La nostra recensione del ristorante di Michele Valotti, La Madia di Brione, in provincia di Brescia, che fatichiamo a definire “trattoria”, al netto del nome affisso all’insegna. In un menù a metà tra la tradizione locale e la sperimentazione, tra polenta e birra acida alla spina, vi spieghiamo la duplice identità del locale, ma soprattutto, perché ci troviamo di fronte a un fine-dining mascherato da osteria.
Quando arrivano i Cappelletti al crauto rosso, brodo di pollo, miso di caffè verde l’apparato sensoriale riceve talmente tanti stimoli da lasciare inizialmente disorientati. Affumicatura primordiale, un’evocazione olfattiva di braci aromatiche, ben lontana dai ricordi di wurstel e provola troppo spesso associati a questa idea. Un brodo dalla sfacciata struttura sapida, progettata sovrapponendo a un massiccio brodo di pollo lo spessore di una zuppa di miso, scorre sul palato illuminandone i recettori con un umami che parla direttamente alle parti più golose del cervello.
E poi il morso del cappelletto, finissimo e quasi croccante, che libera l’acidità lattica, agrumata, floreale del crauto.
Perché mi concentro su questo piatto? Perché mi serve a raccontarvi quello che secondo me sta succedendo qui a Brione e da nessun’altra parte. E sta succedendo ora. “Coniuga tradizione e innovazione” è una frase che unisce il 98% dei racconti di ristoranti, dalle guide ai fuffblogger e il più delle volte si traduce in locali con pretese gourmet che cercano di rassicurare la clientela diffidente o trattorie che grattuggiano lime sullo spaghetto e vongole.
Non è questo il caso. Se un piatto di cappelletti in brodo è uno studio sulla semiotica dei sensi, è forma tradizionale e contenuto sperimentale, è perché sintetizza le due anime della Madia, entrambi parti inscindibili del Michele Valotti – pensiero.
Due anime che ora scorrono parallele, dritte come solo il rigore filosofico del padrone di casa può imporre. E il modo in cui convivono crea un corto circuito irresistibile.
La cucina tradizionale
C’è il personale di sala vecchia scuola, pacioso e sorridente, orgoglioso nel viziare gli ospiti con copiosi vassoi di Strachì Parat, robusto piatto di recupero tipico della Val Camonica con cipolle e formaggi a latte crudo, diventato uno dei piatti simbolo della casa, nonché dell’approfondimento storico che è alla base di ogni ricetta della tradizione.
E la cucina tradizionale alla Madia è indiscutibilmente uno dei punti più alti d’Italia. Se, tanto per capirsi, per farsi un’idea della tradizione Ligure bisognerebbe portare delle scolaresche alla Brinca, per il bresciano si viene a Brione. Qui i piatti storici -oltre che essere di una golosità trionfale, non fraintendiamoci- sono attraversati da un nota quasi dolente, un incombente, granitico senso di responsabilità che ha fatto di Michele un gigante di questa cucina.
E poi ci sono i membri più giovani della brigata, un po’ più tecnici e a loro agio nel servire provette di Tibicos come aperitivo, raccontando gli elementi della ricerca che Valotti porta avanti ormai dal 2007, quella sulle fermentazioni, e che lo pone tra i principali rappresentanti di questo movimento. Gli ha dedicato un intero menù, dall’appropriato nome l’Ardito, di ben 18 portate, micro-assaggi ovviamente: 45 euro che difficilmente potrete spendere meglio.
Se avrete occasione di farci una chiacchierata, magari nel suo mirabolante laboratorio-gelateria-pizzeria-kombucha bar in centro a Brescia, Alimento -che conduce in collaborazione con l’esperto di lievitati Cesare Rizzini- capirete quanto visceralmente Michele viva questa esperienza: è in grado di parlarvi ore dei probiotici contenuti nei fermentati, e del ruolo storico della loro acidità, in contrasto con le dolcezze e sapidità che di solito attribuiamo alla cucina tradizionale.
