Secondo Google Trends i periodi del 2022 in cui si è cercata sul web la parola “carne” con più insistenza è stata la settimana prima di Pasqua e quella di Natale. La carne però non è un prodotto stagionale, ormai è una compagna fedele delle nostre giornate, del dibattito pubblico e del mercato privato. La carne è carne, in qualsiasi forma.
Ma quand’è che abbiamo cominciato a parlarne così tanto e anche a consumarne così tanta? La filiera che segue la diffusione della carne del mondo è lunga e intricata, ad essa è dedicato un libro uscito da poco edito da Il Saggiatore e scritto da Francesca Grazioli, si chiama “Capitalismo carnivoro”.
E cosa c’entra il capitalismo con la carne? Ci arriveremo, nel corso di una chiacchierata che faremo con l’autrice per comprendere meglio quale “potere” tangibile ma anche “invisibile” abbia la carne all’interno delle società e delle culture in cui viviamo.
Quando ho parlato per la prima volta del tuo libro qui su Dissapore, l’ho definito, un po’ scherzosamente un “cowspiracy all’italiana”. A entrambi i documentari furono fatte molte critiche perché alcuni dati erano imprecisi o superati. Tu come ti sei mossa per individuare le informazioni da fornire?
“Ho incrociato dati che fossero riportati da più fonti, pubblicazioni autorevoli e revisionate scientificamente. Ma anche libri, giornali e case editrici universitarie. Ho riportato solo i dati di cui avevo certezza. Ho scelto per esempio di non parlare di quanta acqua consuma una bistecca, perché nella ricerca dei dati ho riscontrato troppa variabilità”.
Negli ultimi decenni la carne ha ricoperto un ruolo e uno spazio enorme, sia uno spazio fisico (basti pensare alla crescita degli allevamenti) che uno spazio ideologico. Quando si parla di stili alimentari, si parte proprio dalla carne, da chi la mangia o non la mangia nel fare categorizzazioni. Come è stato possibile questo?
“Si parla di cambiamenti avuti nel tempo. In Europa dopo la seconda guerra mondiale si è avuto ampio accesso alla carne. Negli Stati Uniti questa cosa è ancora precedente. È ancora oggi un trascinarsi, almeno in parte, di quell’idea di “avercela fatta”, la gioia dello sviluppo, il godimento consumistico”.
Anche se ormai gli argomenti che hai trattato sono molto più accessibili e dibattuti, ti sei domandata se il lettore/lettrice che avvicina il tuo libro potrebbe uscirne un po’ turbato? Che reazione ti sei immaginata?
“Posso parlarti di come mi sono sentita io nello scriverlo e nel rileggerlo: ci sono stati sentimenti molto contrastanti, anche di vergogna, per l’idea di partecipare e aver partecipato a un certo sistema. Sicuramente il lettore che legge questo libro ne esce in parte turbato, con un sentimento di disagio che però spero abbia un risvolto positivo, che lo porti ad avere una spinta di riconoscimento del proprio privilegio e della responsabilità che esso comporta”.
Nel corso della redazione del libro, quali sono state secondo te le “scoperte” più interessanti che hai fatto e che sono rilevanti per chi legge?
Dal momento in cui ho cominciato a buttare giù le prime righe, alla pubblicazione è passato circa un anno. Inizialmente l’idea era studiare l’impatto tra carne e ambiente. Ma l’aspetto simbolico della carne, quanto è invisibile e potentissimo, soprattutto reiterandolo ogni giorno è venuto sempre più fuori. Sia dal punto di vista delle implicazioni con l’organizzazione patriarcale e la cultura patriarcale, che nello scandire il nostro rapporto con la natura. Molte delle problematiche di oggi possiamo leggerle anche attraverso il mondo della carne.
In questo libro ci sono molte riflessioni sulla carne, ci sono anche delle scene e dei racconti che pesano sul lettore. Tuttavia non c’è un intento prescrittivo, non si finisce dicendo: adesso smettete di mangiare carne perché è ingiusto.
“È così. Io volevo parlare a un pubblico più ampio possibile, vorrei parlare anche a chi non ha un capitale economico o una situazione sociale che si presta a scelte facili. Per quanto questo possa essere una delle risposte, l’idea di “votare con la forchetta” secondo me non può essere l’unica perché spesso non riconosce il bisogno di un cambiamento strutturale. Un consumo alternativo è valido solo se riesce ad avere la capacità di regolare o modificare il sistema alimentare convenzionale. Questo non sta accadendo, come dimostra il recente dibattito sull’appropriazione del termine “bio” da parte della grande industria. La soluzione di votare con la forchetta conferma l’idea che l’unico potere che le persone hanno sia quello di consumo. Bisogna invece muoversi verso una dimensione che richieda il cambiamento attraverso l’organizzazione di movimenti sociali, anche trasversali a quelli del cibo, e politici. Meno semplice ed immediato, ma più completo a livello umano”.
Negli ultimi anni sono aumentate le denunce con foto e filmati dei maltrattamenti all’interno degli allevamenti. In realtà tra gli animali ci sono persone esattamente come noi, che svolgono questi lavori quasi deumanizzati. Non se ne parla mai, invece tu te ne sei occupata. Perché?
“Nel mio immaginario, prima di addentrarmi in questo mondo, anche io mi ero fatta l’idea di persone violente a cui attribuire delle responsabilità. A guardare bene invece sono solo persone che si trovano, per i compiti a cui vengono destinati, appena un gradino sopra rispetto agli animali. Sono loro stessi oggetto di una violenza. Il sistema così com’è fatto non può reggersi su una personalizzazione, c’è una spersonalizzazione sia degli umani che degli animali. Però le persone in questi processi sono ancora necessarie”.
Nella parte finale del libro parli anche della carne sintetica. La tua analisi è a monte: mi sembra che al di là di favorevoli o contrari, la carne sintetica non scalfisca le dinamiche di potere della carne.
Dipende molto da come si evolverà la tecnologia. Se per caso dovesse andare in una certa direzione, penso ad esempio al mondo della birra artigianale, in modo che il singolo possa produrla anche a livello locale, è un conto. Le incognite sono ancora tante. Come ho scritto nel libro, quello della carne sintetica è, per come si sta delineando, un concetto di carne indipendente dall’animale sì, ma pur sempre una carne che, non importa se non proprio carne, rimane dunque al centro, con il re è saldo sul suo trono.