquisti natalizi che, si sa, cubano parecchio sul bilancio familiare. Ottimo, in effetti, al di là delle derive religiose motivate dal Ministro. Poi, però, tutto torna come prima, iniflazione compresa. Basteranno tre mesi a incidere realmente significativamente sui portafogli degli Italiani? Ci permettiamo di dubitarne.

Le adesioni

Boom di adesioni si è detto all’avvio del progetto. “Solo nelle città metropolitane quasi 7mila punti vendita coinvolti”, ha fatto sapere il Ministero delle Imprese e del Made in Italy. “Su un totale di oltre 23mila punti vendita aderenti in tutta Italia, solo nelle città metropolitane le adesioni sfiorano quota 7mila: 6.977, in base ai dati del Mimit. Quasi la metà si concentra in tre città: Roma, che con 1.381 adesioni è quella con il maggior numero di punti vendita che partecipano all’iniziativa, Torino (1.074) e Napoli (801)”.

A ben guardare però, questi numeri sembrano molto lontani dal successo. Poco più di mille adesioni a Roma, una città con decine di migliaia di negozi e punti vendita, non ci sembra un dato che fa gridare alla riuscita di un’operazione sbandierata come la soluzione ai problemi dell’inflazione per gli Italiani. Giusto per dare due dati, le imprese attive in Italia nel 2021 erano  1.647.154, di cui il 22,2% si concentra nel commercio all’ingrosso e al dettaglio. Pure assumendo che solo in minima parte appartengano al settore alimentare e farmaceutico, il totale di 23mila adesioni nazionali sembra una percentuale non troppo significativa.

La GDO VS le piccole botteghe

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Se c’è una cosa che ci aspettiamo da questo Governo, è la tutela del Made in Italy (c’è un ministero apposta!) e del tessuto economico costituito dalle piccole e piccolissime imprese italiane. I negozi, le botteghe, le drogherie, i supermercatini di quartiere. Ecco, la verità è che, scorrendo l’elenco dettagliato comune per comune degli esercizi aderenti al “Carrello Tricolore”, in larghissima parte (soprattutto nel settore alimentare) appartengono alle insegne della grande distribuzione. Certo, talvolta si può trattare di piccoli negozi in franchising a conduzione familiare, ma la verità è che le operazioni più convincenti sembrano arrivare da Coop (1.200 gli articoli calmierati), Carrefour (900), Conad (600), Despar (300), e così via. Insomma, se l’operazione del Governo avrà successo, è lì che si dirigeranno i consumatori in questo trimestre nella speranza di risparmiare. Perché, come è chiaro che sia e come è sempre stato, è la GDO che può permettersi di lavorare sui prezzi, molto più significativamente del piccolo panettiere o del macellaio di quartiere. Quindi, a conti fatti, questa operazione rischia di favorire le grandi insegne, o comunque di non contemplare le piccole realtà, che infatti sono coinvolte solo in minimissima parte.

Le libertà sugli sconti

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Tra le cose più discutibili di questa operazione, ci sembra ci sia la totale libertà lasciata agli esercenti rispetto alle scontistiche da applicare. Le linee guida infatti mettono pochissimi paletti e danno indicazioni molto generiche. Fatto salvo il rispetto delle normative vigenti, gli aderenti al “Carrello tricolore” possono fare un po’ gli sconti che vogliono, nella percentuale che vogliono, sui prodotti che vogliono (purché appartengano ai “beni di prima necessità, alimentari e non alimentari di largo consumo, ivi compresi quelli rientranti nel “carrello della spesa”, nonché dei prodotti per l’infanzia e la cura della persona”). Insomma, vale tutto. Dai prezzi bloccati, alle operazioni sottocosto. Dal 10% di sconto al “prendi due paghi uno”. Il rischio è che nessuno sia realmente invogliato a fare di più di quello che già fa normalmente: le insegne coinvolte non sono nuove a scontistiche di questo genere, solo che adesso potranno applicarci il bollino governativo e farsi portatrici di un messaggio di aiuto al popolo che certo gioverà loro in termini di marketing. Col rischio che tutto si trasformi in un social washing di Stato.