Considerazioni, le sue, sintomo di un palato intelligentissimo. Guardate Il Maiale e le sarde secche, in cui la polenta che accompagna i guancialini di maiale brasati è coronata dalle sarde del lago di Iseo arrostite a mo’ di uccellini allo spiedo. Un virtuosismo sull’umami, usato con consapevolezza, e dagli effetti stordenti: la concentrazione del fondo suino e la sapidità di un mare d’acqua dolce, sintesi di acido glutammico/lisergico.
Un tema, quello della sarda e dello spiedo bresciano, sviluppato non a caso da un altro esperto del quinto gusto, Riccardo Camanini di Lido 84, nella sua Sarda Affumicata e fritta, uno dei piatti gourmet che hanno fatto il 2018.
Il menù Ardito
Vi avverto: se è la prima volta che venite qui, il degustazione più impegnativo vi verrà sconsigliato. Vivamente sconsigliato. Prima il tradizionale e poi, se ve la sentite e le emozioni forti non vi spaventano, potrete cimentarvi nell’affrontare l’Ardito. C’è da capirli; la clientela che affolla il locale (nel weekend senza tre settimane di vantaggio non provateci neanche, evviva) si è formata in anni in cui questa era un trattoria tout court, e di certi ragionamenti da gastrofregni cervellotici non vuole proprio sentire parlare, giustamente.
Ma essendo io a una tavolata ugualmente divisa tra esordienti e veterani del posto, sono riuscito a contrattare un menù 50% classici e 50% assaggi arditi e il corto circuito tra anime ce lo siamo proprio goduto. Perché in questo momento della storia della Madia, questa elettricità è dappertutto. Tra la vetrina casearia degna della Cloche à Fromage e i barattoli di miso che la affiancano, tra il pentolame di rame alle pareti e la spina a pompa di birra acida che manco in un pub di Bruxelles (nota per i beer geeks: la BeerBera di Loverbeer). E ad oggi, tutto bene. Ma si rivolverà mai questo corto circuito?
Può restare tutto così, per carità. Chi vuole la tradizione ha il meglio, chi vuole sperimentare vola. Però suvvia, Valotti è uno che per servire bistecche mette in sala una cella di frollatura, per il caffè fa una carta di specialty coffee e relative estrazioni e per la sua cucina di ricerca ha scritto un manifesto. Credete davvero che uno così possa stare fermo? D’altra parte è vero che la carta dei classici è ormai piena di intoccabili per cui un’evoluzione in questo senso la vedo difficile; tanto quanto alcuni dei passaggi del nuovo corso sono più idee che piatti.
E’ una cosa che ho trovato particolarmente evidente nel servizio più spettacolare del pranzo: il Filetto di pecora gigante bergamasca e capperi di monte, appena scaldato dando fuoco col cannello alle foglie di Scotano fermentate ed essiccate che lo ricoprono, e i cui “capperi” sono bacche di sambuco acerbe anch’esse fermentate. Un boccone esplosivo, tarato per una porzione da menù di 18 portate, ma un’idea che vorrei vedere espressa con la stessa compiutezza dei cappelletti dell’introduzione.
Quindi, ecco il mio auspicio: abbiamo un autore dal carattere, cultura e intelligenza tali da potersi permettere un menù tradizionale fondamentale per la gastronomia del nord Italia e un menù d’avanguardia che molti stellati vedono col binocolo. Se e quando troverà il modo di farli convivere in un unico percorso a Brione succederà qualcosa di grosso, e abbiamo prove concrete di tutto ciò. Più che concrete, abbiamo dei cappelletti.
Indirizzo: Via Aquilini 5, Brione (BS)
Orari: Chiuso lunedì e martedì, aperto a pranzo e cena il sabato e la domenica. Mercoledì, giovedì e venerdì solo cena.
Telefono: 030 894 0937