Fermi tutti. Cosa c’entra il magico mondo della tecnologia futuristica con noi che parliamo come mangiamo? Blockchain, Web 3, NFT, Bitcoin: inutile continuare a fare ottusamente i boomer, certi termini sono entrati prepotentemente nel vocabolario anche di coloro che come noi si occupano di cibo e di ristorazione, e in futuro lo sarà ancora di più. Ad assicurarlo – e a spiegarci quali possono essere i risvolti nella filiera agroalimentare e perché tutto questo può essere una fortuna per noi consumatori – è Marco Lombardo, socio di Dorabit, una delle prime start up italiane che si occupa di sviluppo di software blockchain.
Partiamo dal principio: cos’è la blockchain?
“In pratica è un misto tra un’infrastruttura e una tecnologia. Dire blockchain è un po’ come dire internet, è uno strumento che verrà ampiamente utilizzato in futuro. Noi creiamo software che utilizzano quella tecnologia: oggi sviluppare in blockhain è un po’ come negli anni ’90 sviluppare sul web”.
In cosa consiste questa tecnologia?
“Sostanzialmente permette la suddivisione, la certificazione e la catalogazione dei dati in modo tale che rimangano immutabili, e dunque non si possano modificare né possano essere hakerati. In più, possono essere facilmente fruibili da tutti”.
In parole povere?
“Mentre prima avevamo un’organizzazione centralizzata in cui tutti i dati erano salvati in un unico server, con questa tecnologia si elimina il server e si crea un registro condiviso a cui tutti possono accedere per convalidare i dati, quindi quello che prima faceva il server lo fanno tanti computer in contemporanea: questi sono i computer della rete blockchain”.
E in che modo questo si può legare al cibo?
“Sicuramente per intervenire sulla filiera: grazie a questa tecnologia il consumatore può davvero partire dal produttore e capire di una singola materia prima tutto il tragitto e i passaggi che ha fatto. Oggi raccontiamo la filiera a parole su un’etichetta, ma sono tanti i casi più o meno leciti in cui alcuni passaggi non vengono specificati, o vengono omessi. Invece, con questa tecnologia, basta sostituire l’etichetta con un QR code: scansionandolo ho la possibilità di accedere a tutti i dati di quel prodotto, dal suolo in cui è cresciuto fino a come è arrivato a me. Ogni attore del processo inserisce i propri dati, che non possono essere cambiati e sono di facile accesso per tutti”.
Perché un produttore dovrebbe volerlo fare?
“Per trasparenza, ovviamente. Pensiamo ai risvolti sul Made in Italy o presunto tale: quante volte compro una materia prima spacciata per italiana ma che magari è solo stata lavorata qui nell’ultima sua parte? Con questo metodo, se voglio fare la differenza sul mercato, posso finalmente avere un Made in Italy 100% certificato e consultabile dal consumatore stesso. Ma non c’è solo questo: c’è anche il fatto che nel giro di cinque o sei anni l’utilizzo della blockchain diventerà un’esigenza del consumatore, che inizierà a chiedere di gestire i suoi dati così, anche quando fa shopping online”.
Cioè?
“Oggi quando compriamo su un e-commerce dobbiamo lasciare tutta una serie di dati, che passano dal server. Invece, attraverso la tecnologia blockchain, presto si userà il web 3, ovvero si permetteranno i pagamenti direttamente tramite browser, senza nessun passaggio intermedio. In questo modo il consumatore deciderà se e quali dati dare al venditore. Va da sé che in un’epoca in cui l’attenzione alla privacy è sulla bocca di tutti questo sarà sempre più richiesto”.
Già che ci siamo, ne approfittiamo per chiarire un paio di concetti che stanno facendo capolino nel mondo della ristorazione: cosa sono gli NFT?
“Gli NFT sono dei certificati presenti su blockchain. A ogni NFT è collegato un certificato che garantisce chi è il possessore di quell’NFT. Ho letto di interessanti esperimenti nel mondo della ristorazione: sostanzialmente, chi acquista un’opera d’arte NFT, mostrando il certificato ha una serie di vantaggi, come fosse una carta VIP”.
Infine: pagheremo davvero i ristoranti in Bitcoin?
“Probabilmente con i Bitcoin no, però i Bitcoin sono solo la punta dell’iceberg di una rivoluzione monetaria che è già in atto. Ci saranno altre criptovalute nuove e più reattive dei Bitcoin, che hanno già quasi 15 anni di vita. Però quella di una futura digitalizzazione della moneta, nel giro di qualche anno, è assolutamente un’ipotesi molto probabile, anche nel mondo della ristorazione”.