Il termometro della parità di genere si misura anche da Google Images. L’ho imparato a mie spese pochi giorni fa per cercare un’immagine di copertina da abbinare, pensa un po’, a un pezzo sul sessismo in cucina. Ebbene, ho fatto una scoperta: anche internet è sessista con le donne chef. Qualsiasi combinazione di parole chiave in italiano o inglese non ha prodotto una, dico una foto utilizzabile.
Tolte le immagini AI (fatte pure male francamente) e le fotografie protette da diritti d’autore, l’amara verità è che la parola chef è ancora troppo legata al modello maschile. Anche, incredibilmente, a livello visivo. E infatti, puntuali come la cottura del soufflé, dopo i pochissimi, ripetitivi, inutilizzabili template di “donna/woman/female chef”, arrivano loro. Ritratti di chef uomini al comando o in azione su sfondo di cucine professionali, con toque e grembiule, in pose assolutamente naturali anche qualora frutto dell’AI.
Questa ricerca senza successo da una parte mi ha amareggiato, dall’altra mi ha fatto incazzare. Ma soprattutto riflettere su quanto ci sia bisogno di ribadire che i mestieri, così come le aspirazioni e le opportunità, non abbiano genere. Il punto è che pensavo che il luogo più democratico del mondo, ovvero internet ne fosse al corrente. Invece no: qualcuno deve avergli insegnato la “pericolosità” della teoria gender. Anche qui stiamo messi male.
Le immagini nel giornalismo gastronomico

Prima di spiegare perché è stato così difficile (anzi, impossibile) trovare l’immagine valida di una donna chef, occorre spiegare a grandi linee come funziona la scelta delle immagini nel giornalismo gastronomico. In breve: una giungla. Nel senso che ognuno fa come gli pare. A meno di essere una testata dalle enormi risorse, con ampia disponibilità di foto d’archivio o addirittura munita di propri fotografi (leggi: New York Times), la ricerca delle immagini è sempre una gatta da pelare.
Partiamo col dire che le immagini scaricabili e utilizzabili dal web sono davvero poche. Provate a cercare “crostata” su Google Images. La selezione generale è sicuramente sconfinata, va detto però che si tratta quasi sempre di foto coperte dal diritto d’autore. Per trovare quello che ci serve occorre apporre il filtro della licenza. Scoprirete che la scelta si fa molto più limitata, e assai più amatoriale. A meno di essere fortunati, tocca cavarsela con la meno peggio.
Naturalmente esistono siti web che raccolgono foto belle senza licenza (anche se è vero che negli ultimi anni la scelta si è assottigliata parecchio perché almeno metà di queste sono in versione pro, ovvero a pagamento). Qui la nostra crostata avrà sicuramente più dignità, una luce più giusta e le fattezze che cerchiamo. Il problema qui sorge nel momento in cui cerchiamo un’immagine specifica: crostata ricotta e visciole ad esempio, specialità tutta romana che difficilmente avrà una corrispondenza in stock.
Come fare dunque? Ci sono tre opzioni: sbatterci la testa finché si trova l’immagine più vicina a ciò che si cerca. Non è detto che lo sia esattamente, ma ci si può accontentare, il resto lo fanno le parole (esempio: crostata con crema bianca non definita da abbinare alla descrizione della ricetta). Un altro modo è adeguarsi e pagare la foto singola, oppure fare un abbonamento. Infine c’è l’opzione chissene frega: si ruba dalla prima fonte senza curarsi dei diritti. Vi assicuro che non sono solo blog oscuri a utilizzare immagini senza permesso: ci si mettono anche testate nazionali e di tutto rispetto.
Si fa prima a dire sirena che donna chef
Detto questo: la mia donna chef sembra una creatura mitologica. Provo le combinazioni in italiano al singolare e plurale, in inglese con la dicitura “woman” e “female”, in italiano e inglese per cercare anche solo “mani di donna chef o che cucina” (a volte i close-up aiutano tantissimo). Niente, su tutti i fronti. O almeno, niente di utilizzabile.
Intanto perché le immagini filtrate con assenza di copyright sono sempre le stesse, e nella stragrande maggioranza dei casi a pagamento. Le poche gratuite disponibili su Google Images sono chiaramente frutto dell’AI, e al limite del grottesco. Se voglio parlare di sessismo in cucina non uso certo una specie di bambola perfetta fra il caricaturale e l’inquietante, vestita da chef come la Barbie.
