Non tanto tempo fa Antica Dolceria Bonajuto e FUD, locale catanese del quale vi parlammo, firmavano un’ironica tavoletta di non- Cioccolato di Modica IGP, chiamandola Cioccolato di un paese vicino Ragusa’.
Se siete un minimo appassionati di cioccolato il fatto che l’ Antica Dolceria Bonajuto, che ha portato il Cioccolato di Modica alla sua attuale fama, abbia deciso di non aderire al marchio d’origine (e quindi di rinunciare, a tutti gli effetti, all’uso del nome Cioccolato di Modica protetto dal disciplinare) vi lascerà straniti. Le ragioni sono legate, come spesso accade con DOP e IGP, alle contraddizioni tra disciplinare e storia del prodotto, produzione alla maniera artigianale e concessioni dei marchi, criticati, in questo caso come capita in altri, perché troppo poco severi.
Ovviamente non potevamo starcene tranquilli e accettare la cosa passivamente; siamo quindi andati a disturbare Pierpaolo Ruta, per farci raccontare la storia del Cioccolato di Modica, della Dolceria Bonajuto, ma soprattutto la scelta di non aderire a un marchio dovrebbe sancire il legame tra il prodotto e il territorio.
Bonajuto, Ruta e Modica
La storia del cioccolato di Modica e della famiglia Bonajuto affonda nel 1854, quando Federico Bonajuto eredita il ‘fattojo del ciccolatte’, una sorta di mulino a pietra dove venivano lavorate le fave di cacao tostate per produrre la massa di cacao. Nel 1880 Francesco Bonajuto decide di convertire il negozio di famiglia in caffetteria, gettando le basi per l’omonima dolceria e nel 1932 Carmelo Ruta prese le redini dell’azienda.
Durante la seconda guerra mondiale l’acquisto di zucchero era consentito unicamente alle attività di caffetteria, quindi mantenere in vita il caffè era una prerogativa necessaria per continuare a produrre dolci, ma che fece al contempo calare l’interesse per la produzione di cioccolato, mentre veniva preferito il consumo di granite, gelati e altre specialità dolciarie.
Fu nel 1992 che Franco Ruta decise di chiudere la caffetteria, dedicarsi alla produzione di dolci tipici e riportare in vita il cioccolato di Modica, fino ad allora conosciuto quasi esclusivamente all’interno delle mura cittadine. Ai tempi la produzione di cioccolato era quasi totalmente scomparsa; a parte Bonajuto non esistevano altri produttori (a volte parte della produzione di Bonajuto veniva in parte ceduta ad altre dolcerie che poi rivendevano dietro proprio marchio) e la produzione totale si attestava ad appena 300kg annui.
Franco Ruta iniziò a studiare il cioccolato prodotto a Modica e si accorse che ne veniva prodotta una tipologia simile in Sud America e nella città spagnola di Agramunt. Le similitudini contemplavano la speziatura (il cioccolato di Modica in origine era aromatizzato con Cannella o Vaniglia), l’aggiunta di amido (la cioccolata veniva consumata soprattutto in tazza) e la lavorazione delle fave tramite il metate, ovvero una pietra ricurva scaldata da un braciere sottostante sulla quale si schiacciano le fave di cacao con l’ausilio di una seconda pietra.
Mentre nel resto d’Europa l’industrializzazione aveva portato nuovi metodi di produzione di massa di cacao e tecniche innovative come concaggio e temperaggio, nella cittadina ragusana le tecniche di produzione erano rimaste invariate, preservando un cioccolato preistorico, che narra di conquista dell’America di viaggi e di dominazioni spagnole in Sicilia.
Ad avvallare il tutto arriva anche Sciascia, che in una sua pubblicazione afferma che ‘Altro richiamo, per restare alla gola, è quello del cioccolato di Modica e quello di Alicante (e non so se di altri paesi spagnoli): un cioccolato fondente di due tipi – alla vaniglia, alla cannella – da mangiare in tocchi o da sciogliere in tazza: di inarrivabile sapore, sicché a chi lo gusta sembra di essere arrivato all’archetipo, all’assoluto, e che il cioccolato altrove prodotto – sia pure il più celebrato – ne sia l’adulterazione, la corruzione’
Fu nel 1999 che Modica diventò famosa per questo suo cioccolato, quando Franco Ruta, ospitato da Maurizio Costanzo, fece conoscere in tutta la nazione quello che chiamò il Cioccolato di Modica. Da li fu un vero boom, il centralino del Comune di Modica impazziva per le telefonate di curiosi e giornalisti, la dolceria venne presa d’assalto e i cittadini ritornarono a chiedere del ‘cioccolato buono’ o del ‘cioccolato di Maurizio Costanzo’. Questo endorsement, unito ai numerosi articoli prodotti da giornalisti di settore e opinion leaders decretò il successo per un prodotto praticamente scomparso e su questa scia nacquero i numerosi produttori che troviamo attivi sul territorio modicano.
Cosa ci dice il marchio I.G.P.?
