Era qualche anno che non andavo alla trattoria Al Tranvai, indirizzo storico delle parti di San Frediano, per la precisione in Piazza Tasso, un luogo in cui il centro di Firenze (per un pelo, quel poco che resta delle mura rimane proprio qui accanto) è ancora autenticamente popolare, tanto che nella piazza c’è un piccolo parco frequentatissimo dai marmocchi, con un fontanello dell’acqua che la dispensa anche gassata (amatissimo dagli anziani), e il tutto è anche un punto di ritrovo per gli extracomunitari, che passano il tempo a chiacchierare all’ombra dei tigli o a giocherellare coi gatti che si avvicinano sornioni.
Per anni ho vissuto in via di Camaldoli, una delle strade che sbucano nella piazza, eppure, anche uscendo soddisfatto dopo ogni volta che ci ho mangiato, al Tranvai sono sempre andato di rado, e forse un motivo c’è – ci torneremo in fondo.
Un viaggio in tram
La trattoria deve il nome agli antichi tram che passavano qui davanti (e che i fiorentini proprio non riescono a chiamare tram, un tempo dicevano tranvai, ora tramvia), e tutto nel locale richiama con un po’ di nostalgia questo mezzo tanto comodo (e che dopo decenni sta finalmente tornando in città). È un grande argomento di conversazione il tram, a qualcuno misteriosamente non piace, altri notano che dove passa aumenta il valore delle case, mi sembra quasi di sentire discorsi di un altro tempo: Certo se facessero passare una linea tranviaria lungo la Circonvallazione Nord dal mercato del bestiame fino al porto il valore andrebbe su come un razzo.
Sarà forse per questo che anche il Tranvai appare così conviviale, col suo bancone in guisa di carrozza verde, e l’interno lungo, stretto e con le pareti rivestite di listelle di legno: sembra proprio un antico vagone. Senza contare che anche le pareti sono tempestate di foto d’epoca con i piccoli convogli che andavano su e giù per la vecchia Firenze. C’è una bella atmosfera, accogliente, il posto è noto ai turisti per le molte segnalazioni presenti sulle guide (la vetrofania è una festa di coccarde) ma data la posizione la trattoria è molto frequentata anche dai fiorentini, che amano le frattaglie – vero cavallo di battaglia della casa.
Gente di Firenze (e di Dublino)
Dovendo aspettare qualche minuto in attesa del tavolo, diamo un’occhiata al menu appeso accanto alla porta d’ingresso su cui il Commensale™ immediatamente individua l’oggetto dei desideri di questa serata: il rognone (ecco ancora quella voce, chissà da dove viene… Uova e prosciutto, no. Niente uova buone con questa siccità. Ci vuole acqua fresca pura. Giovedì: non è nemmeno giornata per un rognone di castrato da Buckley. Fritto nel burro, un zinzinino di pepe. Meglio un rognone di maiale da Dlugatz).
Il rognone e questi vecchi tram, mi sembra evidente, mi catapultano in un passato, un passato in qualche modo analogo a quello evocato da questa trattoria così novecentesca. E a pensarci bene mi conducono a un giorno preciso, al 16 giugno del 1904 e a una città che è molto lontana ma che pure doveva avere qualcosa in comune con la Firenze che fu, fosse anche solo le ossessioni per i tram e i rognoni: la Dublino di James Joyce.
Si fermò davanti alla vetrina di Dulgatz, a guardare le collane di salsicce, i sanguinacci, bianchi e neri. Cinquanta moltiplicato per. Le cifre gli sbiancarono in mente insolute: contrariato, le lasciò svanire. Mangiava con gli occhi le lustre filze di carne insaccata e inalava tranquillo il tepido aroma del sangue di porco cotto e drogato. Un rognone trasudava gocce di sangue sul piatto di ceramica figurata: l’ultimo.
Ed è così che mentre nella mia testa Leopold Bloom va a caccia per la Dublino di inizio ‘900 di rognoni sanguinanti (a questo punto è impossibile non seguirne le peripezie mentre ragioniamo di questa trattoria), a mia volta mi faccio venire l’acquolina in bocca e cedo fatalmente alla viscerale tentazione. E non solo del rognone (13 euro), perché uno dei piatti forti del Tranvai è il cervello, servito fritto insieme ai fiori (13 euro) – e quasi senza accorgermene eccomi lanciato in una verticale di frattaglie. Come antipasto, chiamiamolo così, assaggio un paio dei tortellacci ai funghi porcini (11 euro) ordinati da mia moglie, mentre Leopold Bloom prepara per sé e per la sua Molly una colazione d’altri tempi…
Aspettando che il tè fosse pronto, tolse il bollitore dal fuoco e schiacciò la padella sui carboni accesi e stette a guardare il grumo di burro scivolare e struggersi. Mentre scartava il rognone la gatta miagolava famelica contro di lui. Dagli troppa carne e non piglia più topi. Dice che la carne di maiale non la mangiano. Kosher. Toh. Lasciò cadere il foglio sanguinolento per lei e cala il rognone nel burro sciolto sfrigolante. Pepe. Lo sparse con le dita, torno torno, prendendolo dal portauova sbreccato.
