Il ristorante del club velico Versilia, un circolo privato di Viareggio, richiede i pantaloni lunghi.
Ma lui, Giorgio Del Ghingaro, che di Viareggio è il sindaco un po’ bacchettone, non lo sa.
Non ha neanche letto i cartelli all’ingresso, che ci sono, nel numero di due, e dove al dress code con divieto di bermuda a partire dalle 19 si fa esplicito riferimento.
Guarda caso martedì sera il sindaco indossa proprio un paio di bermuda, però belli e parecchio costosi, ci tiene a precisarlo:
“Poco importa se ero vestito con abiti firmati per quasi mille euro complessivi. Anzi: duemila con l’orologio che fa parte dell’abbigliamento. Dunque affatto da straccione. E poi non era una cena istituzionale. Mi hanno buttato fuori per un paio di pantaloni al ginocchio pagati 250 euro”.
Così addobbato il primo cittadino pensa di gustarsi la cena con gli amici nella terrazza sul mare del locale, dove sulle prime viene fatto accomodare.
Non si tratta di un ristorante esclusivo, con 25-30 euro si mangiano pasti ben cucinati e serviti con cura, mica come nella vicina Pietrasanta, dove ti sparano certi prezzi.
Però non vogliono sentir ragione, dopo un paio di telefonate al gestore, ovvero Muzio Scacciati, il sindaco viene invitato in modo cortese, come si conviene al suo ruolo, a mostrare le gambette nude dove meglio crede ma non lì.
“Un’esperienza un po’ umiliante, lo confesso –racconta il sindaco, avevo concordato una cena con amici in un ristorante dove vado ogni tanto e, visto che non é una cena istituzionale mi sento libero di vestirmi casual.
Arriviamo, ci fanno sedere, chiacchieriamo, ci raccontiamo la giornata, rilassati e contenti di rivederci, finalmente con calma.
A un certo punto mi si avvicina il cameriere imbarazzato e mi comunica che, considerato che non indosso pantaloni lunghi, non posso stare in quel locale. Gli spiego, stupito, che non lo sapevo.
Prende tempo, ma dopo poco ritorna e mi chiede gentilmente di uscire, perché le regole del locale sono quelle anche se non conosciute, si scusa ma non può fare diversamente.
A quel punto non mi rimane che alzarmi, salutare le persone stupite al tavolo vicino, chiedere scusa ai miei amici e uscire, non senza vergogna”.
Un affronto per una carica così elevata, che il sindaco in bermuda ha prontamente riportato sul proprio profilo Facebook:
“Non sapevo che esistessero regole così ferree d’agosto in un locale sul porto, ma giustamente l’ignoranza non è ammessa, anche se continuo a chiedermi come una persona può saperlo se nessuno glielo dice o lo scrive all’ingresso (invece i cartelli c’erano, n.d.r.)
Al di là dell’episodio, spiacevole e, confesso, anche sgradevole, alla fine ho cenato bene da un’altra parte (molto bene), in ottima compagnia, senza censure sui vestiti, anche se con la brutta sensazione di aver subito una piccola violenza. Mi sono fatto una domanda: ma in quel locale controlleranno oltre ai vestiti, chessó il casellario giudiziale, il permesso di soggiorno, il codice fiscale, il certificato di sana e robusta costituzione, il tesserino di pesca, il colore della pelle, la tessera di partito, l’attestato di laurea o altro? Giuro che la prossima volta (non certamente lì, garantisco) m’informerò prima d’entrare.
Ma poi, detto fra noi, ero davvero vestito così male?”.
Detto tra noi, sembra che il punto per il sindaco di Viareggio sia tutto qui: chiude un occhio sulla mancata eccezione al rigido dress code per la sua esimia persona, riconosce che nel locale, così come per le norme legislative, l’ignoranza non è ammessa e che quindi si trova in difetto.
Ma sul proprio abbigliamento non transige: certo, indossava dei bermuda, ma bermuda di livello, di ottima fattura come si conviene a un sindaco. Quello stesso sindaco che aveva appena varato le norme anti-degrado per la città, e che, come riportato in uno dei commenti su Facebook, “invita a non girare per la città in costume.
Ma se si indossano bikini da 500 euro chiude volentieri un occhio”.
[Crediti | Link: TgCom]