Nel 2003 i produttori di cioccolato si riunirono in un consorzio per cercare di ottenere un marchio d’origine, cosa alquanto difficile in quanto spesso i marchi vengono pensati per i prodotti agricoli, categoria nella quale il cioccolato, che è un bene importato, fatica a rientrare. Dopo qualche anno di lavoro e delle deroghe si riesce però a ottenere il marchio, al quale la Dolceria Bonajuto ha deciso di non aderire.
Per spiegare al meglio queste decisioni andiamo a esaminare il contenuto del disciplinare:
“L’impasto si ottiene lavorando assieme la pasta amara di cacao e lo zucchero, anche di canna, raffinato o integrale. A carattere facoltativo è l’uso di ingredienti in aggiunta quali: sale, cannella, vaniglia, peperoncino, noce moscata, l’aroma naturale di agrumi, finocchietto, gelsomino, zenzero e i frutti, anche secchi e disidratati, di pistacchio, nocciole, mandorle e agrumi. È inoltre consentito l’uso di altre spezie, aromi naturali e frutta anche secca o disidratata”.
Sostanzialmente, non viene regolata in alcun modo la qualità o l’origine della massa di cacao. Dopo un elenco di possibili ingredienti in aggiunta che di tradizionale hanno ben poco (il cioccolato di Modica nella sua forma originale contemplava unicamente l’aromatizzazione con cannella o vaniglia) si legge comunque della possibilità di usare aromi naturali, quindi se qualcuno volesse produrre un Cioccolato di Modica IGP al gusto di fragola piuttosto che al cocco (ingrediente tipico del territorio siciliano) sarebbe libero di farlo.
Continuando la lettura del disciplinare si legge che:
Nella fase di lavorazione la massa di cacao viene sciolta a bagnomaria o con scioglitrici temperatrici ad un massimo di 50° C al cuore della massa. Una volta sciolta, alla massa viene aggiunto lo zucchero e, se presenti, gli ingredienti facoltativi, senza interrompere quell’operazione di mescolatura che conferisce amalgama e consistenza omogenea. Prima della modellatura è consentito temperare il prodotto, mentre successivamente si procede alla porzionatura e all’immissione del composto in appositi stampi, sottoposti inseguito, alla battitura per un periodo di tempo compreso tra uno e tre minuti con l’obiettivo di dare al prodotto una altezza uniforme e una compattezza ottimale.
Quindi si permette il temperaggio del cioccolato, che di certo potrà donare alle tavolette un look più accattivante (ma i marchi d’origine dovrebbero tutelare i prodotti nella loro integrità e in tutta sincerità): non capiamo il nesso tra il donare un’estetica totalmente difforme dall’originale e la tutela dei prodotti.
Secondo il disciplinare, per quanto riguarda la storia del cioccolato:
Numerose fonti storiche attestano che fin dal ‘700 il Cioccolato di Modica veniva realizzato presso le famiglie nobili della città. Un’intensa attività produttiva testimoniata da molteplici documenti come le carte d’archivio del nobile casato dei Grimaldi, insediatosi a Modica nel XVI secolo, che documentano come i cicolateri, già nel1746, manipolavano aromatiche cotte di cacao. Nell’Ottocento a dare grande impulso a notorietà, lavorazione e diffusione concorsero, anche i monasteri e gli istituti religiosi del territorio dove il prodotto veniva consumato ma, spesso, anche lavorato. Tra fine Ottocento e inizio Novecento si segna una nuova tappa fondamentale: i caffè di Modica si trasformano in veri e propri laboratori di produzione del cioccolato.
Leggendo le carte del Grimaldi, però, escono fuori principalmente documenti che contemplano l’acquisto di cotte di cioccolato da Palermo: in quelle carte la produzione nella città di Modica non viene messa in risalto, mentre ci sono testimonianze documentate del già detto ‘Fattojo del ciccolatte’ di Federico Bonajuto. Gli Aztechi non vengono minimamente menzionati, come non vengono menzionati gli spagnoli che portarono le tecniche lavorazione e lo stile del cioccolato modicano.
Pierpaolo Ruta ci racconta che la decisione di non aderire al marchio I.G.P lo lascia con l’amaro in bocca, e di certo non per colpa della massa di cacao, ma per aver visto cancellate le ricerche effettuate dal padre, censurata la storia di una famiglia, calpestata la storicità di un prodotto per trovare in commercio delle tavolette che con la storia del cioccolato di Modica hanno ben poco a che vedere in nome di un marchio che effettivamente piuttosto che rafforzare l’identità di un prodotto ne stravolge l’essenza.
Una ulteriore riflessione necessaria da porsi è che la tecnica di produzione del Cioccolato di Modica è molto semplice e nel momento in cui viene redatto un disciplinare tanto permissivo la sua commercializzazione può fare gola a produttori industriali, il cui interesse non è di certo quello di tutelare un prodotto e la sua storicità, ma espandere le vendite su grossi canali, fregiandosi di un marchio che può dare un valore aggiunto laddove non c’è.
La nostra idea è quella di consumare prediligendo la storia degli artigiani, visitandone i laboratori e assaporandone i prodotti, per poi scegliere indipendentemente dal marchio apposto sulla confezione che, a volte, non rispetta l’essenza stessa di ciò che consumiamo.