Mai sentito nominare “How to spend it”? Celebre (e celebrato) magazine del Financial Times ha un formato impegnativo, diciamo che sfogliandolo in autobus o sulla metro rischiate un contrasto fisico con il vostro vicino. La carta è lucida e la sensazione indotta è di osservare l’inarrivabile, di partecipare anche solo per pochi momenti alla festa che i facoltosi oltre misura sperimentano ogni giorno.
Ecco, la prima volta che ho sentito parlare di Aman Canal Grande, la sensazione è stata quelle: le 7 stelle, la storia dell’edificio in cui è ospitato (Palazzo Papadopoli) e l’irrilevante dettaglio delle nozze di George Clooney celebrate qui ne facevano un luogo irraggiungibile. Nascosto alla vista, come molti altri palazzi simili a Venezia, in una città che ondeggia tra un turismo di massa, evidente e rumoroso, ed uno di elite che fa della discrezione il proprio tratto distintivo.
Insomma, pur trovandoci nello stesso spazio geografico, divisi solo da un tratto di canale, io e l’Aman avremmo continuato a condurre vite separate. Io consapevole della sua esistenza, lui ovviamente ignorando la mia.
E proprio una volta raggiunta la condizione di serena accettazione orientale, ecco che intervengono due eventi a scombinare i piani: una cipolla caramellata e un cambio di direzione. Ma andiamo con ordine.
Per cominciare, dunque, un po’ di storia: Aman Resort è una catena di hotel di lusso fondata nel 1988 da Adrian Zecha, imprenditore del settore alberghiero di origini indonesiane.
La parola Aman, dal sanscrito, significa contemporaneamente pace, tranquillità e protezione, ed è questa la filosofia che ispira la scelta dei luoghi da trasformare in resort, in genere nascosti alla vista, con un limitato numero di camere (di solito meno di 50: Aman Canal grande ne ha 24), e uno stile che privilegia arredi sobriamente eleganti.
Inizialmente presente solo in Asia, oggi i suoi alberghi sono diffusi anche in Europa e Usa. Quello di Venezia è l’unico in Italia e si trova in un palazzo storico del 16° secolo, progettato dall’architetto Giacomo de Grigi, su commissione della nobilissima famiglia Coccina di Bergamo.
Nel 19° secolo la residenza venne acquistata da due fratelli, Nicolò e Angelo Papadopoli Aldobrandini che trasformarono il palazzo in un capolavoro dello stile neo-rinascimentale.
Gli attuali proprietari, la famiglia Arrivabene, vivono all’ultimo piano del palazzo. E agli ospiti, che hanno il privilegio di soggiornare in stanze affrescate dal Tiepolo, di dormire davanti ad un caminetto disegnato dal Sansovino e di gustare un aperitivo in uno dei giardini privati più belli di Venezia, può capitare di incrociare ogni tanto un illustre esponente della famiglia nobiliare.
Cosa che pare esercitare un fascino notevole.
Bene, ora che la parte delle presentazioni ufficiali è espletata, possiamo abbandonare l’espressione seria e formale, rilassare i muscoli e riprenderci il sorriso: siamo qui per un motivo che richiede papille attente e pronte all’assaggio.
Non so come la pensiate voi in tema di ristorazione alberghiera. A me provoca una sottile inquietudine: devo individuare quanto prima una via di fuga. O quantomeno una confezione di effervescente Brioschi.
Insomma, nonostante esistano casi in cui la cucina di un albergo regala grande soddisfazione (Heinz Beck: ci piace vincere facile), più frequenti sono quelli in cui è fonte di indimenticabile indigestione.
Sapere allora che il ristorante dell’Aman, dopo un paio d’anni in cui faticava a trovare un’identità precisa ondeggiando tra sapori italiani e gusti nippo-tailandesi, non ha solo individuato una direzione chiara ma ha anche assunto un consulente pop, mi ha incuriosito.
Una precisazione: ciò che per amor di brevità chiamiamo “ristorante”, in “lingua Aman” prende il nome di “dining area”. A Venezia ce ne sono due, entrambe finemente arredate.
La direzione chiara è stata una scelta saggia: non solo un unico menù, che ovviamente cambia con la stagione, ma anche l’apertura del ristorante al pubblico, oltre che agli ospiti dell’albergo.
Ma, direte, l’inarrivabile resta comunque tale, visto il luogo.
E invece no: certo le cifre non sono da cena disinvolta, ma – e qui sta il secondo punto di svolta – sono linea con la filosofia di Davide Oldani, che da settembre dello scorso anno è diventato il nuovo consulente culinario di Aman.
Il fondatore del D’O, della cucina pop, colui che ha trasformato un’umile cipolla nella Scarlett Johansson degli ortaggi a bulbo, firma 8 piatti (“signature dishes”, individuabili dal piccolo logo), alcuni dei quali rappresentano un omaggio a Venezia e al Veneto.
Oltre alla cipolla caramellata dallo sguardo seducente e a “Zafferano e riso” (il piatto di Expo 2015), trovate la “triglia in saor con aceto di lampone e panella di ceci” e una cacio e pepe “veneta” (Spaghetti con Monteveronese, profumo di limone, pepe nero e rafano).
In cucina, il compito non facile di gestire l’identità del ristorante facendone un luogo di gusto e non uno spazio in cui, vista la provenienza della clientela (per la maggior parte da Usa, Uk e Asia), la deriva verso la temibile “cucina internazionale” è in agguato dietro l’angolo, spetta ad Akio Fujita.
Giapponese, un passato da sous chef alla Locanda Margon di Trento e uno al Dolada della famiglia De Prà (Pieve d’Alpago, Belluno, 1 stella Michelin), Akio ha una calma orientale.
Ci dice che base del menù sono le verdure e che la ricerca dell’armonia tra consistenze e sapori è quello a cui puntare. Ci dice anche che ama il pesce azzurro ed il baccalà mantecato.
Per quest’ultima affermazione, scontata in bocca a chiunque altro visto che parliamo di uno dei migliori confort food esistenti al mondo, un po’ meno se detta da un giapponese, la tentazione di alzarsi ed abbracciarlo è forte. Ma ci tratteniamo visto il luogo e lo spirito dell’etichetta nobiliare che si aggira tra i saloni.
Il nuovo menù (in vigore dal 15 marzo) sarà costruito attorno agli ortaggi primaverili. Un’anticipazione? La versione verde del celebre “Cotto-crudo, morbido-croccante, acido-basico”. Protagonisti saranno i piselli, trasformati in crema, crumble, gelatina (brodo concentrato e agar agar), crudi e in germogli. Sappiate in ogni caso che cipolla caramellata e zafferano e riso saranno ancora qui ad aspettarvi, anche a primavera.
E sappiate anche che, se un pranzo vi sembra impegnativo, è possibile comunque godere degli spazi dell’Aman prendendo un aperitivo al bar (“uno dei 10 più belli del mondo” secondo Condè Nast).
I prezzi adesso: gli antipasti costano in media tra 20 e 22 euro, i primi piatti tra i 25 e 28 euro, i secondi tra 38 e 40 euro.
Insomma, quando vi ricapita l’occasione di poter contemporaneamente visitare un palazzo storico, ammirare un affresco del Tiepolo e specchiarsi in una lucidissima macchina da caffè Victoria Arduino Venus Family con il Canal Grande al di là delle finestre?
[Crediti | Immagini: Smith Petersen]