Cosa sappiamo finora della protesta contro Foodora

Torino: i rider di Foodora, la società tedesca che offre il servizio di consegna dei pasti a domicilio tramite app, protestano per le difficili condizioni di lavoro, raccogliendo la solidarietà del Comune e finalmente riescono a incontrare i dirigenti della startup

Cosa sappiamo finora della protesta contro Foodora

Un rapida occhiata al computer, un clic e via. Una manciata di minuti dopo, il pasto arriva direttamente a casa caldo caldo, senza doversi scomodare e, soprattuto, al modico prezzo, per il solo servizio di consegna, di due euro o poco più.

Dopo qualche minuto dall’ordine online, infatti, i ragazzi in bicicletta di Foodora, la società tedesca che offre il servizio di consegna dei pasti a domicilio tramite app, arriveranno sorridenti a casa vostra, con il bel pranzetto caldo proveniente dalle cucine dei ristoranti aderenti sparsi sul territorio cittadino.

Il servizio di consegna pasti a domicilio si è rivelato da subito un notevole successo, e tutti noi abbiamo presto imparato ad apprezzare velocità delle consegne, efficienza del servizio e costo esiguo richiesto, senza stare più di tanto a riflettere sulle condizioni che consentono di offrire un servizio così comodo e, soprattutto, a un prezzo tanto contenuto.

Da qualche giorno, però, qualche riflessione in più su Foodora (disclaimer: Foodora è tra i partner commerciali di Dissapore) e sui nostri pasti caldi recapitati a casa a tempo di record va necessariamente fatta.

Nella giornata di sabato, infatti, i giovani rider in bicicletta –per la maggior parte studenti universitari che in questo modo pagano in parte gli studi– hanno incrociato le braccia, bloccando il servizio in tutta Torino per richiamare l’attenzione sulle loro condizioni lavorative.

Anche in segno di solidarietà verso due colleghe allontanate dal servizio perché tra le prime a protestare, e a cui è stato sospeso il profilo personale della app utilizzata per dare le disponibilità alle consegne, estromettendole di fatto, dal servizio lavorativo.

I giovani fattorini, che sono circa 300 in tutta Torino, lamentano la scarsa remunerazione da loro ricevuta, pari a 2,70 euro a consegna, ma anche il passaggio da un sistema di pagamento a ore a quello a cottimo.

“Fino a qualche mese fa pagavano 5 euro e 40 all’ora, poi sono passati al cottimo”, dice Emanuele, 20 anni, studente di Economia e Commercio, che ha deciso di unirsi alla protesta per solidarietà.

“La bicicletta la dobbiamo mettere noi —gli fa eco un altro fattorino— e versiamo una cauzione di 50 euro per il casco, il box e la divisa. Agli ultimi ragazzi che sono stati ingaggiati, il caschetto non è stato nemmeno consegnato”.

Per tutti questi motivi, i fattorini hanno chiesto un confronto con gli amministratori della startup, Gianluca Cocco e Matteo Lentini, e durante una conference call hanno portato avanti le loro richieste.

“Abbiamo chiesto che vengano completamente eliminati il co.co.co e il cottimo, e che si passi a un contratto part time verticale con una paga oraria fissa di 7,50 euro netti, un bonus di un euro a consegna fisso, un contributo per le riparazioni alla bici commisurato alle ore di lavoro, un contributo per le spese internet del cellulare.

Ci hanno chiesto una settimana di tempo, ma noi abbiamo preteso che rispondano entro giovedì. Ci faranno conoscere il nuovo contratto attraverso la newsletter che l’azienda usa per le comunicazioni di servizio”, dicono Maurizio Modena e Andrea Ruta.

E non solo. I fattorini torinesi, incassato il sostegno dell’assessore alle Pari Opportunità del Comune di Torino, che ha suggerito la formula del monte ore garantito, sono pronti a cercare appoggio anche presso i colleghi milanesi, nonostante nel capoluogo meneghino le condizioni contrattuali siano differenti.

Dal canto loro, gli amministratori di Foodora ribattono che il cottimo è stato introdotto in un’ottica di maggiori guadagni proprio per i rider, ma ci tengono a sottolineare anche che l’impegno con Foodora non deve essere inteso come un lavoro per «sbarcare il lunario», bensì «un’opportunità per chi ama andare in bici, guadagnando anche un piccolo stipendio».

Intanto, anche alcuni ristoratori torinesi cominciano a solidarizzare con la protesta dei rider di Foodora.

Come il ristorante Laleo, di Corso Verona, che ha deciso di abbandonare la collaborazione con la startup in segno di solidarietà con i fattorini. Sul  profilo social del locale infatti è apparso  il seguente messaggio:

“Amici e clienti, ci rincresce comunicarvi che da oggi Laleo non effettuerà più consegne tramite Foodora. La precarietà fa purtroppo parte della nostra epoca ma non può giustificare lo sfruttamento. Soprattutto se si considera che la percentuale che viene chiesta al ristoratore dall’azienda è del 30% sul valore dell’ordine oltre al costo fisso di consegna di 2,90 euro.

Fare impresa – concludono infine i titolari del «Laleo» significa perseguire un profitto, ma non sulla pelle degli altri».

In conclusione, pare proprio che gli unici ad essere contenti del servizio offerto fossimo noi consumatori, che non possiamo fare altro che augurarci che i giovani fattorini riescano a superare anche questo esame spuntando condizioni lavorative più vantaggiose.

Per continuare a fruire dei nostri comodi pasti caldi a domicilio, anche a un prezzo di consegna maggiore e, probabilmente, più equo.

[Crediti | Link: La Repubblica, La Stampa, Ansa]