Anni e anni a classificare panettoni artigianali in ordine di bontà, a spiegarvi che 40 euro al chilo per un lievitato natalizio sono ben spesi e che l’industria è un’altra cosa, poi arriva Bauli con il suo “panettone artigianale” e noi, qui a Dissapore, non lo sappiamo più cosa sia un panettone artigianale.
Sicuramente molti tra voi si saranno imbattuti nella sponsorizzata di una delle più note aziende dolciarie di lievitati natalizi italiane, grazie ad una targetizzazione capillare: e la parola “artigianale” svetta lì, con sicumera.
Smanettando sul sito – essenziale, a prova di allergico agli e-shop – si scopre che bastano davvero 10 click per avere il proprio panettone “personalizzato“. Non senza l’effetto panino McDonald’s fai-da-te: si sceglie una base (impasto classico, candito), lo si farcisce con creme (previe alcune scelte veicolate, per impedirci di comporre schifezze), si seleziona – a scelta – un biglietto di auguri, stop. Prezzo totale, comprensivo di invio: 35 euro.
E non è tanto il tentativo di fare il verso agli artigiani dell’albicocca del Vesuvio a perplimerci, perché da tempo oramai sugli scaffali del supermercato sono comparsi i canditi blasonati e i pistacchi di Bronte infilati nel panettone di fascia “premium” da GDO.
Ci domandiamo, invece, cosa sia un panettone artigianale. E ce lo domandiamo senza ironie, senza tantomeno sarcasmo.
Per la verità, è da un po’ che in redazione aleggia questo spettro della definizione di artigianale, soprattutto per quanto riguarda i panettoni: cosa lo è, cosa non lo è?
Se fino a qualche anno fa ci sembrava abbastanza semplice definire i criteri (volume di vendita contenuto, originalità della ricetta, assenza di conservanti, impiego di materie prime di qualità) con gli anni dobbiamo ammettere di aver sfiorato il cortocircuito, per tutta una serie di fattori. Alcuni tra i nostri preferiti, delle presenze fisse nei nostri panel si allontanano sensibilmente dal profumo di sold out – tipico, fino a qualche anno fa- , mettendo a disposizione il panettone praticamente sempre, in qualunque punto d’Italia. Abbiamo comunque deciso di trincerarci dietro l’unica definizione che ci è sembrata valida fino ad ora: ma vabbè, è artigianale! , addentando nuvole grasse e burrose, con uvetta ingioiellata e croste zuccherine.
Ecco, magari qualcuno di voi potrà pensare che ci sentiamo un po’ beffati. L’orgoglio, il corporativismo tipico dei gastrofighetti dal dicembre zuccherino ed iperglicemico, affrontati in tal modo, da “una Bauli qualunque”.
A processo ultimato (quindi avete composto il vostro panettone e state per indicare l’indirizzo di spedizione), vi comparirà la lista ingredienti: molto “pulita” e breve rispetto ai panettoni da scaffale classici da supermercato.
A conferma di ciò, la pagina dedicata al processo produttivo recita testualmente: “I panettoni TUOBauli sono preparati senza mono e digliceridi degli acidi grassi“. Ripassino rapido per chi ci segue da poco: le suddette parole “mostruose” sono in realtà degli additivi alimentari fatti di olio di cocco, palma, colza, nonché di residui animali (corno, gelatine, collagene vari), che occorrono agli impasti per “stabilizzarsi” e garantire una shelf life da scaffale. Ne mangiamo tutti i giorni: fette biscottate, snack ed altri insospettabili quotidiani compagni delle nostre vite.
Realizzare un prodotto senza queste “banalissime” aggiunte chimiche significa automaticamente voler fare la differenza. Dopotutto, nella nostra selezione annuale, la prima scrematura viene effettuata proprio guardando la lista ingredienti dei panettoni.
TOH Bauli, ci hai fregati. “Se ci hanno fregati sui mono e digliceridi”, penso “non ci fregheranno sul piano normativo. Come potrà mai Bauli fregiarsi di un panettone artigianale?”
Se la legge per quanto riguarda i panettoni non c’è (è una specie di paragrafetto in una legge generica di “prodotti dolciari da forno italiani”, datata 2005, un grande vuoto normativo), c’è invece una legislazione abbastanza strutturata per definire ciò che è impresa artigiana. Per sommi capi, l’impresa è artigiana quando:
- l’imprenditore artigiano si assume tutte le responsabilità e tutti i rischi non solo gestionali dell’impresa, ma anche della produzione del prodotto “in misura prevalente” (quindi deve essere costantemente, o quasi, in laboratorio);
- l’imprenditore artigiano può lavorare da solo oppure avvalersi di collaboratori e dipendenti, sempre entro certi numeri: con sottili distinzioni di categoria, non si possono superare in ogni caso i 40 dipendenti assunti (a condizione che ci sia un numero minimi con contratto di apprendistato).
- Nessuna impresa può adottare la scritta “artigianale” , nè come insegna nè come marchio, se non è iscritta nell’apposito albo.
La legge sull’artigianato, quindi, c’è. Ma quanti la applicano davvero? Se siete arrivati fin qui, seguitemi in queste due considerazioni:
- Stando alla succitata legge sull’impresa artigiana, dobbiamo ammettere che ben pochi tra i nostri pasticcieri preferiti rispettano tutti i passaggi: a partire dalla grandezza dell’azienda, passando per macchinari e… diciamola tutta: trovare in GDO il panettone del nostro pasticciere preferito che si fregia di esser “fresco e naturale”, o ancora di trovarlo in 3-4 punti di vendita altovendenti… beh, fa pensare.
- Ma attenzione, ché forse la vera notizia – udite udite – è questa: il panettone Bauli, nella selezione “Il mio Bauli”, dichiara di aver creato un prodotto SENZA mono e digliceridi degli acidi grassi: questo gli fa passare automaticamente la preselezione tra cosa è un prodotto “artigianale” e cosa no.
Ed ecco che si manifesta in tutta la sua potenza la crisi di identità del degustatore alla cieca di panettoni artigianali: Cos’è artigianale? Finora abbiamo chiamato artigianale anche un prodotto che si fregia di essere tale perché proviene da una tradizione pasticciera, da volti che – e lo sappiamo bene – utilizzano materie prime di altissima qualità ma allo stesso tempo facendo economia di scala, raggiungendo cifre invidiabili e capaci di far concorrenza ai supermercati, quantomeno nella loro fascia “premium” da 12-18 euro con candito pregiato e uvetta antani.
Per lo stesso discorso, però, dovrebbe valere a questo punto per la linea Tuo Bauli, che limpidamente dichiara l’assenza di conservanti ed una lista ingredienti abbastanza pulita, “giustificando” il suo prezzo con l’alta personalizzazione, la manifattura su richiesta, uno shop online immediato e scarno (che sarà l’unico vero canale di vendite quest’anno, ricordiamolo).
E chi lo produrrà, questo panettone artigianale? A questo punto lo vogliamo sapere. Perché se la Bauli delle brioche GDO si appoggia ad artigiani veri, aziende di piccole dimensioni che producono conto terzi, allora ci ha visto proprio lungo. Con buona pace di chi, come noi, ama ancora il nome dell’artigiano sulla confezione.
Anche se poi, quell’artigiano, fa 200 mila panettoni.