L’ultimo video figlio di questo nuovo trend virale è stato quello in cui un dipendente della catena di fast food Wingstop mette a friggere delle alette di pollo senza guanti. Schifo, scandalo, orrore: il filmato è diventato virale e gli utenti di TikTok si sono scagliati in massa contro il tizio. Avevo l’acquolina in bocca, scrive l’account che ha postato il video, ma ho visto questo e ho cancellato l’ordine. Dovrebbe essere licenziato, rincarano altri.
E poco conta che il lavoratore, come qualcuno fa notare, non abbia fatto nulla di male, al contrario: anche nei ristoranti di fine dining la carne cruda viene trattata a mani nude, i guanti è obbligatorio metterli quando si toccano cibi pronti per andare in tavola – anzi a voler essere precisi indossare i guanti per prendere il pollo crudo è un ottimo esempio di cross contamination, se poi con gli stessi guanti si toccano i cibi cotti o i piatti in cui vengono serviti. E poi raga se esistono batteri o virus in grado di sopravvivere alla temperatura delle patatine fritte, siamo tutti morti.
Ma questo argomentare raziocinante non importa, perché l’ultima moda, l’ultimo trend su TikTok è questo: prendersela con i dipendenti dei fast food. Che ne combinano di tutti i colori, a quanto sembra. In un altro video, virale qualche settimana fa, si vedeva il bancone di una cucina della catena Chipotle in condizioni disastrose: condimenti fuori dai contenitori, taglieri strabordanti di cibo, ingredienti a contatto e mescolati. Il video fa 3 milioni di visualizzazioni, anche perché si scatena la ridda dei commenti, racconta il magazine Eater.
La sequenza delle react è progressiva ma abbastanza schematica, tipico di questi casi: prima arrivano quelli scandalizzati, cos’è sta merda, vomitooo, OMG bleah. Poi sopraggiungono i moralisti a dare addosso ai primi, con il più classico dei ma vacci tu al suo posto e fammi vedere di che sei capace. Infine gli intelligentoni, che dicono vabbè, ma da quando in qua abbiamo smesso di pretendere standard qualitativi adeguati dalle corporation? È tutto un balletto, che gira attorno al vero punto della questione, senza però toccarlo. Le cucine fanno schifo, e le cucine dei fast food ancora di più? Ma certo; vent’anni dopo Kitchen Confidential stiamo ancora qua. Quindi i cuochi e i garzoni fanno schifo, ed è giusto metterli alla berlina in mondovisione? O magari è che sono pochi/sfruttati/sottopagati/male organizzati? Fate un po’ voi.
Il fatto è che ormai chiunque abbia in mano una fotocamera, e quindi chiunque, si sente un esempio di citizen journalism, in dovere di documentare cioè che di incredibilmente unico gli accade. E il documento, grazie ai social, arriva a milioni di persone cui la denuncia non apporta nessun beneficio pratico – quante probabilità hai di mangiare in un fast food di Port Sainte Lucie in Florida? – ma aumenta solo l’urgenza di buttarsi nel flame. Non per fare il boomer, ma c’è da dire che TikTok si presta molto bene a certi meccanismi, portandoli a un livello ancora superiore rispetto a quelli che siamo abituati a vedere sui nostri social da anziani.
Il sistema di Facebook, lo sappiamo, è stato già da vari anni scavalcato da quello di Twitter e Instagram: nel primo il concetto base che mette in contatto le persone e fa circolare i contenuti è la reciprocità, un rapporto (teoricamente) paritario, la cosiddetta amicizia; la successiva generazione di social network lo ha sostituito con un sistema che si fonda sul concetto di follower, quindi su un rapporto sbilanciato – io seguo te ma tu non sei obbligata a seguire me – basato sulla fandom, che ha generato la figura dell’influencer. Ma TikTok ha sorpassato d’un balzo tutto questo, perché i video circolano in maniera pazza e imprevedibile (o meglio: imperscrutabile per noi, ma gestita dall’intelligenza dell’algoritmo) indipendentemente dal fatto che tu segua o no il suo autore, in virtù della sola relazione con le cose che hai visto in precedenza – se hai guardato quello, allora potrebbe interessarti questo, o forse DOVREBBE – oppure, appunto, in virtù del fatto che è un trend in questo momento.
A questo si aggiunga l’età media degli utenti, molto bassa, ma soprattutto il fatto che per sua natura questo social più di altri stimola la partecipazione attiva, l’intervento in prima persona, anche se soprattutto nella forma dell’imitazione, dell’inserirsi – ancora una volta: appunto – in un trend. E sono trend, video che facilmente hanno ripercussioni IRL, cioè nella vita reale (In Real Life): dall’innocente – ma furbissimo – modo in cui una canzone di Travis Scott viene usata dai clienti/fan per ordinare al McDonald’s il panino preferito del rapper, fino alle famigerate challenge, le sfide che possono spingere gli utenti a fare qualcosa di molto scemo o molto pericoloso pur di riprenderlo con la camera.
Passando per gli hack, i piccoli trucchi che ti migliorano la vita, tipo quello di usare il codice personale del barista che si vede stampato sullo scontrino di Starbucks per ottenere sconti e altri vantaggi: una cosa che sembra innocua ma che, i dipendenti della catena hanno denunciato, è un ottimo modo per far licenziare gente incolpevole. Pure qui però, come sopra anche se a soggetti invertiti: sarà colpa dei ragazzini stronzi che per risparmiare due lire mandano in mezzo alla strada un povero cristo, o non piuttosto della megacorporation che per farsi bella con la trasparenza e l’accoutability mette tutti i rischi sui soldatini che buttano il sangue in prima linea?
Le responsabilità, argomenta lo stesso Eater, vanno cercate non solo nel meccanismo del social ma anche fuori, e sono a 360 gradi: ci siamo noi, esseri umani drogati di emozioni forti, che amiamo assistere a discussioni accese e polarizzate, e a prendervi parte pur di portare a casa un pugno di like.
Ma soprattutto, c’è un problema sistemico che la pandemia ha accelerato e messo in evidenza: le pessime condizioni dei lavoratori nella ristorazione riflettono le pessime situazioni in cui si dibattono i ristoranti – dalla trattoria artigianale alla catena globale, pur con le debite differenze. Se i ristoranti anche stellati – ragionavamo un anno e mezzo fa durante il primo lockdown – hanno così poco cash che basta qualche settimana di chiusura forzata per mandarli in rovina, c’è qualcosa che non va. Se camerieri e cuochi guadagnano così poco e lavorano così tanto – notavamo a metà dell’anno scorso alla “riapertura” – che stanno abbandonando in massa il settore, c’è qualcosa che non va. Se l’approvvigionamento delle materie prime è organizzato in maniera così perversa e insensata – osserviamo allibiti nelle ultime settimane – che appena si inceppa un ingranaggio nella logistica i fast food si ritrovano senza patatine (anche in un paese che produce più patate di qualsiasi altra cosa), c’è qualcosa che non va. Che cos’è questo qualcosa? Non lo so, io so solo che avevo iniziato a scrivere un articolo leggero che parla di TikTok e lo finisco con il solito rant contro il capitalismo. Ops, l’ho detto. (Ma tu l’hai pensato.)