I fan delle feste al ristorante, quest’anno, hanno avuto il loro contentino: potranno pranzare fuori a Natale, Santo Stefano e Capodanno, purché rimangano all’interno del loro comune di residenza.
Un po’ limitante, certo ma – bisogna dirlo – sempre meglio di nulla, per chi arriva da settimane di pranzi e cene a casa o in ufficio, con i ristoranti in lockdwon. Perché se c’è una cosa che questo 2020 ci ha insegnato sopra tutte è che non è il caso di lamentarsi troppo di quel che si ha, visto che dietro l’angolo potrebbe aspettarci qualcosa di peggio.
Ovvio che ci sia chi non la pensa così: non appena sono state annunciate le disposizioni sui ristoranti e le festività, si è levato un coro di polemiche più o meno giustificate. Facile gioire quando si ha un ristorante nel centro di Milano, con un bacino d’utenza potenziale di un milione e passa di abitanti. Un po’ più complicato fatturare qualcosa durante le feste se il proprio locale è, per esempio, un agriturismo sperduto su un cuccuzzolo dimenticato da Dio. Perfino il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, ha posto il problema, senza citare direttamente la questione ristoranti: “Non si tiene conto dell’enorme disparità tra chi abita nelle grandi città, con un ampio margine di movimento, rispetto a chi vive in un piccolo paese”, ha scritto sui social.
Ok, ma cosa ne pensano davvero i diretti interessati, ovvero i ristoratori che svolgono il loro lavoro su un eremo pressoché disabitato? Senza presunzione di completezza, noi abbiamo pensato di interpellarne due, molto validi, che di certo non hanno il loro ristorante in una metropoli iperpopolata, e ci sono sembrati entrambi molto sereni.
Giuseppe Rambaldi a Villardora
Il primo è Giuseppe Rambaldi. Una vita da sous chef di Davide Scabin, poi la svolta in solitaria, nel 2019, con il suo Cucina Rambaldi, a Villardora (2900 abitanti mal contati). Un progetto che ha conquistato tutti (anche noi) e a cui è immediatamente seguita un’apertura torinese, la chicchissima e curatissima Gastronomi(a)tipica. “Il nostro piano B”, ammette Rambaldi, “che abbiamo cercato di aprire il prima possibile perché ci aspettavamo all’orizzonte nuove chiusure”.
Rambaldi, durante le feste, terrà in effetti chiuso il suo ristorante di Villardora: “Lavoriamo in un piccolo paese, la gente non si può muovere o si può muovere poco, rimettere in moto una macchina come la nostra non ha molto senso in un momento come questo: sarebbe più la fatica del gusto”. Così si limita all’asporto, che tutto sommato funziona, con uno speciale menu di Natale, e nel frattempo spinge su Torino. “Sono due imprese separate, con conti separati, ma tutto sommato non possiamo lamentarci”, dice. “Anche perché durante l’estate con Cucina Rambaldi abbiamo lavorato tantissimo, ed è stato davvero molto bello. La risposta dei clienti è stata calorosissima, e lì ho capito una cosa: se sei riuscito a lasciare dei bei ricordi la gente non si dimentica di te”.
Insomma, una ventata di ottimismo, in mezzo a tanta sfiducia. E non è l’unica voce che – tutto sommato – prende bene questo fine 2020 diverso dalle aspettative.
Giacomo Pavesi a Podenzano
“Inizialmente, quando ho sentito il DPCM, ho pensato che avrei chiuso per le feste, ma poi ho iniziato ad avere prenotazioni dalla gente del paese: una, due, tre telefonate, che mi hanno rincuorato: non faremo i soliti 60-70 coperti, ma lavoreremo comunque”. A parlare è Giacomo Pavesi, l’oste migliore d’Italia per la guida Slow Food 2019. La sua Osteria Fratelli Pavesi è a Podenzano, che all’anagrafe municipale conta circa 9000 abitanti. “Abbiamo sempre lavorato per lo più con i Piacentini, ma ora con questa situazione il sistema si è invertito: i cittadini del paese, che prima potevano andare fuori in altri ristoranti, ci hanno riscoperto”, dice. “Insomma, a me piace essere positivo: se vogliamo vederla così è anche un modo per far riscoprire l’Osteria agli abitanti del proprio comune, che magari normalmente non ci avrebbero considerato”.
Entrambi, Rambaldi e Pavesi, sono d’accordo: si poteva fare di più, si poteva fare magari anche meglio, ma tutto sommato va bene così.
“Polemizzare all’infinito è riduttivo e poco costruttivo”, dice Rambaldi. “È chiaro che anche io, come tutti, trovo un po’ assurde determinante cose: il fatto che si possa uscire a pranzo e non a cena, ad esmepio. Però sto dentro le righe e rispetto le regole. Cerco di mettermi il cuore in pace: una mano lo Stato me l’ha data, e me li faccio bastare: pensa se non ci fossero stati neanche quelli”.
Sei in tutto i dipendenti di Cucina Rambaldi a Villardora, con un fatturato che per il 2020 si prevede sarà di almeno il 40% in meno. Cinque i dipendenti di Osteria Pavesi, con una chiusura di anno davanti ancora incerta: “non so ancora come finirà il 2020 – dice Pavesi – ma a me va tutto bene, finché i conti sono a posto e il ristorante funziona. Chi ha lavorato bene in passato non deve piangere; chi ha lavorato male ora la paga”. In fondo, spiega Pavesi, ci sono meno clienti, ma il conto medio si è alzato, “perché ora chi viene viene apposta per mangiare e bere”.
“Certo – ammette Pavesi – forse la situazione sarebbe diversa se fossimo in un comune di mille abitanti”. E certo, ammette Rambaldi dall’altra parte, “il mio caso è particolare perché sono chiuso a Villardora ma a Torino sono aperto, con un bacino d’utenza più ampio”.
Eppure, il tempo per le chiacchiere non c’è. Bisogna lavorare per tenere a posto i conti di un anno senza precedenti. E pensare al futuro. “Quello che bisogna fare è non perdere di vista il punto della situazione, comprare dai piccoli, dare una mano per sostenere il giro dei produttori. Io ho dirottato tutte le vendite sulla gastronomia, in modo da non trascurare per quello che posso quelle realtà che lavorano per noi, ma ognuno deve fare la propria parte per salvare la filiera dell’eccellenza”, dice Rambaldi. “È chiaro che, in vista del futuro, ci sarebbero situazioni che potrebbero agevolare la riapresa del comparto, come l’abbassamento tasse. Ma stiamo parlando di argomenti a me molto distanti: io sono un cuoco, se vuoi posso cucinare”.