La vicenda della recensione omofoba alla pizzeria (vera? falsa?) a cui la titolare del locale ha risposto per le rime, venendo ripresa dalla stampa di tutta Italia, non è solamente molto triste, ma si inserisce in un momento storico di grande dibattito sul tema dei social. Dibattito che ci riguarda in prima persona, visto che nasce e cresce nell’ambito del food, che d’altronde è uno dei più prolifici da sempre sulle piattaforme di condivisione contenuti. A scatenarlo è stato il caso Ferragni (messo in luce per la prima volta proprio da Selvaggia Lucarelli): un pandoro griffato e un’operazione di beneficenza poco trasparente sono bastati a mettere in crisi quello che sembrava un impero irraggiungibile e inattaccabile, quello dei Ferragnez. Ma non solo.
La crisi di un sistema
Mai prima d’ora si era visto niente di simile: a parole – un po’ come accadeva nell’era Berlusconiana – nessuno seguiva Ferragni & Co, e tutti diffidavano dagli influencer. Eppure i fatti dicevano altro, ed era lì che puntavano le aziende per massimizzare i risultati dei propri investimenti. Poi, la caduta. Il pandoro gate non ha solo scoperchiato il vaso dei Ferragnez: il pandoro gate ha messo in crisi un intero sistema. Una volta persa, o anche solo lesionata, la credibilità dell’influencer numero uno al mondo, tutti gli influencer ne hanno risentito a cascata. Così, sono arrivate nuove regole, e anche un nuovo sguardo nei loro confronti.
Ecco, questo è il contesto in cui si inserisce la vicenda che oggi vede Lorenzo Biagiarelli (e, non si capisce bene perché, anche Selvaggia Lucarelli) accusati di aver avuto un ruolo nel presunto suicidio della ristoratrice che forse aveva inventato la recensione alla sua pizzeria. E se quel ruolo glielo attribuisce la figlia della povera signora deceduta, è una cosa. Diverso è leggere giornali che parlano di “mandanti morali” riferendosi a chi ha fatto un post di commento alla vicenda, senza poter neanche lontanamente immaginare un così tragico epilogo. Ma la realtà, appunto, è che i fatti di questi giorni si inseriscono in un contesto non semplice, turbolento come mai prima, in cui si acuisce la sempre esistente (ma finora un po’ celata) guerra tra giornalisti e influencer, con i primi che si chiedono perché i secondi debbano fare il loro lavoro.
Ed è questa l’accusa che più spesso viene rivolta in queste ore a un (prudentemente ma anche tristemente) silenzioso Lorenzo Biagiarelli: perché un food blogger/influencer/chef televisivo avrebbe dovuto mettersi in testa di fare giornalismo d’inchiesta?
In effetti, non si può dire che questa domanda sia del tutto sbagliata. Ma la risposta vien da sé, e chi non l’ha ancora capito (e oggi scaglia la pietra contro Biagiarelli&Lucarelli) non ha capito nulla della vera natura del problema.
Se oggi gli influencer rosicchiano spazi all’informazione professionista (e spesso e volentieri lo fanno anche con successo) è perché l’informazione quegli spazi li ha colpevolmente, ripetutamente e terribilmente lasciati liberi. Ed è esattamente quello che è successo nella vicenda della recensione omofoba, che vale la pena di riepilogare velocemente.
Una pizzeria piuttosto anonima pubblica sui suoi social uno screenshot (graficamente non pulitissimo) di un botta e risposta con un utente che li accusa di averlo fatto mangiare accanto a un gay e a un disabile. La stampa nazionale (LA STAMPA NAZIONALE!) decide che questa cosa è degna di finire un po’ ovunque, riprendendo la non-notizia e facendone il fatto del giorno. È una storia che funziona, in fondo: l’indignazione facile è quel che fa vincere le odiose gare di click e visualizzazioni, che stanno rovinando non tanto il mestiere degli influencer (che giocano in casa) quanto quello dei giornalisti e dei giornali.
Il problema della stampa
Eppure, qualcosa non torna. I primi a farlo notare siamo noi (non sempre citati per questo, purtroppo e con dispiacere. Anzi, possiamo dire citati esclusivamente da Biagiarelli nel suo post, e poi mai più considerati come gli unici tra i giornali che avevano raccontato una cosa diversa): la recensione non può essere vera, anche perché ne troviamo un’altra di anni prima pressoché identica. Non abbiamo elementi per accusare la signora di averla falsificata, e infatti non lo facciamo. E in fondo non è importante: il tema qui non è tanto se la recensione sia vera o falsa, o chi l’abbia realizzata (perché quella, a nostro personalissimo parere, di nuovo non è una notizia), quanto il fatto che la stampa pressoché tutta si sia buttata a pesce su una non-notizia. E ci chiediamo, candidamente (davvero!): possibile che gli altri giornali non abbiano avuto cinque minuti di tempo per verificarla e decidere di non pubblicarla?
Non l’hanno fatto: vuoi per mancanza di tempo (il mondo dell’informazione web è spietatamente veloce, e a volte capita di sbagliare – è successo anche a noi, e forse succederà di nuovo – per inseguire la notizia e arrivare prima degli altri), vuoi perché hanno deciso che andava bene così, perché una bella storia avrebbe fatto comunque visualizzazioni. E nel decidere ciò hanno lasciato uno spazio aperto, che è stato riempito da un influencer, Lorenzo Biagiarelli.
Se i giornali non avessero dato risalto a quella che NON era una notizia (lo ribadiamo), Biagiarelli non avrebbe avuto motivo di pubblicare quel post, probabilmente. Perché qui il tema non è tanto la recensione, figurarsi poi un’eventuale istigazione al suicidio o l’aver causato una shit storm (cosa di cui comunque bisognerebbe iniziare a tenere conto e di nuovo, prendendosela non con chi fa un’osservazione, ma con chi dopo quell’osservazione si prende la briga di andare a minacciare una persona qualunque, che neanche conosce). E il tema non è neanche capire se i food influencer fanno informazione, ma capire che cosa fa l’informazione nel frattempo.