Un titolo più appropriato per questo Buonappetito sarebbe stato: La vita, la cucina, le pecore.
Perché ho passato questo fine-settimana tra Baradili e Siddi, due minuscoli centri sardi (il primo è il più piccolo comune della regione: 84 abitanti).
A Baradili c’era la bella manifestazione i Fili del gusto (cui ha parcecipato il più intelligente e lucido uomo del cibo del nostro paese: il pasticciere siciliano Corrado Assenza); a Siddi c’era, c’è, e ci sarà S’Apposentu, il delizioso ristorante di Roberto Petza.
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Un ristorante di campagna è diverso, molto diverso da un ristorante in città. E S’Apposentu non fa eccezione: c’è questa bella casa rosa in mezzo alle stradine del paese – da quel che ho visto a Siddi esiste poc’altro, se non un alimentari e un bar in cui sono stato squadrato come Giuliano Gemma quando entra nel saloon (mancava solo che qualcuno mi prendesse le misurie) –, poi stop, macchia mediterranea a perdita d’occhio.
Tra un pasto e l’altro, sono riuscito – a piedi, in macchina, in bici – a fare un giro tra ulivi e tombe dei giganti, tra mandrie di pecore e nuraghe: uno scenario mitico, in cui nulla è cambiato nelle ultime migliaia di anni (se si fa finta di non vedere i tralicci dell’alta tensione).
Quest’immensità mi ha riempito così tanto gli occhi, che quando mi son seduto a tavola ho guardato il cibo in modo diverso: degli incredibili tortelli di pecora che ho mangiato avevo visto dove cresceva il grano e dove pascolavano le bestie, del miele dei dolci avevo visto le arnie, dei fiori le piante.
Slow Food predica da sempre che non c’è soluzione di continuità tra produttori e cuochi, e sono naturalmente d’accordo.
Ma aggiungo che non c’è soluzione tra contesto e cucina, e non gusti appieno quel che mangi se non sai dove sei.
Accade in campagna come in città. Per fare un esempio: non si capisce davvero il Cambio di Torino – che giovedì compie 260 anni – se non si è visitato il dirimpettaio Palazzo Carignano.
Il vero quinto sapore non è l’umami: è il contesto.