Torino trema. O meglio, trema l’alta ristorazione torinese, che pare voler cambiare tutto d’un tratto per diventare qualcos’altro. Chissà poi cosa, a meno di non voler dar ragione a chi – come Felix Lo Basso – sostiene la morte del fine dining e compagnia bella. Noi in questa narrazione – o quantomeno in questa semplificazione – non abbiamo mai creduto più di tanto, eppure eccoci qui, a fare i conti con il fine dining torinese che si sgretola – sì, avete ragione voi, che “cambia” ed “evolve” -, e lo fa tutto insieme, nel momento peggiore della storia, ovvero quello in cui Torino sta per raccontarsi al mondo intero come la città cuore della migliore enogastronomia italiana, ospitando l’evento di settore dell’anno, la prossima The World’s 50 Best Restaurants.
Un nuovo terremoto arriva da Unforgettable
La 50 Best di giugno, vista con gli occhi di oggi, sembra essere un momento per cui, a questo punto, la città pare aver bisogno quantomeno di una nuova strategia narrativa. Perché quella dell’alta ristorazione non regge tanto.
Confermato ufficialmente l’addio di Matteo Baronetto al Del Cambio la situazione all’orizzonte rimane se non tristanzuola quantomeno preoccupante, fatta eccezione per il sempre ottimo Condividere (su chef Zanasi, la smetta con i gesti scaramantici).
Già, perché all’orizzonte c’è un nuovo terremoto – pardon, cambiamento – che riguarda un altro stellato torinese di successo, Unforgettable, dove (come scritto anche stamattina dalla collega Piera Genta su Italia a Tavola) pare che lo chef Christian Mandura sia pronto a dividere il suo percorso da quello del ristorante di concezione più avanguardistica della città, quello dove si cenava solo in dieci per ogni sera seduti al bancone assistendo allo show del team di cucina. “Unforgettable si è sempre evoluto, anno dopo anno”, dice lo chef. “E sì, l’evoluzione del 2025 potrebbe essere senza il mio contributo”. Come ogni gennaio, spiega lo chef, il team di Unforgettable si è seduto intorno a un tavolo insieme alla proprietà per valutare il da farsi. Ma quest’anno non è come tutti gli altri, perché lo chef da un po’ di tempo ha un nuovo progetto tra le mani (si vocifera di un grande progetto di ristorazione, in collaborazione con un noto marchio IT, all’interno degli spazi riqualificati dell’ex Caserma De Sonnaz).
Dunque, anche se i giochi non sono ancora fatti, la svolta pare dietro l’angolo. Le decisioni verranno prese e comunicate nei primi dieci giorni di febbraio, dice lo chef, ma intanto pare abbastanza chiaro che il futuro di Mandura, con ogni probabilità, non sarà più nello stellato Unforgettable. Che comunque, esattamente come Del Cambio, andrà avanti per la sua strada. “Il ristorante funziona, sta in piedi, è sempre pieno”, dice lo chef. “Quindi non è in discussione la sua apertura futura. Semplicemente, si sta evolvendo, ma è una cosa che succede da un po’: da un anno e mezzo è Unforgettable anche senza Christian Mandura, che poi era quello che volevo io, un progetto che vivesse di luce propria e non della luce di chi gli sta dietro”.
E Torino?
Dunque, Torino non perde nessuna stella, perché sia Del Cambio che Unforgettable paiono voler proseguire anche senza gli chef con cui hanno iniziato il loro percorso. E non le avrebbe perse comunque, le stelle, che come è noto rimangono attaccate al ristorante e non allo chef (certo, in autunno andranno riconfermate).
Ma la situazione non è rosea, o quanto meno è di colore incerto. Nulla vieta di credere che all’orizzonte ci siano progetti nuovi, finanche migliori (perché no), e quindi meritevoli di portare Torino a essere la culla dell’enogastronomia contemporanea, così come tutti la vorrebbero. Certo è però che quando si cambia si ricomincia tutto da capo, ed è questo che sta succedendo: Del Cambio riparte da capo, Unforgettable pure, Magorabin anche (il sous chef Enzo Barillà, colonna portante della cucina, ha di recente annunciato l’addio). Piano35 resta nelle mani di Marco Sacco, che pure pare chiaramente volersi allontanare dall'”universo Michelin” . Al Ristorante Carignano c’è Davide Scabin, che in queste settimane con il suo menu celebrativo dimostra di vivere in un continuo Amarcord di quel se stesso che fu ai tempi del Cyber Egg, e magari c’è un sacco di gente che (comprensibilmente) farà la coda per assaggiare quel pezzetto di storia della gastronomia, ma sinceramente vivere perennemente con lo sguardo rivolto al passato fa facilmente passare il messaggio che si ha poco di nuovo da dire.
Perfino il Cannavacciuolo Bistrot ha di recente subito un cambio chef, anche se la Michelin pare non aver accusato il colpo. Per il resto, Condividere a parte, nel firmamento torinese restano i volti storici: Vintage, Dolce Stil Novo, che granitici rimangono lì contro tutti e contro tutto, dimostrando che la ristorazione d’un tempo forse è meno capace ad evolvere, ma che questo non è necessariamente un male.
Torino punterà tutto sulla sua sempre meravigliosa bistronomie (Scannabue, Luogodivino, Razzo, Consorzio, Smoking Bar, eccetera eccetera), si dirà. Un settore che mette d’accordo pubblico e critica, e che pare essere molto distintivo della direzione della gastronomia cittadina, quasi fosse un naturale proseguo (evoluzione, visto che l’abbiamo nominata così tante volte) delle piole d’un tempo. Se così è, benissimo, basta decidere dove puntare: perché in questo momento l’alta gastronomia di sicurezze pare darne davvero poche, e la 50 Best è davvero dietro l’angolo (e con lei il futuro del posizionamento gastronomico della città).