La vita di un ristorante sulla stampa di settore dura il tempo dell’inaugurazione. Una sindrome, questa del brevissimo span di attenzione dei giornalisti gastronomici, particolarmente acuta a Milano. Tutt’altra sorte è auspicabile per Spore, inaugurato ad agosto 2022 senza strombazzamenti. Un soft opening che ha concesso al ristorante un doveroso rodaggio e che gli ha da subito garantito il ruolo di salvatore di quell’estate gourmettara, nonché di prossimo locale preferito di tutti e futuro centro dell’attenzione del fine dining milanese.
Mariasole Cuomo, chef e demiurga del laboratorio delle fermentazioni e Giacomo Venturoli, maître cosmopolita e titolare di una carta dei vini versatile e ad ampia trazione naturale, preferiscono probabilmente un più pragmatico understatement e a questi meriti, effimeri come gli amori estivi, preferiscono la pragmatica costanza con cui conducono il loro localino in Porta Romana.
La verza globalizzata
Anche perché, a ben vedere, le ragioni per cui dovrebbero salire agli onori della cronaca sono ben altre. Qui da Spore si sta mostrando il potenziale della cucina delle fermentazioni, nel modo più produttivo possibile: passando dalla fase pionieristica e dirompente, in cui una sorta di estremizzazione è necessaria per generare una risposta -come potrebbe succedere alla Madia a Brione, tanto per capirci-, a quella della normalizzazione, usando paste e salse amminiche per creare piatti che talmente d’avanguardia che potrebbero esistere da sempre, dando al tanto inflazionato e vituperato umami un vero valore di universalità.
E lo fanno dagli inizi: se il pomodoro fermentato nei tagliolini alle cozze dell’estate 2022 poteva far parte dell’offerta di una trattoria di mare salentina e di una coreana, la Torta di verza e patate, teriyaki, miso e arachidi è la golosità autunnale di una nonna brianzola o di una obachan giapponese.
Testa e tecnica
Come ci si riesce? È innanzitutto una questione di concetto: i fermentati nei piatti non sono sostituti, insaporitori o parti acide generiche, ma ne sono sono il fulcro. Le ricette sono concepite intorno a loro, rendendoli indispensabili e creando quindi una linea di cucina in cui il legame tra oriente e occidente è naturale tanto quanto la risposta sensoriale umana al glutammato. Ce ne rendiamo conto, ad esempio, nell’immersione sapida del Cavolfiore alla brace con shoju kasu (una salsa di soya ottenuta dalle pressature), garum di seppia e aglio nero: un cavolo gratinato sotto steroidi, in cui ad ogni assaggio le salse si sovrappongono in una discesa infinita verso la sapidità marina del cefalopode, tutto sorretto dalla robusta dolcezze della crucifera sotto Mallard, e con l’astuzia di proporla nella doppia versione fresca e fermentata, mossa sempre utile per dare un orizzonte familiare a chi non è avvezzo.
C’è poi una componente tecnica da non sottovalutare. Le esperienze di chef Mariasole al Nordic Food Lab e Noma Fermentation Lab si sentono tutte, eccome: niente acidità scomposte o virate al solvente, le sapidità dei suoi miso sono profonde e ataviche, segno di maturazione controllata e misurata. Il programma fermentazioni di Spore non è una raccolta di buste sottovuoto in un angolo della cucina né un’esposizione di barattoli a decoro della sala ma uno spazio dedicato, un laboratorio in cui ogni concetto di autoproduzione e sostenibilità prende concretezza.
Evviva il menu degustazione
E a proposito di sostenibilità, un altro modo di gestire con efficienza le risorse è il mio amato menù degustazione obbligatorio. Talebani delle tre portate, del “pago io scelgo io” convinti che questa formula sia lesiva del vostro ruolo di protagonisti assoluti, siamo in un posto che fortunatamente non fa per voi. Il risultato di questa ottimizzazione del food cost è presto detto, un menu degustazione di sei passaggi a 55 euro in Milano città.
Ovviamente le variazioni veg o per eventuali allergie sono disponibili su prenotazione, e ci sono sempre delle opzioni “di rinforzo” come i dolci, non inclusi, e almeno dei carboidrati, che comunque non mancano, vedi l’avvio con un “sando” di tempeh con salsa bbq al kimchi e maionese al Grana Padano, e il sontuoso servizio finale (il primo in fondo al percorso, evviva!) del riso al salto con tuorlo marinato, abbondante cren e a parte una pentola di capocollo da tenere in ammollo nel brodo: golosissimo, lacrimogeno, balla sul filo allilico che unisce Veneto e Giappone.
Sul finale i dolci sono sempre gradevoli e coerenti, vedi la cheesecake in cui il formaggio fresco è fatto in casa, rinforzato con una punta di miso e ingolosito dalla bruciacchiatura tipa della versione basca del dessert, ma il pathos è altrove. Poco male, è un dettaglio che non toglie nulla all’importanza dell’impresa di questi ragazzi e la determinazione con cui la stanno compiendo. La prossima volta chiuderò con gli extra carbs dei tagliolini burro, kimchi e uovo marinato, una fulminante soba-Alfredo che potete “carbonarizzare” a piacimento, gestendovi il tuorlo servito a parte: acidissimi e piccanti, con l’umami del garum di bianco d’uovo (non credevate mica che il tuorlo fosse servito così alla buona vero?) e quello del cavolo fermentato a fare le veci di pecorino e Parmigiano, e col candido nitore dell’assenza di rosolatura. Culmine di un percorso che merita ben più di un flirt estivo.
Opinione
Spore è uno dei ristoranti con il rapporto qualità prezzo migliore di Milano, ma sopratutto una meta imprescindibile per qualunque gourmet voglia farsi chiamare tale nel 2024.
PRO
- Una cucina di fermentazioni coerente e accessibile
- Carta delle bevande versatile e adatta
CONTRO
- Dolci buoni, ma difficilmente all'altezza del resto
- Formula, nel bene o nel male, non adatta a tutti