Il 2020 è stato un anno che difficilmente dimenticheremo, sia per quello che è successo, sia per le conseguenze che ci saranno nel medio e nel lungo periodo. In generale, e nella ristorazione che come si sa è uno dei settori più colpiti. Ma che cosa è successo, veramente? Possiamo guardarla da vari punti di vista, e anzi dobbiamo, ma partire dai numeri, dai dati, non fa mai male. Quante volte in questi mesi abbiamo sentito annunci del tipo: ecco le chiusure dovute alla pandemia, questi i dati degli effetti sull’economia, e la maggior parte delle volte erano cifre completamente a caso, ristoratori che lamentavano di aver perso soldi che non hanno mai guadagnato, e cose così. Fare un bilancio della pandemia per i ristoranti è impossibile, quindi?
A provare a dimostrare il contrario, arriva ora il Rapporto 2021 dell’Osservatorio Ristorazione, derivazione dell’agenzia RistoratoreTop. Un ponderoso studio, 247 pagine di numeri, grafici e considerazioni, a partire dall’andamento generale della popolazione in Italia per concludersi con proiezioni sul futuro. È stato realizzato incrociando varie fonti, delle più autorevoli, tra pubbliche e private: gli istituti di ricerca ISTAT e Censis, le associazioni di categoria FIPE, Coldiretti e Federalberghi, le banche dati di Infocamere e della web app Plateform. Vediamo qui i punti principali.
Chiusure e perdite: i numeri del disastro
Quanto spendiamo per andare al ristorante? Prima della pandemia, i numeri erano in crescita costante, tanto che nel 2019 si era raggiunta la cifra record di 86 miliardi. Quanto si è perso nel 2020? Ecco un primo segnale della serietà dello studio: una forbice, una stima, non numeri sbandierati apoditticamente. La forbice va dal risultato più pessimistico, -42% (cioè meno 34 miliardi di euro rispetto al 2019), al più ottimistico, -34% (meno 29 miliardi). Un brutto colpo, da un terzo a quasi la metà, ma non un colpo letale, commenta lo studio, almeno nell’immediato; preoccupazioni maggiori invece ci sono per le conseguenze a lungo termine.
Imprese chiuse: qui c’è una piccola sorpresa. L’anno record per la mortalità delle aziende, infatti, era stato il 2019, con 26.979 chiusure di ristoranti e affini. Nel 2020 invece hanno chiuso i battenti 22.692 imprese, il dato più basso degli ultimi dieci anni. E però, il 2020 ha stabilito il record negativo recente anche per nuove aperture: solo 9.207. Il saldo tra le attività iscritte e quelle cessate è di -13.485, il secondo più negativo di sempre dopo il 2019 (-13.794). Come si leggono questi dati? Si potrebbe dedurre che il settore ristorazione era già traballante prima della crisi, con una forte tendenza a mettere su business con leggerezza, e con altrettanta facilità a chiuderli. Invece, il picco minimo di chiusure nell’anno della pandemia, sta forse a indicare che molti ristoranti sono rimasti formalmente in vita solo per beccarsi i soldi dei sostegni? Sarebbe troppo maligno pensarlo, ma siamo curiosi di vedere quello che succederà nel 2021.
Complessivamente, negli ultimi 10 anni, si sono perse 117.445 attività ristorative. Nonostante ciò, nel 2020 le attività registrate sono 397.700, di cui attive 340.564. Entrambi numeri record nella storia italiana.
Un nuovo modo di fare ristorazione: delivery e dark kitchen
Il 2020 ha confermato e anzi accelerato dei processi già in atto: uno su tutti, quello del delivery. Quella delle piattaforme potrebbe essere una bolla destinata a scoppiare presto, come abbiamo visto, ma nel frattempo è una presenza impossibile da aggirare. Dal lato della ristorazione, l’asporto e il take away, comunque organizzati, sono stati l’unico appiglio, l’unica speranza. RistoratoreTop ha svolto un sondaggio all’interno della propria community, non molto vasta (11.000 ristoratori) ma rappresentativa e diffusa su tutto il territorio. Questi i risultati: il 77% dei locali ha deciso di intraprendere la strada del delivery e dell’asporto, mentre il resto degli intervistati ha preferito lasciare chiusi i battenti. Un secondo sondaggio, svolto all’interno della stessa community in piena seconda ondata pandemica, indagavate modalità del delivery: il 43% ha dichiarato di fare consegne direttamente, il 3% di affidarsi unicamente a piattaforme esterne, mentre il 9% di utilizzare entrambe le modalità; il 22% si stava ancora organizzando sulle consegne a domicilio, infine il 23% ha deciso di non ricorrere al delivery.
