Aglio: o lo ami o lo odi. Tertium non datur. Il sapore e le decantate virtù terapeutiche da una parte. Dall’altra l’alito pesante e i disturbi di stomaco.
Trasversale la fazione dei contrari, da Berlusconi allo chef siciliano Filippo La Mantia, oggi con ristorante a Milano, che lanciò la crociata al grido di “puzza e non lo digerisco, faccio persino la caponata di melanzane senza“.
Replicavano stizziti i sostenitori: “Se non lo soffriggi, se lo schiacci crudo, se lo fai bollire l’aglio è digeribile e a prova di bacio“.
Beh, che ci crediate o no, questa sfida potrebbe non avere più senso, a cambiare le regole del gioco è arrivato l’aglione.
Ne avete mai sentito parlare?
Al di là dei pici all’aglione, piatto tipico della Toscana meridionale, in quell’area che sta tra Chiusi, Montepulciano e il monte di Cetona, probabilmente, no.
Non fate caso all’accrescitivo, per aglione s’intende una varietà di aglio inodore e dal sapore assai delicato, diffusa a partire dagli Etruschi, celebrata con molte lodi per le sue caratteristiche durante il governo dei Medici.
Il motivo per cui l’aglione è a prova di bacio e si digerisce bene è l’assenza dell’allicina, il principio attivo dell’aglio, responsabile del caratteristico odore del bulbo.
Di grandezza superiore alla media, negli ultimi quarant’anni l’aglione è praticamente sparito dalle tavole dei toscani, da quelle degli italiani non ne parliamo neanche. Oggi stando a Slow Food sono meno di 10 i produttori che possiedono coltivazioni di Aglione della Chiana.
Questo prima che la strana coppia composta da Alessandro Guagni, ingegnere di stanza a Roma, e Lorenzo Bianchi, avvocato marchigiano, invertisse la tendenza coltivando non solo il sogno da modern farmer, da agricoltori contemporanei, ma anche l’aglione perduto.
Il coraggio paga: oggi i due imprenditori che hanno fatto rifiorire un prodotto trascurato dalla grande distribuzione, possono raccontare la loro attività nientemeno che al Guardian.
Il sapore dell’aglione, grosso dai 300 agli 800 grammi, era molto buono e delicato così abbiamo pensato alla possibilità di reintrodurlo nel mercato.
All’inizio non è stato facile trovare i semi, la coltivazione sembrava effettivamente estinta.
Battere la strada dei micro-produttori locali si è rivelata la scelta vincente: rintracciati i semi dell’aglione, Guagni e Bianchi hanno iniziato a coltivarli in un terreno di proprietà nelle Marche.
L’attenzione, la passione e l’esperienza degli amici hanno fatto il resto. Al momento, su dodici ettari di terreno Guagni e Bianchi coltivano qualcosa come 12.000 piantine.
[Crediti | Link: Guardian, Foto: Guardian]