Passeggiando per Valencia, in questi giorni d’attesa per la cerimonia di premiazione dei The World’s 50 Best Restaurants 2023, mi sono ritrovata più volte a pensare la stessa cosa: un tempo conoscevo il Paese più bello del mondo, con la cucina più buona del mondo, un Paese dove spendere poco, stare bene, godersi la vita, i paesaggi, il sole, la cultura millenaria, l’architettura straordinaria. Solo che quel Paese, a differenza di quanto ero convinta di sapere, non è l’Italia. O almeno, non lo è più.
Quel Paese, ed è ora che ce lo mettiamo in testa, è sempre di più la Spagna. Valencia – come Barcellona, Madrid, i Paesi Baschi, l’Andalusia tutta – è quello che ci piacerebbe fossero Roma, Firenze, Venezia, Milano. Luoghi vivaci, bellissimi, culturalmente poliedrici, dove sedersi a un tavolo qualunque e ordinare da mangiare cose straordinarie, o nella peggiore delle ipotesi soltanto buone. Continuiamo a raccontare il Colosseo senza riparare le buche delle strade, la cacio e pepe senza citare i ristoranti acchiappaturisti, piazza San Marco senza tenere conto dell’overtourism. E speriamo che il resto del mondo non se ne accorga, continuando a credere nella favola della Dolce Vita.
E invece, guarda un po’, il resto del mondo se ne accorge molto meglio di quanto non facciamo noi, e la classifica 2023 della The World’s 50 Best Restaurants è lì a testimoniarlo. Non solo l’Italia ne esce con le ossa rotte, ma a trionfare, sul mondo intero, è proprio la Spagna.
La classifica
Nonostante la felice new entry di Enrico Bartolini nella seconda parte della classifica (quella dal 51 al 100), i cinque ristoranti italiani presenti nella parte di classifica che conta se ne tornano da Valencia quasi tutti con le pive nel sacco. Piazza Duomo di Enrico Crippa passa dalla posizione numero 19 alla 42, Le Calandre della famiglia Alajmo – che l’anno scorso chiudeva la top ten – crolla al numero 41 e Uliassi passa dalla posizione 12 alla 34. Un po’ meglio va a Niko Romito, che perde una posizione soltanto (e si piazza al numero 16) e a Lido 84 (che è sempre piaciuto molto alla 50 Best), che guadagna un posto piazzandosi sul settimo gradino.
Per un Italia che va male, c’è invece una Spagna che festeggia: tre dei ristoranti nella top five – il Disfrutar a Barcelona, secondo posto, il Diverxo a Madrid, terzo e Asador Etxebarri a Atxondo, quarto – sono spagnoli. Ed è spagnolo pure Andoni Luis Aduriz, che vince l’Icon Award, il più prestigioso tra i premi speciali della 50 Best. Ah, e pure il miglior sommelier del mondo è iberico, e arriva dal Diverxo di Madrid.
Va da sé che, come ogni classifica e più di altre, la The World’s 50 Best Restaurants è preda di oscillazioni del momento, di correnti e di scossoni. Un anno si sale, l’anno dopo si scende. È la natura stessa di una gara che coinvolge potenzialmente tutti i ristoranti di fine dining del mondo. Eppure non si può non fare qualche considerazione sullo stato della gastronomia italiana, considerato che in futuro la competizione sarà probabilmente ancora più dura, con l’ingresso sempre più prepotente delle novità dei paesi emergenti – come ci ha spiegato William Drew nella nostra recente chiacchierata sul futuro dell’alta ristorazione.
L’Italia: spaghetti, pizza e what else?
Il problema, qui, non può certo essere imputabile ai singoli ristoratori. Crippa, Romito, Uliassi, gli Alajmo continuano a lavorare ad altissimi livelli, come hanno sempre fatto. Casomai, è l’Italia che sembra aver perso la bussola.
Siamo il Paese del buon cibo, è vero, ma lo siamo solo a parole. E lo difendiamo probabilmente nella maniera più sbagliata possibile, continuando a tutelare l’italianità delle proposte prima ancora che la qualità. In Italia, semplicemente, si crede e si investe troppo poco nell’alta ristorazione. Ed è un paradosso, nel Paese che ha fatto delle sue eccellenze gastronomiche un motivo di vanto internazionale. Eppure nessuno, lassù in alto, crede in Riccardo Camanini e nel suo ristorante che sfiora le prime posizioni – unico italiano – degli Oscar della ristorazione. Nessuno (o quasi) investe seriamente sul team italiano ai Bocuse d’Or, e i risultati purtroppo si vedono. Nessuno spinge come dovrebbe – se non la proprietà stessa – per promuovere Piazza Duomo come destinazione gastronomica, nonostante la Michelin dica chiaramente che è un ristorante che “vale il viaggio”. No, noi crediamo nella Venere che mangia una pizza vista lago, e allora ci faremo valere – forse – quando il mondo della gastronomia guarderà alle pizzerie tradizionali con vista sul lago. Salvo poi stupirci che non si trova personale per l’alta ristorazione, nel Paese che nel futuro dell’alta ristorazione sembra non voler investire.
E se pensate che tutto questo sia solo una questione d’elite, relegata a quel circolino di addetti ai lavori che va in fibrillazione per la classifica dei 50 ristoranti migliori del mondo, allora non avete capito l’importanza della cucina nel mondo, nonostante tutti – voi compresi – continuino a riempirsi la bocca di “quant’è buona la cucina italiana che non ha eguali in tutto il mondo”. Venite a Valencia, e poi ne riparliamo.