Che succede alla legge che vieta la carne coltivata? Negli ultimi giorni sono rimbalzate due notizie, in apparente contrasto tra loro, a proposito del disegno di legge sugli alimenti provenienti da colture cellulari, che il Governo si ostina a chiamare “sintetica” (ma solo nella comunicazione, non negli atti ufficiali). La prima è il ritiro del provvedimento – o meglio il ritiro di una notifica all’Unione europea che però è indispensabile, tant’è che tutti hanno dedotto fosse il preludio al ritiro del ddl stesso. La seconda è la smentita da parte del Ministro dell’agricoltura e della sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida: nessun dietrofront, solo un rinvio, anzi dovrebbe essere l’Europa a seguirci.
Eppure il disegno di legge – approvato a luglio al Senato e ora in discussione alla Camera – presenta una serie di criticità, che fanno sorgere forti dubbi sulla sua reale possibilità di arrivare a conclusione. E ancora peggio forti dubbi sul fatto che quella conclusione sia effettivamente voluta: non è che era, sin dall’inizio, tutta fuffa, tutta propaganda?
Il bersaglio fantasma
Innanzitutto, è curioso notare che la legge vieterebbe un qualcosa che ancora non c’è, e che non si sa se ci sarà mai. La strada per la produzione commerciale e la distribuzione di massa della carne coltivata in laboratorio è lunga e complicata; secondo alcuni siamo ancora ben lontani dal break even produttivo – ovvero la possibilità di mettere in vendita a costi competitivi con i beni concorrenti, cioè la carne “vera” e le alternative vegetali.
Il testo misterioso
A marzo 2023 venne annunciata in pompa magna l’iniziativa del Governo, che in Consiglio dei ministri aveva approvato un testo contro questa minaccia incombente. Ci piace però ricordare come nelle prime settimane non ci fosse neanche un testo ufficiale; poi ne iniziarono a circolare due ufficiosi, con sostanziali differenze tra loro; ma prima che si incardinasse un effettivo ddl in Parlamento, di tempo ne passò. Tanto da far sorgere subito certi sospetti.
La parola “sintetico”
Il ministro Lollobrigida e il premier Meloni – come tutti gli altri detrattori della carne coltivata, il cui numero è legione – hanno sempre parlato di “carne sintetica”. Un termine chiaramente dispregiativo, vagamente ansiogeno: chi vorrebbe mangiare della plastica? Noi, nel nostro piccolo, abbiamo sempre sostenuto si dovesse parlare di carne coltivata – parola neutra, equidistante anche dai termini di segno opposto come “clean meat”, “carne etica” e “cibo cruelty-free”.
Il disegno di legge – attenzione spoiler: colpo di scena in arrivo – mentre nelle bozze circolanti prima dell’iter legislativo riportava la definizione “alimenti e mangimi sintetici”, nel testo definitivo in discussione alle camere propone un più scientificamente corretto “alimenti e mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali”. E in tutta la legge la parola sintetico non compare mai: ta-dah!
Precauzione equivoca
Il disegno di legge antepone al divieto l’espresso richiamo al principio di precauzione Ue, ma si tratta di un uso irrituale, quantomeno equivoco. Il principio di precauzione (articolo 7 del regolamento 178/2002) impone misure provvisorie della gestione del rischio in attesa di evidenze scientifiche: in altre parole precauzione non vuol dire chiusura rispetto a tutto cioè che è nuovo, ma prudenza in attesa di valutazioni approfondite. E le valutazioni stanno arrivando: abbiamo più volte citato il rapporto FAO sui rischi della carne coltivata: rischi di contaminazioni e non solo, che sono però analoghi a quelli relativi alla catena di produzione e distribuzione delle carni tradizionali.
Pane e vino fuorilegge?
Il ddl potrebbe mettere fuori legge pane e vino, birra e yogurt, e insomma tutti i prodotti della fermentazione. Vabbè fa ridere, però se uno volesse dare un’interpretazione maligna e distorta della suddetta frase – “alimenti e mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali” – riferendo il “derivanti da animali” solo ai tessuti e non alle colture cellulari, si troverebbe a vietare nientepopodimeno che la nostra amatissima pasta madre, la quale altro non è che una coltura cellulare di batteri e funghi. Lol.
