Sicuro e solido come un mediano analfabeta. Ci ha salvato dalle crisi alimentari e creative più insostenibili nella nostra adolescenza. In campeggio lo si esibiva con orgoglio per poi riversarlo senza grazia nel tegame, insieme alla pasta scolata. I più iconoclasti ci aggiungevano la panna. Per il mondo dei media si tagliava con i grissini, quando non era l’immagine mitica di un “insuperabile” pescatore con un po’ di nostalgia di casa, fino ad addentarlo con il coltello su un’isola deserta, dove sfoggiare una ricercata barba incolta e un’abbronzatura perfetta.
Nel tramezzino, con il pomodoro e la maionese – per alcuni coi carciofini- ha sempre regnato. Gli arditi (o inetti fate voi) lo mettono anche sulla pizza. I palestrati alla canna del gas lo brutalizzano, nella versione rigorosamente al naturale, nello spogliatoio dopo aver tirato a lucido deltoidi e pettorali. Noi trentenni, ormai inevitabilmente radical-chic, ce lo scottiamo su padella antiaderente con sesamo e aceto balsamico, quando non lo mangiamo crudo in stile sushi.
Ma amare il nostro amico tonno nel 2012 significa accettare il dramma della sua condizione, espiare il peccato ed eliminarlo dalla nostra dieta. Perché siamo cresciuti e abbiamo scoperto tante cose deprimenti.
Secondo Greenpeace ad esempio “quando un consumatore mette nel carrello della spesa una scatoletta di tonno non sa davvero cosa compra”. Come mai? Semplice: all’Unione europea è sufficiente la generale etichetta “tonno” per garantire il prodotto ma a mancare sono la provenienza e la specie.
Oggi non è più così, possono tuonare i più aggiornati. Infatti la nuova direttiva sulle etichette alimentari, entrata in vigore due mesi fa, stabilisce nuove regole univoche sull’accertamento della provenienza e manda in pensione la 79/112/CEE che aveva ben 32 anni.
Quindi sappiamo da dove viene il nostro tonno.
Aspettate però a tirare un sospiro di sollievo perché il benamato è a rischio di estinzione. Sono già cinque delle otto specie di tonno (tra cui i più noti maccoyi rosso e il pinne gialle) a essere state inserite nella red list dell’IUCN delle specie seriamente minacciate. Lo sappiamo da anni e Report ci ha dedicato una bella inchiesta che illustra anche lo spaventoso impatto ambientale che genera la sua pesca. Così al senso di colpa umano, si somma quello ambientale.
Però il tonno fa bene suvvia. E’ ricco di proteine e a basso contenuto di grassi. Vero, ma come tutti i pesci predatori di taglia grossa è ricco anche di mercurio, che non è esattamente salutare, tanto che le donne incinte, secondo la Food Standards Agency (FSA) non dovrebbero superare le due scatolette a settimana per non mettere a rischio il feto.
Insomma tonno, io ci sto provando a risparmiarti. Spero che tu abbia un buon ufficio stampa e legga il mio sacrificio, perché ti voglio ancora bene.
[Crediti | Link: IUCN, Rai. Immagine: Kenji Aoki/The New York Times]