Sostenibilità, rispetto per la materia prima, cura della natura e dei suoi ritmi. Sembrano essere questi i mantra dell’alta cucina internazionale e dei grandissimi chef che ne tengono alta la bandiera. E meno male, in un mondo che talvolta pare andare dritto dritto verso il collasso facendo spallucce.
Se non si possono (o non si vogliono) fermare ora gli allevamenti intensivi per prevenire la diffusione di nuove pandemie e chissà cos’altro, se non si può garantire il benessere animale in nome del diritto a mangiare un po’ di fegato grasso di tanto in tanto, se non si può ripensare il mercato del sushi che sta di fatto provocando l’estinzione del tonno rosso, almeno possiamo contare sul buon esempio dei grandi nomi della cucina mondiale. Loro sì che, con i loro menu stagionali e rispettosi, si fanno portavoce della necessità di cambiamento per salvare il Pianeta.
Più o meno, in realtà.
Le cattive abitudini
Se non ci si ferma ai proclami, alle dichiarazioni d’intenti e ai comunicati stampa, ma si vanno a leggere i menu, si può facilmente notare quanto alla buona teoria spesso non segua un altrettanto buona pratica.
Il foie gras, giusto per fare un esempio, è ancora onnipresente nei menu di tantissimi ristoranti di fine dining, per quanto fuori moda, fuori contesto, e anche fuori tempo massimo, visto che ingozzare le oche per il nostro piacere in cucina non è più cosa buona e giusta, in epoca di ostentata sostenibilità. E le anguille? Ricordatevelo la prossima volta che uno chef ve ne servirà una porzione: la pesca le sta decimando (e l’Italia è tra i primi paesi europei a pescarle), al punto da causarne ufficialmente il rischio di estinzione.
Ci stiamo mangiando il mare, e lo sapevamo già vent’anni fa, ma non siamo stati capaci di fermarci o, quando lo abbiamo fatto, abbiamo preferito fare poi marcia indietro (vedere alla voce ricci e Regione Sardegna).
Ma per fortuna ci sono gli chef, quelli grandi, con milioni di follower e liste d’attesa chilometriche per una cena. Quelli che – giustamente – si ergono a guru, a filosofi, utilizzando il loro grandissimo potere persuasivo per raccontare ai clienti quanto rispetto si debba avere per la natura.
Più o meno, in realtà.
René Redzepi e gli animali in vetrina (che non sono il peggio)
Qualche giorno fa, René Redzepi ha lanciato su Instagram uno dei quiz che ogni tanto fa, mettendo in palio una cena per due al Noma di Kyoto. Un premio niente male, considerato che il prezzo del menu è fissato a 775 euro a persona. Valeva la pena di tentare, ma qual era l’oggetto della sfida? Indovinare il peso del gigantesco polpo tenuto in mano da Thomas in cucina (spoiler: pesava 4,8 chili, e io non ho vinto).
Simpatico, no? Mica tanto, hanno iniziato a far notare prima tanti e poi tantissimi utenti, che non hanno apprezzato quell’esibizione gratuita di un nobile animale morto.
E in effetti vien da pensare: ma davvero c’è tanta differenza tra quella foto lì e una testa di cervo appesa a un muro come trofeo di caccia? Perché sulla seconda non c’è dubbio che, nell’epoca della sostenibilità, sia una cosa di cattivo gusto, che di certo mal vedremmo nel curriculum di uno degli chef più incensati del mondo.
Che poi, il buon René, c’era già cascato una volta, in questa cosa. Era il 2020, e il Noma postava sui social la foto di un germano reale, servito non in un piatto, ma nel germano reale stesso. Becco, piume, lingue e tutto quanto. Una cosa un po’ macabra, in effetti, che si era attirata il rimprovero addirittura di un collega stellato, lo chef del Joia Pietro Leeman.
Non avete capito, aveva risposto allora il Noma per voce del sous chef di Redzepi Riccardo Canella. Quel piatto lì è in realtà un omaggio al Germano Reale. “Quando si mangia carne (ne usiamo gran poca al Noma!) c’è sempre una morte di mezzo”, aveva scritto sui social lo chef. “Per celebrare questa morte, abbiamo deciso di pagare rispetto all’animale usando tutto, dalla testa alle zampe proprio per non sprecare niente, per quanto splatter questo possa risultare agli occhi di molti”.
Che, forse, è anche il senso nascosto da un totale innovatore della cucina contemporanea, Rasmus Munk dell’Alchemist di Copenaghen che nel suo (meraviglioso) menu fa convivere, non si sa bene come, un boccone di pesce coperto di “plastica” commestibile (per denunciare l’inquinamento degli oceani) a cose come formiche intrappolate nel miele, farfalle crude alimentate con il miele (bellissime, ma perché?) o piccioni francesi impiccati.
Dunque, forse siamo noi a non capire, e dobbiamo prendere come un rispettoso pegno pagato al polpo anche la foto in cui lo si tiene per la collottola chiedendosi quale sia il suo peso.
Ma il caso non esiste, come diceva in Kung Fu Panda il Maestro Shifu, che manco a farlo apposta era una rarissima tartaruga in via d’estinzione. Prova ne è che René Redzepi ci ricasca dopo pochissimo, o forse decide deliberatamente di provocare gli animalisti, chissà.
Perché il post successivo al polpo è quello che mostra una Nacchera (Pinna nobilis), gigantesco bivalve del Mediterraneo che no, non se la passa proprio bene, visto che è classificata come specie gravemente a rischio d’estinzione.
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E a dirla tutta anche il pesce spada (altro ingrediente del nuovo menu di Redzepi) è considerata una specie da preservare, visto che è già a rischio estinzione in molte zone, come l’Oceano Pacifico.
Le baby anguille di Dabiz Munoz
Si obietterà certamente che quel pesce spada lì è stato pescato all’amo da un piccolo pescatore d’un tempo, il cui lavoro artigianale e rispettoso della natura va comunque preservato. Vero, magari, ma non possiamo che notare un certo stridore con un mondo dell’alta gastronomia che va comunque in un’altra direzione, o almeno racconta di farlo.
Che è poi quello che succede in un altro tre stelle di fama internazionale, il Diverxo di Dabiz Munoz, dove uno dei protagonisti più sorprendenti del menu è la baby anguilla. Un piatto costosissimo perché raro, e raro perché a fortissimo rischio di estinzione (se lo è l’anguilla, figuratevi quella baby). Il che apre una nuova frontiera di questo (spinosissimo) argomento: le specie a rischio sono forse appannaggio solo di chi le può pagare profumatamente?
Per dire: lo sapete che l’abalone, un mollusco giapponese ultra prelibato, che lo chef Tomoya Kawada fa pagare 60.000 yen (poco più di 400 euro, per un solo piatto) nel suo tristellato di Tokyo Sazenka è ufficialmente in via d’estinzione?
Il limite: l’anguilla viva
Se pensate che tutto questo non sia discutibile, siamo pressoché certi di avere qualcosa che un pochino smuoverà le vostre coscienze. Questo:
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Mugaritz, anno 2019. Uno dei templi più controversi e incomprensibili della cucina moderna, il regno della cucina folle di Andoni Luis Aduriz.
Ecco, qui la baby anguilla – la stessa che si mangia al DiverXo – viene addirittura servita viva, in una sfera di acqua di mare che forse vuole ricordare un embrione, o chissà.
Ma voi, lo mangereste davvero un embrione? E lo fareste ancora, un attimo dopo esservi riempiti la bocca della necessità di una cucina più sostenibile? A voi la parola, non appena vi è passata la nausea.