Il vino e i piatti del Tranvai
Il vino della casa, servito in un fiaschetto piccolo e affascinante in quanto datato, è un rosso insolito nelle trattorie di Firenze. Dopo un esordio quasi dolce, non lontano da quello che potrebbe essere lo spirito di un vino novello, vira decisamente verso un finale amarognolo, non ricorda il Sangiovese, probabilmente il vitigno è umbro (forse un Sagrantino). Il tortellaccio è gradevole e la porzione generosa, anche di porcini, ma lo dico pensando già ad altro… Ossia alle palline di cervello fritto che mi aspettano, abbondanti anche loro, nel mio bel piatto ovale.
La frittura è fragrante e asciutta al punto giusto, il fiore è servito in purezza, come nella tradizione fiorentina (niente alici o maiale, per capirci), ma quello che mi interessava di più – il cervello, motivo per il quale ogni qualche anno fatalmente torno al Tranvai – regge imperturbabile al passare del tempo. Dolciastro e lievemente viscido resta delizioso come la prima volta che l’ho assaggiato qui, da solo vale la visita. Senza contare che è seguito a stretto giro dal rognone…
Sua maestà il rognone
Infilò una forchetta nel rognone e lo rivoltò: poi sistemò la teiera sul vassoio. C’è tutto? Pane e burro, quattro, zucchero, cucchiaino, la panna. Sì. Lo portò di sopra, col pollice infilato a uncino nel manico della teiera.
Ed eccolo qua, al giorno d’oggi trovarlo in trattoria è una rarità – anche da queste parti. Il re di questa cena antica e povera è servito in una terrina, cui affianco una porzione di spinaci saltati in padella (6 euro), tanto per illudermi di regalare un tocco di levità a questa piramide di colesterolo.
– C’è odor di bruciato, disse. Hai lasciato qualcosa sul fuoco?
– Il rognone! gridò lui subito.
Si ficcò il libro alla meglio in una tasca interna e, urtando con le dita dei piedi contro la seggetta sgangherata, corse verso l’odore, precipitandosi giù per le scale con gambe di cicogna spaventata. Un fumo pungente si sprigionava da un lato della padella con uno spruzzo iroso. Infilando un dente della forchetta sotto il rognone lo staccò e lo rivoltò sul dorso come una tartaruga. Appena bruciacchiato. Lo fece saltar via dalla padella su un piatto e ci fece poi colar sopra il poco sugo marrone. Tazza di tè ora. Si sedette, si tagliò e imburrò una fetta di pane. Pelò via la carne bruciata e la buttò alla gatta. Poi se ne infilò una forchettata in bocca, masticando con discernimento la carne gustosa ed elastica. Cotto a puntino.
È elastico e molle anche il mio di rognone, non cotto nel burro, ma come da tradizione con abbondante olio e cipolle, ha poi un tocco acidulo (probabilmente aceto) cui è aggiunta una spolverata di mentuccia, intesa a stemperarne le residue irrequietezze.
La ghiandola tagliata in listarelle sottili, bordate da una linea chiara, è golosa e carica di note: la lieve asperità della frattaglia viene accompagnata in bocca da una nuvola di dolcezza che chiude in crescendo grazie all’accento pungente della menta. Cotto a puntino (cit.!), è una vera delizia.
Il dolce e il conto
Per finire assaggiamo una crostata crema e mele (5 euro) e una zuppa inglese (5 euro), non indimenticabili. Segue un conto da 34 euro a testa che è la ragione per cui poi, pur uscendone sempre soddisfatto, finisco per non tornare al Tranvai se non dopo un paio d’anni. È il tempo che mi serve per annacquare nel ricordo il prezzo di una cena che, per quanto buona, è pur sempre a base di frattaglie (per di più proposte come tradizione comanda, sebbene ok, a regola d’arte). Del resto la trattoria è davvero caratteristica e ha un’incancellabile patina di autenticità, per cui se non ci siete mai stati vale la pena provarla, poi quando tornarci dipenderà dalla labilità del vostro ricordo (o magari dal vostro cash-flow).
Informazioni
Trattoria Al Tranvai
Indirizzo: Piazza Tasso 14r, Firenze
Sito Web: altranvai.it
Orari di apertura: dalle 12:15 alle 14:30 e dalle 19:10 alle 22:45, chiuso la domenica e il lunedì a pranzo
Tipo di cucina: fiorentina
Ambiente: originale, accogliente
Servizio: cortese
Voto: 3,7/5
[Le citazioni nel testo sono dell’Ulisse di James Joyce, I Meridiani Mondadori, traduzione di Giulio De Angelis]