“La gente viene qui presto per scegliere il tavolo con la vista migliore” racconta il cameriere compiaciuto. Martedì di fine luglio a Venezia, più o meno le 19. Alcune coppie sono già attovagliate, in effetti, gli sguardi rivolti verso la laguna. “E poi, vede quei tavoli da due accanto alle finestre che danno verso l’isola di San Giorgio? Sono i più richiesti per dichiarazioni d’amore e proposte di matrimonio. Accompagnate da dessert memorabili, me lo lasci dire, con tanto di anelli nascosti all’interno”.
Mentre è probabile che gran parte delle lettrici si sia concentrata sulla questione anello, io –pecora nera nelle questioni sentimentali– mi concentro sul resto, specie sui dessert. Il fatto è che essere all’ultimo piano dell’hotel Danieli, al ristorante Terrazza, con una vista che abbraccia la laguna dal campanile di San Marco fino al Lido e oltre, al cospetto di camerieri inamidati e bicchieri splendenti, rende irrilevante anche il più meraviglioso e irraggiungibile di tutti gli uomini.
Istituzione alberghiera più che semplice albergo, effigie di lusso e raffinatezza, il Danieli (la dicitura esatta recita Hotel Danieli Luxury Collection, gruppo Starwood) risale al 1300, fatto edificare per la famiglia Dandolo.
210 camere distribuite su tre palazzi (oltre alla struttura originaria di Palazzo Dandolo si sono aggiunti Casa Nuova, edificio risalente al 1800, e attorno al 1940 il Danieli Excelsior) stanza doppia premium da 545 euro a notte, l’hotel ha visto alternarsi in passato celebrità, politici e scrittori, come poteva essere altrimenti.
Benché oggi abbiano ceduto il posto a sceicchi arabi e facoltosi di ogni nazionalità.
Se, come è capitato a me, entrando dalla porta girevole le ginocchia tremano facendovi sentire inadeguati, e già vi vedete incastrati con inevitabile goffa figura, sappiate che è legittimo.
Una volta dentro, dopo una decina di minuti spesi a rimirare gli interni rivisitati in stile neogotico, l’atrio principale dominato da una scalinata dorata e le gallerie decorate con archi moreschi, colonnine orientaleggianti e lampadari di Murano, ci si trova indicibilmente a proprio agio.
Come chi è vissuto qui da sempre.
Storia e architettura a parte, a noi interessa l’ultimo piano, quello dove si trova la terrazza e la sua cucina. O meglio le sue cucine, visto che dallo scorso maggio accanto al ristorante Terrazza Danieli è comparso uno spazio nuovo.
Il rapporto che li lega è di prossimità “fisica”, ma anche di collaborazione gastronomica. Come quei duetti nella musica che vedono affiancati leggende viventi e celebrità pop: in linea di massima improbabili alla resa dei fatti funzionano perfettamente.
Un Pavarotti and friends in chiave culinaria, insomma.
Il primo nome da fare è quello di Dario Parascandolo. Napoletano, esperienza internazionale in contesti alberghieri di lusso, dal 2014 ha il compito –non agevole– di restituire nei piatti il carattere del Danieli e quello di Venezia, appagando le aspettative di una clientela del genere.
Se pensate a una cucina ingessata, stretta tra Chateaubriand con salsa bernese e inesorabili risotti di pesce siete fuori strada.
“La nostra non è una cucina fossilizzata” – dice l’executive chef – “certo ha il suo stile, ma l’impronta è moderna, con riletture eleganti dei piatti storici veneziani che i clienti si aspettano”. Prendendosi anche dei bei rischi, perché se ti puoi aspettare piatti come “Conchiglie di Gragnano ripiene di scampi scottati, bisque di crostacei e crema di piselli” o “Branzino in crosta di sesamo con crema di mandorle e fagioli rossi”, è più difficile immaginare ricchi e famosi alle prese con il fegato alla veneziana (qui moderato nella sua veemenza da polenta di Storo e mela annurca farcita con verza brasata) e soprattutto con l’anguilla.
