L’altra sera ero con un amico in una trattoria che adoro, A-DO-RO.
La adoro talmente tanto che in un menu pieno di tajarin, agnolotti, tomini, peperoni, vitelli tonnati e compagnia non abbiamo saputo scegliere e abbiamo preso, semplicemente, tutto.
Sapete quelle volte che gli occhi si dimostrano più grandi dello stomaco, per cui esageri e poi ti rendi conto d’aver ordinato troppo. Dunque abbiamo avanzato cibo nei piatti. Non mi succede quasi mai, a meno di manifesta mancanza di qualità. Questo non era certo il caso: pietanze squisite, ma davvero avevamo fatto il pasto più lungo della gamba.
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Quando è arrivata la gentile cameriera a sparecchiare, ha detto, senza rimproveri: “non li finite?”.
Noi ci siamo scusati ma lei ha continuato a sorridere. E con enorme dolcezza e candore ci ha chiesto: “posso finirli io? Amo quei piatti, e qui ci piace non sprecare nulla.”
Siamo rimasti interdetti. Chiedendoci se fosse un’iniziativa personale della ragazza.
Poi, invece, parlando coi titolari ci hanno ribadito: “il cibo non va buttato, quel che avanza sovente lo mangiamo noi. Sono piatti buoni, appena fatti, vederli finire nella spazzatura sarebbe insopportabile.”
Sulle prime la cosa mi è sembrata irrituale, quasi scandalosa: i ristoratori che mangiano quel che i clienti avanzano.
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Ma subito dopo ho capito che avevano ragione, che in un gesto stavano cancellando tante assurde menate della contemporaneità, la diffidenza tra le persone, le paranoie igieniche, le assurdità burocratiche.
Gli sprechi alimentari sono un tema enorme, e questi meravigliosi osti l’hanno affrontato senza manifesti o proclami ma nel modo più efficace, immediato e semplice: sedersi a mangiare mezza milanese in carpione a fine servizio, bevendo, magari, un bicchiere di barbera rimasta nella bottiglia.
Li A-DO-RO.