E’ durata poco l’avventura di Ivan Milani nel ristorante più alto d’Italia, quel Piano 35 incastonato all’ultimo piano del grattacielo Intesa San Paolo e con visuale mozzafiato sullo skyline di Torino, come riferisce Repubblica.
I rapporti tra la proprietà e lo chef che nemmeno un anno fa aveva preso le redini del locale immerso tra cielo e vetrate, e che lasciava presagire un futuro scintillante per la ristorazione torinese di alto livello, sono infatti ormai arrivati al capolinea.
Una separazione che era nell’aria, secondo gli addetti ai lavori, nonostante sotto la guida di Milani il ristorante facesse registrare quasi sempre il tutto esaurito, con una lista d’attesa addirittura di mesi per riuscire ad ottenere un tavolo nell’elegante locale.
Senza considerare che inoltre, in poco tempo erano già anche arrivati il primo cappello della Guida Espresso e due forchette del Gambero Rosso, a testimonianza di una cucina ricercata e di livello gradita a turisti e a torinesi.
Diverse sarebbero le cause della separazione, e tra queste il rapporto conflittuale tra lo chef e la brigata, l’offerta di piatti troppo “cerebrali”, lontani dalla tradizione piemontese, ma soprattutto i conti in rosso, a cui nemmeno forchette, cappelli e “tutto esaurito” sono riusciti a porre rimedio.
I ristoranti di alto livello come Piano 35 devono infatti sostenere elevati costi di gestione, sia per il personale, che tra sala e cucina può arrivare anche a decine di unità, sia per le materie prime. Anche il solo pareggio di bilancio richiede tempo e pazienza, nonchè l’esercizio di attività secondarie di supporto come servizi di catering o altri tipi di eventi.
Oltre a ciò, occorre ricordare che la gestione di Piano 35 è resa anche più complicata dalla collocazione dei magazzini, ubicati nei sotterranei, vale a dire 35 piani al di sotto del locale.
Anche Matteo Baronetto, chef dello storico ristorante Del Cambio, uno dei locali più amati dai torinesi, conferma in un’intervista rilasciata a Repubblica che «sì, il lato economico è sempre il più delicato. Oggi oltre a saper fare cucina bisogna avere capacità manageriali, perché la proprietà a fine anno ti chiederà sempre ragione di cosa hai speso.
Quello che incide più di tutto comunque è il costo del personale –continua Baronetto– anche perché in un ristorante di questo livello è difficile programmare. Può capitare di avere 80 coperti il martedì e 40 il sabato. Lo sai con poco anticipo, diventa difficile sapere di quanti camerieri hai bisogno, ad esempio».
E anche Davide Scabin, noto chef del Combal.Zero, situato nel Castello di Rivoli, alle porte di Torino, conferma il difficile equilibrio tra costi e ricavi nell’alta ristorazione:
“Oggi un cuoco che voglia raggiungere certi standard non può limitarsi a essere bravo in cucina. Quello è il punto di partenza”.
Per lo chef torinese, infatti, «ci vorrebbero tre lauree: in economia per gestire i bilanci, in comunicazione, perché senza marketing puoi essere bravissimo ma fatichi. E in scienze dell’alimentazione per gestire menù e carte in modo scientifico».
Requisiti difficili da mettere insieme, anche per uno chef di talento.
«Sì, ma dobbiamo farcela lo stesso – continua Scabin-.
In Italia c’è la tendenza a dimenticarsi di quanto incida il food cost, il costo del cibo. Io per primo quando varo un nuovo menu mi faccio prendere dall’entusiasmo. Ma quello che davvero fa saltare tutti i conti è il costo del personale: se non vuoi far lavorare la gente in nero in Italia è altissimo. E abbiamo limiti per gli stagisti che nel resto d’Europa non hanno».
Intanto, da un paio di giorni Ivan Milani è ufficialmente in ferie, mentre la proprietà sta decidendo riguardo al futuro di Piano 35, che potrebbe essere affidato a Fabio Macrì, secondo di Milani, mantenendo l’attuale brigata, oppure passare per le abili mani di un altro chef di grido, anche solo in veste di consulente.
Nella speranza che, oltre a piatti d’autore e preparazioni mirabolanti, porti anche i tanto desiderati utili.
[Crediti | Link: Repubblica, Dissapore]