Il comunissimo “bisato” in versione 5 stelle diventa una coppia di filetti, il primo laccato con la birra, l’altro marinato con colatura di alici e servito con fiori di zucca e radicchio di campo.
Se la cucina veneziana vi piace, ecco un’anticipazione: uno dei prossimi piatti sarà “baccalà e spritz”, il baccalà mantecato viene servito avvolto in un cannolo di gelatina di spritz, accompagnato da caviale di olive.
La carta cambia ogni mese, facendo attenzione alla stagione (in questo gli orti di Sant’Erasmo aiutano) e alla presentazione, perché colori e fascino sono fondamentali.
Dicono che chiedere il prezzo di cotanta bellezza faccia volgare, niente paura, l’ho fatto io per voi approfittando della simpatia, direi meglio napoletanità di Dario Parascandolo.
Antipasti e primi piatti costano in media 35 euro, i secondi sui 50. Ci sono poi due menu degustazione: uno di terra e l’altro d’acqua. Costi: 4 portate senza vini a 115 euro; con vini a 165.
Si era parlato di un altro spazio attiguo alla Terrazza.
Basta scendere qualche gradino, infilare un abito casual e accomodarsi a un tavolo di “The Egg”, il bistrot firmato dallo chef torinese Nicola Batavia, aperto da maggio scorso.
40 posti, via i coperti e un prezzo accessibile. Il menu degustazione composto da 3 cicchetti e un primo piatto costa 45 euro, mentre per un pasto medio se ne spendono 20-25.
Fratello minore del primo The Egg, aperto a Torino il 19 marzo 2014 all’interno de ‘L Birichin (in omaggio al piccolo Vittorio, figlio di Nicola), il bistrot veneziano –aperto da martedì a sabato, solo di sera, fino a mezzanotte– replica in parte il formato originale aggiungendo un tocco di dialetto veneziano.
Il logo dell’uovo è presente ovunque ma in modo discreto, mentre i bicchieri bianchi hanno un fondo giallo che sembra un tuorlo: berci l’acqua ha un effetto parecchio straniante.
Più che un succedersi ripetitivo di portate a base di uova, il menu è costruito attorno all’idea della semplicità e della replicabilità.
“L’uovo insomma” –ci dice Batavia– è la costante di un menu ispirato all’alta cucina ma con prezzi da bistrot”. In altrr parole proposte accattivanti, semplici ma non banali, accessibili e cucinabili con rapidità nella cucina della Terrazza, che presta idee e materie prime.
Spicca tra gli altri piatti l’“Uovo di quaglia al palet con spinaci e liquirizia” (mettete in guardia il vostro palato, che qui si rischia la dipendenza), signature dish di Batavia, oprattutto l’“Hamburger di branzino in tigella, con patate viola e maionese alla cannella”.
Parliamo di cicchetti ma non aspettatevi porzioni micro, tutt’altro. Il legame con la tradizione veneziana è nell’idea dell’assaggio fruibile, veloce, senza posate, alla faccia di chi, come la sottoscritta, mai avrebbe pensato di mangiare con le mani al Danieli. E se non vi basta trovate anche cocktail e dessert a tema.
Presi dall’atmosfera casual, tentati di chiedere un brindisi al maitre per il bicchiere della staffa, ci domandiamo se una collaborazione tra il ristorante di un hotel lussuoso e un bistrot dall’atmosfera amichevole è proprio così semplice? Senza contraddizioni e competizione?
Da quel che abbiamo visto e assaggiato la risposta è sì. E per Venezia, rendere accessibile e popolare l’inarrivabile non è affatto banale. Confidiamo nell’effetto emulazione.
[Immagini: Caterina Vianello, Starwood Hotel & Resorts, Grassi + Partners]