Siamo stati al San Giorgio Café a Venezia di Filippo La Mantia, il ristorante appena aperto sull’isola di San Giorgio (nonché unico ristorante dell’isola), e vi diciamo com’è, come si mangia, il menù, i prezzi, e perché è un posto unico.
Da qualche tempo Venezia è sotto attacco, o almeno così si dice, perché vuole sfruttare le sue potenzialità turistiche e lo fa con molto poco understatement, con un po’ di confusione e con tanta attenzione al turismo pop per anni guardato come si guarda la pioggia a pasquetta.
Uno degli effetti di questa nuova vague è che la ristorazione sta cominciando a dare cenni di vita: 15 anni fa, o anche solo 10, se qualcuno mi chiedeva dove andare a mangiare bene a Venezia mi metteva in imbarazzo, ora invece gli sciorinerei almeno una ventina di ristoranti in cui andare sul sicuro.
Poi c’è la ristorazione di livello, stellata o pseudo stellata, anche lei passata dai due o tre ristoranti dei soliti noti a un discreto pullulare di nomi da jet-set gastronomico: dal lavoro degli Alajmo in Piazza San Marco e al Fondaco dei Turchi Tedeschi al Glam di Bartolini, dalle alterne (anche se sempre stellate) vicissitudini del ristorante Venissa alla meteora Perbellini, che poco più di un anno fa inaugurava il ristorante Dopolavoro del nuovo Hotel JW Marriott Venice, che oggi ha già cambiato sia il nome che il suo executive.
Il San Giorgio Cafè
L’Isola di San Giorgio e la Fondazione Cini finora erano state a guardare, un hortus conclusus dentro Venezia che il turismo non toccava quasi, anche perché fino a poco tempo fa le visite erano rare e solo su appuntamento. Ora praticamente tutti gli spazi sono visitabili ogni giorno con visite guidate ben fatte, e, da fine aprile ha aperto il San Giorgio Cafè, executive Filippo La Mantia.
Filippo La Mantia non è uno chef stellato, è uno chef da jet set, con una formazione da reporter e un particolare talento per il business. Fino a 42 anni ha fatto il giornalista di cronaca nella sua terra, la Sicilia, poi ha deciso che voleva fare lo chef, o l’oste-cuoco, come piace dire a lui. L’apice della sua carriera romana è stata la guida della cucina del Majestic, poi si è trasferito a Milano in Piazza Risorgimento. Ha una caffetteria: a pranzo propone un menu a buffet, a cena una carta a prezzi ragionevoli (antipasti 18 euro, primi 20 euro, secondi 30-32 euro). A dire il vero è più facile dire cosa non è: non è uno chef da menu degustazione, né uno da still life dei piatti, né uno di quegli chef che fanno ululare di piacere i critici gastronomici.
A Venezia ci è arrivato per aprire la caffetteria di un museo, se la si vede così anche la sua proposta è coerente. A pranzo e a cena c’è un menu alla carta con poche portate: 3 antipasti, 2 primi, 2 secondi di carne e altrettanti di pesce, 4 o 5 insalate e 3 dessert. Il menu è costruito con un certo garbo: oltre la metà delle portate sono di ispirazione siciliana, un terzo è veneziana, il resto potrebbe definirsi di “cucina internazionale”; i prezzi sono su per giù il 15% in meno di quelli di Milano.
Non aspettatevi complessità, io non me le aspettavo e ho mangiato serena. Una buona caponata e un ottimo agrodolce di peperoni che francamente mi hanno un po’ stupito per la stagione, un piatto di spaghetti alle vongole cucinati come si deve e un piatto di involtini siciliani che avevano il pregio di essere golosi. Nota un po’ deludente l’insalata di broccolo, con scaglie di peperoncino, limone e mandorle: enorme, ma poco saporita. Alla fine un cannolo, ovviamente fritto e riempito al momento, peccato quelle ciliegine candite rosso rubino che facevano un po’ a pugni con il mio personale concetto di cucina da ristorante di livello.
Il côté veneziano nel menu era rappresentato dal baccalà mantecato tra gli antipasti e dal tiramisù nei dessert. Accanto ai secondi di carne, un paio di proposte di pesce, quel giorno tutte e due a base di spada.
Come potete intuire non ci sono piatti da esperti assaggiatori, niente per cui occorra mettere in atto la sceneggiata: annuso-assoporo-ululo/aggrotto la fronte. Quel che c’è è tutto nel piatto, visibile, comprensibile, onesto, semplice.
C’è però un legame con i monaci che rende interessante la cantina: tra i vini proposti c’è quello che i benedettini oblacensi, confratelli dei nostri a San Giorgio, producono nell’abbazia di Praglia (PD) a pochi chilometri da qui. L’opzione Km zero [non proprio originale, ma pur sempre apprezzabile] dovrebbe essere presto soddisfatta dalla realizzazione di un orto benedettino dentro i confini dell’Isola, che fornirà almeno in parte il ristorante.
Alla fatidica domanda: “Ci torneresti?” rispondo di sì. Il motivo è che il posto è uno spettacolo, si mangia con vista sulla marina di barche a vela e la fondamenta che va da San Marco a Sant’Elena sullo sfondo. Il cibo è buono, senza essere speciale, i prezzi sono sufficientemente contenuti per potermi permettere di portarci qualche ospite di riguardo, per incantarlo (finora il mio unico posto così in città era la caffetteria di Ca’ Pesaro, nessun pregio gastronomico ma una vista imbattibile).
La Fondazione Cini
L’esperienza però non è completa se non si fa una visita alla Cini. Per questo, dicevo, per capire questo locale occorre pensarlo come la caffetteria di un museo. Io ho fatto il giro prima di pranzo, ho visitato il chiostro del Palladio e ho visto finalmente il labirinto di bosso dedicato a Jorge Luis Borges.
In onore alla dea della gastronomia e di quella del dovere di cronaca, nonostante avessi già i morsi della fame, ho camminato per il refettorio dove la tela di Paolo Veronese, rubata da Napoleone e conservata al Louvre, è stata riprodotta fedelmente e piazzata sul muro originario per far notare al viandante come i monaci benedettini pranzassero ogni giorno con Cristo a capo tavola.
In un nostalgico viaggio nel passato ho visitato la biblioteca del Longhena, e ho scoperto che oggi è visitabile da tutti, mentre io nel 2003 [vi prego non fate il calcolo di quanti anni ho] ho dovuto entrarci con una lettera di presentazione, e ho visitato anche la biblioteca nuova, detta manica lunga, inaugurata nel 2011 su progetto dell’architetto De Lucchi.
Ho poi fatto un giro nel bosco mistico della Cini, che arriva alla propaggine dell’isola che si affaccia verso il Lido, in cui dall’anno scorso ci sono le dieci Vatican Chapels, padiglione voluto dal Vaticano per la Biennale d’Arte e poi lasciato in eredità alla Fondazione, che le ha aperte alla visita proprio da questa primavera.
I prezzi del San Giorgio Café
Antipasti: 15 euro
Primi: 20 euro
Secondi: 25 euro
Insalate: 15 euro
Dessert: 10 euro
Indirizzo: Isola di San Giorgio Maggiore 3, Venezia
Orari: lunedì, martedì, giovedì e domenica aperto dalle 10 alle 18; il venerdì e il sabato dalle 10 alle 22; chiuso il mercoledì.
Telefono: 0412 683332