Non si diventa per caso Niko Romito. Tre stelle Michelin al Ristorante Reale di Castel di Sangro e una carriera che va oltre i fornelli, fatta di un impero che comprende innumerevoli progetti: un’accademia, i suoi Spazio, la Bomba diventata comfort food del cuore per molti, già riadattata per la consegna a domicilio, con un menu pensato ad hoc per sopperire alla chiusura di queste ultime settimane.
Emblema dello chef – imprenditore, cuoco di concetto, ottimo comunicatore di se stesso. E lo ha dimostrato mettendo in atto un’azzeccata campagna social, partita all’inizio del lockdown: lui, sempre sorridente, con una serie di cartelli un po’ criptici, che contenevano pillole di buona cucina: “le alici le friggo surgelate” o “io non metto le uova nel polpettone”. Una comunicazione fatta di tasselli da assemblare fino all’annuncio finale, quello sul delivery di Spazio: “torno in cucina”.
Ora, mentre il servizio a domicilio è bello avviato, resta da capire che ne sarà della ristorazione tradizionale, in vista di un’ipotetica “Fase 2” che potrebbe arrivare a breve, accompagnata da regole rigide: ingressi scaglionati, distanziamento sociale, dispositivi di sicurezza. “Uno scenario che è difficile da ipotizzare”, dice Romito. “con un momento storico che ha profondamente e repentinamente influito sulla socialità di tutti noi. Ognuno elaborerà questo impatto in maniera diversa e personale, ma credo che il futuro a breve termine sarà il momento più difficile, un limbo in cui bisognerà cambiare i modelli di servizio, di ospitalità. Dobbiamo imparare a socializzare in un modo completamente diverso che va contro la natura stessa dell’uomo, c’è il tema della fiducia, della paura, della salute”.
Abbiamo intervistato lo chef, per voi lettori di Dissapore.
– Voi avete già pensato a questo futuro a breve termine?
“Certo. Come ristoratore il mio primo obiettivo sarà quello di garantire la sicurezza dal punto di vista sanitario, sia per i clienti che per il personale. Alla riapertura i locali dovranno rispettare i vincoli e le norme governative e ministeriali; la distanza tra i tavoli e quella interpersonale, l’igiene e la sanificazione saranno ancora più maniacali di prima. Il primo criterio di scelta delle persone sarà la sicurezza: si andrà a mangiare in un ristorante se ottempererà a determinati standard, e solo dopo verrà la preferenza gastronomica. Non credo che i clienti avranno alcun problema ad adeguarsi a regole anche rigide, poiché saranno fondamentali per la salute pubblica”.
Quali possono essere i costi di attuazione della messa in sicurezza dei locali? E gli introiti limitati basterebbero a giustificarli?
“Non saprei dire, dipende molto anche da quali saranno le restrizioni, le regole e i parametri che il governo prevede per consentire le varie aperture. Certamente i numeri antecedenti allo scoppio della pandemia non saranno ipotizzabili in un primo futuro: bisognerà ottimizzare i modelli e cambiare i dogmi del servizio”.
Voi avete già pensato a come farlo?
“Se penso a Spazio Milano, il cui fascino, oltre all’offerta gastronomica, è la condivisione degli spazi comuni, non sarà facile riadattare il progetto, ma bisogna farlo. Un’idea è quella di fare dei turni, limitando il numero di coperti per ogni turno: così, facendo girare i tavoli due o tre volte, riusciremmo a mantenere l’organigramma della struttura. Per ALT a Castel di Sangro, che è il mio format di ristorazione su strada, stiamo invece pensando ad una app da si possa ordinare un lunch box e ritirarlo mentre passando da lì. Come dicevo prima, bisogna pensare a come ottimizzare i modelli, al loro modo di fruizione, mantenendo il più possibile intatta la loro identità”.
Davvero i conti della ristorazione sono così in bilico da non potersi permettere un paio di mesi di stop senza fallire?
“I tagli che ogni ristoratore/imprenditore dovrà fare dipendono fortemente da quali aiuti lo Stato metterà a disposizione, e anche dalla storia imprenditoriale di ogni singola realtà. Certamente i ristoranti e i locali che hanno una storia recente soffriranno maggiormente, ogni locale dovrà fare le sue analisi e i primi mesi dalla riapertura dipenderanno anche dalla forza economica dei singoli soggetti. Ma senza un aiuto governativo, senza agevolazioni, tante realtà difficilmente potranno mantenere lo stesso organico”.
Uno stellato come può fare delivery di qualità?
“Il delivery nell’alta ristorazione non è sostenibile dal mio punto di vista, ma certamente un ristorante stellato cha ha una visione gastronomica di un certo tipo, e che porta avanti una ricerca importante e continua, è nelle condizioni di studiare dei piatti di qualità ad hoc per essere “deliverati” mantenendo tutte caratteristiche gusto, temperature, patrimonio nutrizionale di una cucina espressa di grande qualità. Con il delivery e l’asporto non si studia solo il piatto, ma tutti gli strumenti che fanno parte del processo, a partire dal packaging, inteso anche come soluzione tecnica che garantisce i parametri di qualità di ogni singolo prodotto, che non può essere servito pochi istanti dopo essere cucinato come avviene normalmente in un ristorante. Bisogna preservare temperature, consistenze, gusto… i miei studi vanno in questa direzione al momento”.