L’effetto boomerang
Come si accennava, prima o poi l’Unione europea si esprimerà sulla questione. E tutto fa supporre che non lo farà nel senso di una chiusura: d’altra parte il Green Deal spinge per la ricerca di proteine alternative, quali che siano, dagli insetti ai vegetali.
Una cosa interessante si legge nel pezzo che il Sole-24ore dedica alla visita nei laboratori olandesi di Mosa Meet, azienda pioniera nel settore e che oggi si sta preparando a produrre carne coltivata per il mercato di Singapore (l’unico paese al mondo che per ora ne consente la vendita). Valeria Teloni, responsabile Regulatory and Compliance, dice che “L’Unione europea ha dato indicazione di voler regolare la carne coltivata allo stesso modo dei novel food”. In altre parole non ci sarà una normativa generale sul tema: ma, proprio come sta succedendo per gli insetti, si andrà avanti caso per caso, con le singole aziende che proporranno di volta in volta l’approvazione dei singoli prodotti, i quali passeranno prima al vaglio tecnico dell’Efsa e poi a quello della Commissione.
A quel punto il divieto italiano, se mai sarà entrato in vigore, non potrà comunque applicarsi ai prodotti provenienti dalla Ue: l’unico effetto sarà quindi quello di tarpare le ali alle iniziative interne, in un settore che già non sta brillando per creatività e fermento (pun intended). Insomma, mangeremo carne coltivata, ma non di produzione italiana.
Trappole parlamentari
Il ddl approvato al Senato è ora in discussione alla Camera. Tutte le commissioni hanno dato parere favorevole, anche se il dossier del Dipartimento istituzioni, che doveva valutare la legittimità costituzionale del ddl, ha proprio il 16 ottobre scorso rilevato che la materia è tra quelle oggetto di potestà legislativa concorrente tra Stato e Regioni, e quindi queste ultime andrebbero coinvolte in qualche modo, anche solo in una fase di successiva di attuazione.
Poi ci sono una raffica di emendamenti: ben 46, per un testo di soli 7 articoli. È vero che provengono tutti dalle opposizioni, quindi hanno ben poche probabilità di essere approvati, ma vale la pena ricordare che se il disegno venisse modificato anche solo di una virgola dovrebbe tornare al Senato.
Una partita a Tris
E veniamo da ultimo al giallo della notifica Tris. Innanzitutto, di che si tratta? Riporta un sito dell’Ue: “La procedura (UE) 2015/1535 mira a prevenire l’insorgenza di ostacoli nel mercato interno prima che si concretizzino. Gli Stati membri notificano i loro progetti legislativi concernenti i prodotti e i servizi della società dell’informazione alla Commissione; questa poi li analizza alla luce del diritto dell’Unione europea”. Progetti legislativi quindi, ovvero una comunicazione che va fatta prima che un disegno diventi legge, e proprio al fine di apportare eventuali correzioni in corsa.
Alla luce di questo, ha poco senso la dichiarazione di Francesco Lollobrigida, il quale sostiene che “si tratta solo di una questione formale. È stata ritirata la notifica all’UE, per rispetto nei confronti del lavoro del nostro Parlamento”. Cioè come se si volesse approvare prima la legge e poi fare la notifica. Che senso ha?
Date tali e tante premesse, qualche dubbio viene, sul se questo divieto verrà mai approvato, e sarà mai applicabile. E sinceramente, non sappiamo neanche cosa augurarci: da un lato farebbe anche piacere essere smentiti, perché vorrebbe dire che non era tutto fumo, tutta propaganda. Ma intanto la propaganda c’è stata, ha funzionato, e ha creato l’ennesima divisione, ideologica e insensata, tra sostenitori del cibo sano e genuino da un lato, e i sostenitori del cibo etico per gli animali e per l’ambiente. Come se non si potesse essere entrambe le cose. Ce n’era bisogno?