L’emergenza sanitaria va avanti, i ristoratori scalpitano (con iniziative anche molto discutibili, come #IOAPRO) nonostante i ristori, e forse una delle domande da farsi è: ma i parametri su cui sono stati stabiliti questi ristori (indipendentemente dall’ammontare delle cifre) sono davvero equi e giusti per tutti?
C’è un meme che gira su internet in queste ore, per giustificare i malumori del Paese: raffigura il presidente del Consiglio Giuseppe Conte in tre diversi virgolettati, in cui chiede sacrifici fino a Pasqua, poi fino a Natale, poi fino a gennaio 2021.
Un passetto per volta, la pandemia ci ha rubato quasi un anno delle nostre vite. Eppure, ad aprile scorso, pensavamo tutti fosse una cosa temporanea, due mesi chiusi in casa a far lievitare pizze e pizzette e bon, problema risolto, tutto può ripartire con l’arrivo dell’estate. Quanto eravamo ingenui a lamentarci allora, e quanto poco avevamo capito dei mesi che sarebbero arrivati.
Il calcolo dei ristori
Ingenuo però lo è stato anche il Governo, quando ha stabilito come distribuire i ristori. Il primo giro (quello della primavera 2020) è stato infatti calcolato sulla base delle perdite anno su anno nei mesi di stop forzato per il lockdown. Giusto: non lavori da marzo ad aprile? Lo Stato ti riconosce una parte delle perdite, ipotizzandole sull’unico parametro possibile: guardare quanto avevi guadagnato negli stessi mesi del 2019.
Il problema, semmai, è che poi i ristori sono andati avanti così, tenendo sempre come parametro quello iniziale, e cioè quello relativo alle perdite di quel primo periodo. Tanto per capirci, i Ristori di novembre e dicembre sono stati stabiliti sempre sulla base delle perdite del fatturato di aprile.
È chiaro: all’inizio della pandemia bisognava rispondere a un problema improvviso in fretta, e con soluzioni semplici. Ma poi la pandemia si è protratta oltremodo, e oggi forse, a distanza di dieci mesi dall’inizio di tutto, probabilmente quei parametri andrebbero rivisti su base annuale. E mentre oggi finalmente