Lorenzo Ferrari, fondatore dell’Osservatorio, commenta: “Ciò non è dipeso esclusivamente dall’impossibilità di utilizzare le proprie sale ma anche e soprattutto dalla crescente presa di consapevolezza da parte dei ristoratori che queste piattaforme, oltre a trattenere percentuali fino al 35% sul lordo degli ordini, trattengono ciò che si è dimostrato essere un vero e proprio tesoretto nell’anno della pandemia: i dati dei clienti, comprese le loro abitudini di consumo. Chi si è dotato di delivery autonomo con una propria flotta, spesso convertendo a rider i dipendenti di sala e cucina, e con sistemi digitali di prenotazione e di gestione dei dati, ha potuto utilizzare i contatti dei clienti, nuovi e abituali, e sopravvivere così alle chiusure forzate con risultati migliori rispetto a chi ha esternalizzato le consegne”.
Direttamente collegato al modello delivery, è il boom delle dark, grey, ghost e cloud kitchen. Un terzo sondaggio RistoratoreTop, svolto poco prima delle riaperture di aprile 2021, svela che il 27% dei ristoratori ha creato in periodo di pandemia una dark kitchen oppure un brand virtuale, anche impiegato nella produzione di cibi differenti da quelli prodotti abitualmente. Il 10% degli intervistati ha anche affermato di voler mantenere il delivery o la dark kitchen anche dopo: insomma, la cucina virtuale è un buon tappabuchi ma non è il modello del futuro. Che questo poi, nella visione dei gestori di ristoranti, sia intuito, o miope conservatorismo, si vedrà.
Tecnologia e futuro
La tecnologia ci salverà? Certo la tecnologia non è solo app per le consegne a domicilio: il Rapporto fa notare come nel 2020 ci sia stata l’introduzione su larga scala di menu digitali, prenotazioni online, self-ordering, chiamata del personale di sala a distanza con appositi dispositivi, nuove applicazioni per gestire turni del personale, fatturazione e rapporti con i fornitori, pagamenti cashless al tavolo e in cassa, nastri trasportatori per il cibo.
Ma al di là di gadget es strumenti vari, quello che ci piacerebbe sapere è cosa ci riserva il futuro. Qualche osservazione sulle tipologie di ristorante ci permette di fare alcune deduzioni, e non sono del tipo che vorremmo. Finora si è registrata la crescita dei locali “accessible cool”, ovvero ristoranti economicamente accessibili ai più, ma vissuti dagli utenti come tendenti al lusso, grazie al lavoro sull’immagine e sulla qualità percepita (buffa espressione, ma dà l’idea). Tra i trend in espansione nel 2021, invece, è prevista l’ascesa dei locali “accessible convenience”, accessibili a chiunque, dal buon rapporto qualità-prezzo per il consumatore ma dalla marginalità tendenzialmente bassa per il ristoratore, che tenderà a lavorare più sulla quantità di scontrini battuti piuttosto che sul loro valore medio.
Anche la chiusura di Ferrari sta in questo poco consolante orizzonte: “Il delivery e le dark kitchen non sostituiranno la ristorazione tradizionale dato che il futuro della ristorazione sono i ristoranti: l’esperienza vissuta in presenza, nel locale, è insostituibile. La pandemia ha marcato più in profondità la differenza tra il mondo della consegna a domicilio e quello del sit-in e, contestualmente, ha contribuito a velocizzare il processo di sgretolamento della middle class nel mondo occidentale, vedendo aumentare il divario di potere d’acquisto tra la fetta più ricca e quella più povera di popolazione. Questo avrà nei prossimi mesi forti impatti anche rispetto alla ristorazione, con l’aumento di attività alle due estremità, luxury e accessible convenience, per soddisfare ogni tipo di esigenza”. Speriamo di no, temiamo di sì.