Un deserto insomma, capace di premiare più le vere creature mitologiche rispetto a una normalissima donna chef o che lavora in una cucina professionale. Se faccio la stessa prova con “sirena”, “arpia”, “sfinge”, insomma con tutte quelle figure fiabesche accomunate dalla femminilità, ho più fortuna. Toh, qui c’è il ben di dio. Di donne in carriera invece neanche l’ombra.
La donna è cuoca, l’uomo è chef

La vera batosta però arriva dai famosi siti web di immagini “belle” e gratuite. Ne giro sempre almeno tre, e di solito non ho problemi. Stavolta però mi deludono, non tanto per la mancanza di foto ben fatte. Il problema, purtroppo, è molto più sofisticato di così.
In tutte queste istanze, la combinazione donna/woman/female chef dà un unico risultato: donna immortalata in cucina. Nel senso di casalinga, sfera domestica, angelo del focolare. Nel senso che, anche per internet, una donna al massimo può essere cuoca. Riformulo: il posto di una donna è in cucina. Quello di chef è evidentemente un altro ruolo, e un altro genere.
Lo so perché, se digito soltanto chef, indovinate cosa viene fuori? Esatto, una caterva di bellissime foto, tutte passabili e utilizzabili, di uomini, mani maschili, braccia pelose e tatuate intente al gioco di polso di un sauté. Lo chef secondo l’internet e i principali motori di ricerca è maschio, più spesso bianco che nero o asiatico o latino, e il ristorante pare il suo ambiente naturale. In cucina, quella casalinga, lo vediamo molto meno. Il ruolo lì è già stato preso, evidentemente, da donne, preferibilmente mamme multitasking.
Chissà come infatti, quasi tutte queste femminee e leggiadre apparizioni sono invariabilmente intente a impastare, giocare con la farina, decorare dolci. Ci deve essere un figlio da sfamare da qualche parte, una festa di compleanno da organizzare, una casa da profumare con biscotti appena sfornati. Il festival dello stereotipo più becero, quello che credevo si limitasse agli altoparlanti governativi, invece lo trovo pure qui, sul liberissimo internet. E intanto la mia ricerca della donna chef continua, senza successo e con molta frustrazione.
Ce la facciamo?
Lo sapete già come è andata a finire. Mi sono arresa, ho chiesto alla caporedattrice di pensarci lei con i siti di stock a pagamento che usa per Dissapore, e sono andata avanti col pezzo successivo. Ma non mi sono dimenticata dell’esperienza al limite dell’assurdo, specie all’alba del secondo quarto di secolo del terzo millennio. Che diamine mi sono detta, almeno ci scrivo un articolo sopra.
Ed eccomi qua a parlarvi di una ancora lontanissima parità di genere in cucina (e innumerevoli altri settori) con la scusa di farvi partecipi di un po’ di dietro le quinte di questo lavoro. Si legge bene nel pezzo su cui stavo lavorando: il caso di una lettera aperta contro il sessismo nella ristorazione britannica. Tanto per dirne una, solo due donne sono comparse sulla guida Michelin negli ultimi quattro anni. E non è che qui da noi vada tanto meglio.
Le chef e imprenditrici della ristorazione
sono mosche bianche. In più di quindici anni di Masterchef c’è stata solo una giudice donna, Antonia Klugmann, che fin dall’inizio è stata
ricoperta di critiche e insulti. Perché una donna, a quanto pare, non può permettersi di dare giudizi severi tanto quanto i colleghi uomini. La ristorazione nel suo complesso è un ambiente ostile, precario, una sorta di ultima spiaggia per fare un po’ di soldi in fretta. In nero, sia chiaro, e quasi mai sostenibile per qualità della vita. Va da sé che donne con figli a carico (gli uomini non sono contemplati) sono automaticamente rigettate dal sistema. Quando ci entrano la gavetta è durissima, fatta di battute inappropriate, attenzioni non richieste, relegazione a sorriso e occhi dolci della sala.
Però esistono, questo nessuno può negarlo. Donne chef, lavapiatti, bariste, sommelier. E se è per questo anche donne idraulico, muratore, chirurgo, CEO. E non c’è nessuna legge, scritta o non scritta, che vieti la scelta di una carriera, un modo di vestire, un modo di essere. L’accettazione e il riconoscimento partono dalla rappresentazione: dateci almeno quella. Non siamo noi, donne nel lavoro, a essere un’anomalia: quella semmai è il pregiudizio, anche visivo, del sistema.
Fonte:
In copertina: una foto scaricata da Shutterstock digitando "donna chef"