Riflessioni di Pasquetta: niente, io e i vegani non ce la facciamo proprio ad andare d’accordo. E dire che ce la metto tutta, giuro.
E davvero non difetto di buona volontà: ancora qualche sera prima di Pasqua, a casa da solo come un gambo di sedano, ho provato a ordinare un delivery senza prodotti animali. La mia buona disposizione era tale che ho preso un tempeh senza nemmeno sapere cosa fosse.
La mia cena è stata una sonora delusione.
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Roba sciapa, senza senso gastronomico, senza un’idea di cucina, senza professionalità, e pagata pure cara, considerato che ogni piatto era sui 9 euro (spedizione esclusa) ed era roba misera in qualità e quantità.
La cosa mi ha deluso.
Conosco ottimi ristoranti vegani con ottimi cuochi: penso al Joia di Pietro Leemann a Milano o al Chiodi Latini New Food di Torino. Mangiare bene senza prodotti animali è possibilissimo.
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Ma se l’alta ristorazione se ne sta rendendo conto, capita meno nel livello popolare: le cucina vegane “pop” continuano a propinare insulsi succedanei dei prodotti animali spesso realizzati da gente che fino al giorno prima non faceva il cuoco, ma, chessò, il pubblicitario o il casellante.
Non capisco perché non ci possano essere trattorie che senza tante menate –e anche senza tanto seitan e tofu– non propongano i grandi piatti italiani (e non solo) che già di per sé non hanno prodotti animali (o in cui i prodotti animali sono laterali, quindi facilmente sostituibili).
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Io vorrei una trattoria con un menu tipo cosi:
Antipasti
Caponata di melanzane
Gazpacho
Guacamole
Verdure in carpione
Farinata
…
Primi
Trofie al pesto
Spaghetti al pomodoro
Pasta alla norma
Risotto allo zafferano
Minestrone genovese
Pasta e fagioli
…
Secondi
Melanzane ripiene
Frittura di carciofi
Funghi fritti
Asparagi
Torta di verdure
…
Io voglio un menu vegano così: con piatti normali, senza mai evocare gli animali (“niente: hamburger di…”), senza roba processata, senza menate.
Il giorno che qualcuno apre una trattoria siffatta, giuro che ci vado spesso.