Lunedì 26 aprile, il nuovo D-Day della ristorazione. I ristoranti e i bar oggi ripartono, almeno all’aperto, tra nuove regole se possibile più restrittive di quelle dello scorso anno. Non si sa per quanto, con una situazione contagi discendente ma ancora alta, che potrebbe peggiorare da un momento all’altro. Non si sa neanche bene come, perché – quantomeno al Centro Nord – le previsioni per le prossime giornate sono tutt’altro che favorevoli a una cenetta all’aperto. E, di ‘sti tempi, perfino il meteo è diventato più attendibile di tutto il resto.
Se una cosa certa c’è, in quest’ultimo anno e mezzo delle nostre vite, è l’assoluta incertezza con cui ci confrontiamo. Viviamo un periodo in cui programmare è diventato impossibile, e – va ammesso – lo è tanto per noi quanto per i nostri governanti.
Aperture, chiusure, coprifuoco e compagnia bella sono decisioni che possono essere prese solo sui brevi periodi, vedendo l’andamento della curva dei contagi, e con buona pace di ogni programmazione. Nessuno è in grado di prevedere con sicurezza l’evoluzione di questa pandemia, come hanno dimostrato i vaticini sbagliati in questi mesi pressoché da chiunque, a qualunque livello di competenza. E dunque, figurarsi se possono mettersi a fare previsioni i nostri governanti. No, questo lo abbiamo capito e non ce lo aspettiamo.
Quel che vorremmo, però, è che evitassero di aggiungere incertezza all’incertezza, mettendoci il loro carico da 90 di affermazioni non verificate e procalmi di piazza fatti solo per avere il plauso delle folle inferocite e stremate. Perché, vedete, di quello i nostri ristoratori proprio non hanno bisogno.
Il caso Gelmini
Qualcuno, su Facebook, ci ha accusato di divulgare fake news. A proposito di cosa? A proposito di Mariastella Gelmini, ministra per gli affari regionali e le autonomie (aspettate, lo ripetiamo scandendolo chiaramente: MINISTRA PER GLI AFFARI REGIONALI E LE AUTONOMIE), che in un’intervista s’è sbilanciata a dire che, coprifuoco o non coprifuoco, al ristorante si può stare seduti al tavolo fino alle 22, e poi rientrare tranquillamente a casa, senza il rischio di prendere una multa. E noi tutti felicemente stupiti, perché in realtà avevamo capito, negli scorsi 12 mesi in cui abbiamo per la prima volta sperimentato il coprifuoco, che le 22 fossero l’orario entro il quale farsi trovare chiusi in casa, magari già con la faccina sopra il cuscino e la bolla al naso.
E invece, anvedi che Gelmini ci dice che non avevamo capito proprio nulla, quante paranoie inutili vi siete fatti voi e ‘sto coprifuoco.
Salvo poi, qualche ora dopo l’uscita dell’intervista (che noi abbiamo riportato, perché voi non fidarti di quel che dice un ministro?), essere smentita dal Viminale, che ha detto a lei di andarci piano con le “interpretazioni personali”, e a noi che l’unica voce competente sul tema “è quella del Ministro dell’Interno”.
E noi che pensavamo fossero tutti informati sui fatti. È che proprio non si parlano, tra di loro, poverini. E alla fine vengono fuori ‘sti grovigli. Che noi diamo una fake news, e non che la ministra Gelmini dà informazioni sbagliate. Che il ristoratore che ha letto l’intervista di ieri magari tiene lì le persone fino alle 22 spaccate, e poi si prende la multa, e hai voglia a dire ai vigili “ma giuro che me l’ha detto Mariastella Gelmini”, tanto poi non è che se le mandi la multa la paga lei.
La necessità di chiarezza
Se vi sembrano discorsi populisti, sappiate che è esattamente il contrario. Populista è chi, pur di racimolare qualche consenso in più, gioca a fare il cerchiobottista. Chi aspetta l’ultimo minuto per dichiarare le chiusure, tenendo il termometro sotto l’ascella (siamo buonissimi) della folla per vedere quanto è arrabbiata e quanto può ancora sopportare. Chi dice coprifuoco alle 22, no scusate alle 23, tanto poi a maggio ne riparliamo. Chi dice che bisogna ripartire ma lo fa sapendo che ripartire non si può, e che la responsabilità di fare il poliziotto cattivo se la prenderanno gli altri. Chi pensa che si possa aspettare la domenica per comunicare la zona rossa del lunedì, così la gente non ha tempo di arrabbiarsi, anche quando i dati dicono da settimane che la zona rossa – inesorabilmente – arriverà.
Perché non si può credere che sia solo impreparazione e improvvisazione. Non si può credere che non si tenga conto che i ristoranti, i bar e le attività commerciali non funzionano con un tasto “accendi/spegni”, e dunque hanno bisogno di un minimo (ma un minimo, eh) di programmazione per ripartire. Non si può credere che il venerdì non si sappia cosa succede il sabato, o che la mano destra non sappia cosa fa la sinistra. Perché è questo, più ancora che i periodi di chiusura, più ancora che il terrorismo mediatico di cui di tanto in tanto ci accusate, che rischia di mandare in malora il settore della ristorazione.
E allora non impuntiamoci sul riaprire a qualsiasi costo, impuntiamoci prima di tutto sulla chiarezza. E se ci sono ministri non titolati a parlare di un argomento, allora sarebbe meglio che cercassero di non rilasciare interviste.